Degustare il vino, regole e accorgimenti professionali: primo, non farsi influenzare
di Roberta Raia
Sarà capitato a tutti, nel corso di una degustazione, di assistere a commenti circa l’aroma o il gusto di un vino, spesso contrastanti. Come sapere chi ha ragione? Ecco, questo interrogativo ci apre davvero un mondo: la degustazione coinvolge meccanismi delicatissimi e spesso essa è soggetta a “condizionamenti”, siano di natura fisiologica o psicologica, questi ultimi, sono molte volte sottovalutati perché difficili da comprendere, in quanto riguardano strettamente la nostra persona e risultano difficili da scardinare.
La degustazione è una pratica tanto affascinante quanto complessa e rappresenta una cosa diversa dal semplice bere: degustare sottintende un’ investimento di particolare attenzione e di grande concentrazione.
È d’obbligo, ancora, differenziare la degustazione tecnica da quella edonistica. La prima, necessita di accorgimenti sacrosanti che vanno dall’allestimento di una sala di degustazione a tecniche atte all’appiattimento -per quanto possibile- di tutti i fattori discriminanti.
La sala di degustazione deve essere un luogo molto confortevole e risultano importanti molteplici parametri come la regolazione della temperatura, che deve aggirarsi tra i 20°C ed i 22°C, l’illuminazione, preferibilmente diffusa ed uniforme, l’arredo ed i colori devono essere tenui, possibilmente chiari, non devono esserci elementi che possano causare distrazione.
Tale sala, infatti, è un luogo “sacrale” in cui raccoglimento e concentrazione sono di fondamentale importanza. Inoltre, il sito nel quale si svolgeranno le degustazioni tecniche deve essere lontano da fonti rumorose e da quelle che emanano odori forti (ubicare una sala di degustazione nei pressi di una discarica o di un acetificio non sarebbe cosa saggia).
L’atteggiamento degli assaggiatori deve essere rigoroso: a tale proposito si devono evitare profumi personali che interferiscono in maniera cruenta con gli odori del vino, il fumo, che interferisce sia sul gusto che “irreversibilmente” sull’olfatto, nonché astenersi dall’utilizzo di cosmetici.
I bicchieri devono essere scelti della stessa taglia per tutti i partecipanti ed i prodotti utilizzati per la detersione di attrezzature e pavimenti devono essere di odore neutro; questo è solo un piccolo canovaccio delle condizioni per effettuare una degustazione che attenui i fattori di disturbo.
È certamente paradossale pretendere che in una degustazione informale o in una cantina si sia forniti di tale attrezzatura, ma qualunque sia la situazione, si possono adottare accorgimenti che livellano le differenze tra noi e gli altri assaggiatori – come l’uso dello stesso bicchiere o/e l’inutilizzo di profumi e cosmetici- e cercando di eliminare gli elementi che interferiscono violentemente con la nostra degustazione. In altre parole, si può cercare di rendere una pratica di assaggio la più omogenea possibile.
Ammesso che si potessero eliminare tutti i fattori esogeni che arrecano disturbo (fatto utopico nel caso di una degustazione informale), ed avvicinarci molto alle condizioni del nostro amico degustatore, non è ancora detto che la percezione di uno stimolo sensoriale sia la stessa tra noi e quest’ultimo. C
iò dipende, prima di tutto, dalla fisiologia del singolo individuo (es. anosmia o iposmia), ma anche dall’esistenza di meccanismi molto delicati che interferiscono sulla degustazione, e che ne influenzano la sua attendibilità. Dunque, per quanto una degustazione sia oggettiva entrano in gioco una serie di fattori che rappresentano condizionamenti.
Ovviamente, più una persona è esperta ed addestrata, meno i condizionamenti sono in grado di influenzare l’esito di una degustazione , ma ciò non è comunque detto in toto.
La degustazione è la “sommatoria” di un atto che coinvolge i nostri sensi e questi ultimi rappresentano l’interfaccia tra le nostre percezioni ed il mondo esterno.
La percezione e cioè la risposta ad un determinato stimolo, può essere condizionata secondo meccanismi di associazione, quindi finisce per essere legata ad un’ informazione preesistente prevaricando la sensazione stessa.
Un esempio di quanto detto è brillantemente spiegato in un episodio de la “A la recherche du temps perdu” nel I volume di M. Proust.
CFR:
“ Ed ecco, macchinalmente, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzettino di “maddalena”.Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me… Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo nulla di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda. E’ tempo che mi fermi, la virtù del filtro sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è lì dentro, ma in me.”
“Il sapore delle madeleine” risveglia nel protagonista ricordi visivi ma anche emozionali legati all’infanzia. Questo aneddoto è emblematico di come una percezione sensoriale possa far riaffiorare dall’inconscio situazioni ed eventi che sembravano cancellati, ma che la nostra memoria una volta registrato, conserva.
Alcuni vini bevuti in particolari momenti possono entrare a far parte del nostro bagaglio emotivo e risultare essere legati indissolubilmente ai nostri ricordi, così può capitare che un determinato odore o sapore ci rimandi ad avvenimenti passati. In queste circostanze, appare chiaro che il nostro legame affettivo può condizionarne il giudizio.
I condizionamenti sono molteplici e di varia natura. Uno frequente è rappresentato dal luogo in cui si svolge la degustazione, a parte tutti gli effetti insiti ad avvenimenti fiera-style, quali confusione e l’elevato numero di campioni degustati, un caso tipico di condizionamento psicologico è rappresentato dalle degustazioni fatte in cantina: il clima di accoglienza e affabilità tipica dei produttori, coadiuvato all’atmosfera dei paradisi rurali in cui sono spesso immersi le cantine, ci predispone ad un atteggiamento positivo di partenza, la nostra rilassatezza ci appronta ad un atteggiamento più benevolo circa il giudizio del vino. Ogni attività svolta in cantina ha tutto un altro “sapore” e per esempio, anche una semplice mescita dalla botte, ci offre sensazioni che ci predispongono alla benevolenza.
Degustare il vino da una botte, infatti, ci fa sentire dei privilegiati, ci rende partecipi di un atto che consideriamo unico, facendoci entrare in empatia con l’ambiente. In un clima così genuino e sensazionale è facile farsi condizionare e, quindi, può accadere che un vino degustato in cantina potrebbe sembrarci più buono che se lo degustassimo a casa dopo una brutta e pesante giornata di lavoro (non me ne vogliano i miei cari e amati produttori!)
Un altro condizionamento è rappresentato dall’effetto etichetta, questo può suscitare reazioni opposte: potremmo sentirci inadeguati di fronte ad un prodotto con una fama consolidata ed indiscutibile e darne un giudizio positivo, oppure assumere un atteggiamento più severo e critico proprio perché ci troviamo di fronte al Davide da combattere.
L’etichetta è uno dei fattori maggiormente condizionanti, spesso risulta molto utile rendere anonime le bottiglie.
Lo stato psico-fisico contingente può influenzare i nostri giudizi, se siamo stanchi la concentrazione cala, se siamo nervosi o arrabbiati siamo più critici e meno “tolleranti”, uno stesso vino degustato in un momento di gioia potrebbe addirittura sembrarci migliore, rispetto allo stesso degustato in altre condizioni.
Le mode, inoltre, influenzano la nostra degustazione, il “gusto del vino” evolve, basta seguire le tendenze per rendersi conto di questa sorta di condizionamento, dei vezzi appartenenti ai vini di nuova concezione potrebbero essere stati interpretati come difetti nel passato e/o viceversa.
Anche il modello ancestrale, a cui siamo stati abituati, ci può influenzare non poco. Personalmente, mi è capitato di sentir dire “se il vino non è un po’ acetoso non mi piace”. Ai posteri l’ardua sentenza. Dove c’è gusto, comunque, non c’è mai perdenza!
Questo parametro entra a far parte della “branca” dell’abitudine, risulta lampante capire che se una persona è abituata a bere Chateau LaFite, altri vini, sempre ottimi risulteranno scadenti, allo stesso modo chi è abituato a bere vino in brik, troverà buonissimi vini di media qualità o addirittura disdegnare vini buonissimi perché l’abitudine lo ha portato a decifrare come piacevole, il consueto e cioè, in questo caso, il vino in “scatola”.
Spesso, ancora, può accadere di farci condizionare dall’atteggiamento “di chi sa” e per timidezza o inesperienza ci affidiamo al giudizio di altri, per il semplice timore di fare una gaffe, di essere giudicati o criticati. Questo è il vero “cancro” della degustazione, (a mio avviso), a volte farci aiutare da professionisti è molto utile, ma frequentemente capita d’incappare in “originali inventori di sapori ed odori” che con la loro verve, sono capaci d’influenzarci al tal punto, da farci perdere di vista la “fiaccola della verità”, o quantomeno il nostro modesto punto di vista.
È difficile prescindere dai vari condizionamenti, si può lavorare per cercare di eliminarli, ma il loro controllo totalitario è molto arduo, anche perché, come abbiamo visto, spesso l’esito di una degustazione parte da noi, ovvero dal nostro bagaglio culturale ed emotivo.
La cosa fondamentale da capire è che il nostro trascorso e cioè “chi siamo” incide sull’esito di una degustazione: ci sono così tante variabili che ci predispongono in maniera differente di fronte ad un odore, o ad un sapore, come il gusto personale, il nostro modello “ancestrale” di vino degustato, le mode, le considerazioni dell’oracolo eno-sapiens di turno che può influenzarci, il profumo che indossiamo tutti i giorni … potrei continuare all’infinito, i fattori che possono condizionare una degustazione sono davvero tanti e ne ho citato solo qualcuno a titolo di esempio.
Dopo questo breve excursus, sembrerebbe che la degustazione sia una pratica difficile e per pochi eletti.
Non è così, tutti possono apprendere, attraverso l’addestramento dei sensi, l’importante è cercare di mantenere un atteggiamento il più oggettivo possibile e cercare di non farsi suggestionare, diventare un degustatore serio, prevede sacrifici, l’allenamento deve essere alla stregua di un musicista o di un atleta che si allena giorno e notte, non è un esercizio da praticare solo nei ritagli di tempo o in chiassose manifestazioni, degustare deve diventare un’ ossessione, l’obiettivo della nostra vita, (nel caso la si scelga come professione).
Dunque se non la si sceglie come lavoro ma la si vuole praticare solo a livello amatoriale è meglio non affidarsi a “chiunque”, a meno che non si tratti di un “Jean Baptiste Grenouille”, e credere nelle proprie sensazioni e percezioni, seguendo una propria logica.
Non farsi influenzare è il primo passo per approcciarsi all’affascinante mondo della degustazione!
21 Commenti
I commenti sono chiusi.
Forse è anche importante conoscere la tecnica di degustazione di un vino
Sì. Ma l’articolo parla della “preparazione” Ad una degustazione e gli accorgimenti da mettere in atto per renderla il più omogenea possibile.
Brava Roby!
Ma la vera palestra non e’ “abbuffarsi” di vino per imparare a riconoscerne i sentori (questo forse dopo, ;) )ma allenare i sensi alla ricerca degli odori delle cose in natura e fissarne bene il ricordo nella propria memoria olfattiva.
Chi non ma mai annusato l’anice stellato o i chiodi di garofano hai voglia a far roteare il bicchiere…
A parte certi termini un po’ forti, quali ossessione e sacrifizio, all’interno di un quadro assolutamente limpido, mi resta la sensazione un po’ monca di un rapporto solipsistico tra il degustatore e il suo vino. Infatti sia nell’algido aspetto professionale che nel più morbido approccio amatoriale, sembra che la degustazione si risolva in una fredda descrizione, in un match con sé stessi, in una scheda analitica, in un punteggio. Il senso passa dal vino al degustatore, e stop. Credo, e magari sarà tema di un prossimo post di Roberta, che quel passaggio sia solo accessorio, l’alfabeto funzionale alla comunicazione di quel vino, al raccontarlo, a far sì insomma che la prospettiva si allarghi, che si instaurino suggestioni, questa volta virtuose, tra degustatore e lettori, fruitori, appassionati. Temo la figura del degustatore distaccato, ordinistico e tutto d’un pezzo: preferirei il racconto, una visione più contaminata, sghemba e obliqua, senza tintinnare di medaglie e distintivi.
Non demonizzo passione e amore per il vino e le sensazioni che questo può suscitare, non avrei scelto di fare questo lavoro, ma l’articolo parla proprio Delle influenze che le sensazioni (intese come emozioni, ricordi ecc) possono avere su una degustazione tecnica .
Tutto vero, ma, aggiungo, guai se non fosse così, anzi per dirla tutta e capovolgendo il discorso, temo che sia proprio la degustazione tecnica che può intaccare, limitare, tarpare le sensazioni, le suggestioni e, se mi passate la brutta parola, le emozioni, A parte forse le commissioni per i disciplinari, la degustazione tecnica, in sé, non serve a niente, non può essere un fine ma semplicemente un mezzo., un punto di partenza, per nulla centrale. Necessaria, ma insufficiente. Tanto più che proprio essendo tecnica, per definizione non è comprensibile a tutti. Insomma devo confessare che diffido fortemente del degustatore che giorno e notte si allena elencando tutti i descrittori delle schede: a me capita invece di addormentarmi cercando di “inventare sapori e odori”, confidando di non essere un cancro da estirpare (anzi certe parole sarebbe meglio lasciarle stare), e nemmeno un tedoforo della verità, né enoica tanto meno scientifica, ma anzi cercando di porre dubbi, suscitare curiosità, forse il vero viatico per la comunicazione del vino. Alla fine però sono assolutamente d’accordo con lei (e con me l’ispettore Michelin) che non c’è alcuna relazione tra le manifestazioni chiassose, spesso passerelle di presenzialismo, e una degustazione: anche per me è necessario esser solo, per un piccolo quarto d’ora, il tempo di pettinarmi i pensieri col bicchiere nella mano.;-)
La citazione di Proust ci dà un ottimo spunto per pensare che molto spesso i ricordi e le sensazioni soggettive prendono il sopravvento su semplici sensazioni sensoriali inquadrate scientificamente; quindi ben venga la degustazione oggettiva senza influenze, ma ciò che davvero conta quando si consuma un vino forse è tutto il resto, o no?
Hai colto perfettamente l’essenza di quello che ho scritto. Grazie :)
Io ti dico semplicemente grazie i tuoi articoli mi appassionano sempre e quest’ultimo forse tratta un tema ancora più affascinante a mio avviso. Brava Roby sei grande!!!!! ;)
Complimenti Roberta, il pezzo ha sbancato e spero serva da lezione a chi si avvicina vergine a questo mondo: in questi anni la cosa pù fastidiosa che ho visto è degustatori trasformarsi in tifosi, usare trucchi per abbassare la media, dire no solo perché tutti dicono sì al solo scopo di distinguersi, decidere in base al cumparaggio. Insomma il dilettantismo da stadio elevato a sistema.
E la cosa che trovo più pericolosa, e deprimente, di tutte, è che spesso queste scelte non avevano altre motivazioni se non quelle di carattere psicanalitiche. Al massimo di cumparaggio e merendaggio.
La seconda riflessione, qui Bressanini docet, è che in Rete non è necessario fare polemica, alzare i toni, scegliere argomenti frivoli per fare centinaia e centinaia di letture in un solo pomeriggio con una sosta di 4,30 minuti in media che in internet equivale ai Promessi Sposi. Basta avere un testo scientificamente valido e didatticamente scorrevole come questo
Grazie Luciano ;)
Oggi non ho proprio acceso il pc,sai stavo STUDIANDO! :)
Credo che la passione e la dedizione siano gli elementi che suscitano interesse, mi fa piacere che il mio sforzo di scrivere in maniera accessibile a tutti abbia avuto i suoi frutti!
Baci
Tra i pochi ad adottare una profillassi del genere ed un protocollo così rigido, inverosimilmente rigido, è Luca Maroni.
Avete letto bene, proprio lui.
L’articolo mi è piaciuto per il tono “poco ddidattico” e la sua immediatezza e facile comprensione da parte di chi non sia ferrato coi termini tecnici. L’intero rticolo focalizza sulle buone norme da seguire per allestire una sala di degustazione, cose vere, e sull’atteggiamento che deve assumere il degustatore. La tecnica tecnica non’è fatta di termini incomprensibili, anzi, si tratta di termini tratti dal dizionario della lingua italiana. Propio per evitare di non essere capiti esiste un linguaggio tecnico, come in tutti gli ambiti lavorativi, grazie al quale tutti esprimono le stesse sensazioni con gli stessi termini. Per questo non sono assolutamente daccordo con il Sig. Fabrizio Scarpato: il degustatore è l’unico attendibile, che invece di passare il tempo ad allenarsi con i descrittori si allena con spezie, prodotti erboristici e soluzioni, nonché con tanti vini: quindi il suo metro di paragone è forte di un bagaglio che gli consente di dare un giudizio autorevole.
Grazie antonio era proprio il mio intento, mi fa piacere che leggere ciò che hai scritto!
Il riconoscimento vocale ha fatto un po di errori, me ne accorgo solo ora
Che ne dite?
Giulia sei sempre gentile! :)
Talenti come pochi il tuo roberta!!! ;)
Grazie 1000! Leggo solo ora …
[…] di Roberta Raia Sarà capitato a tutti, nel corso di una degustazione, di assistere a commenti circa l’aroma o il gusto di un vino, spesso contrastanti. Come sapere chi ha ragione? […]
Trovo che l’argomento ascelto sia molto opinabile.
Sicuramente è troppo noioso, troppo tecnico (e sul web si sa sono pochi i veri conoscitori) e troppo prolisso!
Ed alla fine penso non abbia insegnato niente (o quasi) a chi avrebbe voluto imparare a come si effettua una degustazione!