Del Cambio di Matteo Baronetto è un classico che va oltre le mode
Piazza Carignano, 2,
10123 Torino
Chiuso domenica sera e lunedì
di Luciano Pignataro
Due verità assolute: la prima è che le città si distinguono, non so ancora per quanto tempo, tra quelle che sono stati capitali e le altre che, pur avendo funzioni importanti, non lo sono state. Lo capisci dall’architettura, dal simbolismo diffuso di un potere che continua a manifestarsi, dalla mentalità degli abitanti che è autoreferente. La seconda, è che tutta l’Italia è un paese. Parli con alcuni amici torinesi gli chiedi del Cambio e la risposta è: se devo mangiare una finanziera vado da X e pago la metà.
Tuttoapost’.
Anche se non parliamo di un ristorante impossibile: siamo sui 140 euro, ma anche molto meno se ci si regola dioversamente
Vero, Torino è la città delle piole come ci insegna Cosimo Torlo, di tanti buoni locali come Magazino 52 m per me adesso è la città di Matteo Baronetto, un professionista della materia e della tecnica che dopo aver lavorato 14 anni con Carlo Cracco (tra i due non è successo nulla ma non si sentono più) è arrivato in uno degli orgogli torinesi e italiani, il ristorante caffé Del Cambio, che ha rivoluzionato nella sala e con due ambienti decisamente diversi.
Il rigore della sua cucina e del suo stile ha origini precise. Il papà è stato operaio Fiat, ossia viene da un ceto sociale che ha saldato l’Italia con a disciplina, il lavoro e i sacrifici oltre che con una grande coscienza sociale di cui purtroppo ormai resta poca traccia nell’era geologica dei bit e dei finanzieri d’assalto com il danaro pubblico. Sul piano professionale è un nipote di Marchesi, lo si vede dalla costanza, dalla precisione, dalla ricerca dell’equilibrio dei piatti, dall’avere sempre il cliente come punto di riferimento.
Non deve essere stato certo facile per Baronetto gestire in prima persona un impegno così importante, tra l’altro nella sua terra di origine dove notoriamente nessuno, qualunque sia il mestiere, è profeta.. Lasciare Carlo Cracco al culmine del successo mediatico può essere sembrato un azzardo, ma alla fine si è rivelata la scleta giusta perché il cuoco è al culmine della sua maturità espressiva.
Ce ne rendiamo conto nel corso di una jam session nel percorso a mano libera che ci ha costruito. La sensazione precisa, tipica dei grandi cuochi, è quella della solidità, dell’essere al corrente di quello che si muove nel mondo restando fermo della sua impostazione.
Ogni piatto centra il gusto, esprime equilibrio e sapore seguendo una musicalità precisa ed esaltante. Certo, la jam session è impegnativa, ma se ne esce soddisfatti.
Alcuni abbinamenti appaiono particolarmente centrati, come il lardo sul merluzzo: dolcezza e grassezza, molto ben porzionata, sul mare. Un boccone da re
Anche la lasagna con le alghe è molto buona, ma i due calci di rigore a porta vuota sono i seguenti.
Cioè questo piatto te lo porti davanti a un camino, con un bel Barbaresco e ci stati tutta la serata. Buonissimo!
Gran finale dolce classico.
CONCLUSIONE
Del Cambio con Matteo Baronetto è diventato una delle più belle tappe gastronomiche che si possano fare inItalia. Servizio perfetto, carta dei vini lunare, cucina al massimo dell’equilibrio tra giusti piglio creativo, conoscenza della materia e dei prodotti e rispetto di canoni classici. Qualche gastrofighetto potrà obiettare che è una cucina troppo ecumenica, ma è proprio quello che ci vuole in questo posto. La sperimentazione è un’altra cosa, e può stare anche in un hangar a Linate. Qui vivo il ristorante in tutto il suo splendore. Margini di crescita? Sicuramente sul piano tecnico mi pare che siamo ai vertici, tutto dipende un po’ dalla voglia di Baronetto di mettersi in gioco mediaticamente. Per come l’ho conosciuto, credo che le sue origini operaie gli impediranno la ricerca della fuffa per restare ancorato alla sostanza.
Piazza Carignano, 2,
10123 Torino
Chiuso domenica sera e lunedì
Un commento
I commenti sono chiusi.
Io ci sono stato malissimo. E lo ripeto alla noia: da cliente anonimissimo (quale del resto sono quasi dovunque) e pagante come centinaia e centinaia di altri. Mia moglie mi ha insultato per averle “rovinato il compleanno” portandola a cena lì’. Duecento euro in due per una carta che ti dava anche la difficoltà di scelta da quanto era povera di spunti ed emozioni immaginabili, e la finanziera l’avevamo mangiata altrove la sera prima. Il celebre piatto rognone e ricci di mare crudo, senza temperature, senza equilibri o squilibri… quattro calici di vino e due dolci che non ricordo neppure, a distanza di un anno. Ma mi dicono che il Baronetto “vero” sia quello del table de chef. Ci sta, però quella cifra non potevamo permettercela. Ma in sala…