Davide Oldani: il Covid ha accelerato i processi, adesso non possiamo più pretendere che chi fa il lavoro di cuoco rinunci a tutto il resto che la vita offre


di Monica Caradonna

Perché se fai il cuoco ti devi dimenticare della vita?

Davide Oldani è un fiume in piena energia ed esprime grande consapevolezza. Quella che è arrivata obtorto collo nei mesi marchiati a fuoco dal Covid e che proprio grazie a questo respiro prolungato e infinito è arrivata soltanto prima, ma lui già stava lavorando al cambiamento del rapporto uomo-lavoro. Prendersi cura del proprio tempo. Non relegare ai ritagli di tempo la propria famiglia. Non andare in palestra in orari improbabili. Trovare un equilibrio tra professione, di cui ci si deve innamorare, e vita. Sì, proprio quella, la V I T A che spesso chi ha scelto di indossare grembiule e toque blanche ha dimenticato, facendo affidamento su partner comprensivi che si sono fatti carico della baracca familiare.

Davide Oldani

Davide Oldani

Garantire benessere. È questa la regola aurea da cui ripartire. Ma in Italia è possibile? O le scelte sono lasciate alla volontà dei singoli imprenditori-chef? «Oldani è stato precursore in questo – ha detto Gianmario Verona, rettore della Bocconi; lui ha inventato un business model con la sua cucina pop, è andato oltre il tema tradizionale che prevede che un cuoco tecnico sia solo un maestro delle ricette. Oldani interpreta una linea creativa che non ha solo un risvolto nella ricetta ma nella strategia».

La lenta ripartenza è stato il focus intorno al quale Davide Oldani e il rettore dell’università Bocconi, Gianmario Verona, si sono confrontati nel corso di un’interessante conversazione durante l’ultima edizione di Identità Golose a Milano.

Lenta ripartenza solo come conseguenza dello stop legato alla pandemia?

È un tema per me caro. Ci sto lavorando da ormai sei anni. Il Covid ha solo anticipato alcune dinamiche. Il lockdown ha solo fatto esplodere e amplificato delle situazioni comuni a chi sceglie questo lavoro. Il Covid mi ha insegnato che se vai ad andare a 100 all’ora e non più a mille anche se ero arrivato a velocità ancora superiori. Fai meglio le cose. I risultati a livelli di pubblico e di personale sono arrivati. Una cucina più concreta, regole che portano rispetto a chi lavora nel ristorante. Dobbiamo rieducare il pubblico.

Oldani come si può conciliare l’amore per il proprio lavoro con la qualità della vita?

Qualità della vita, e quindi soprattutto tempo. Dovremmo riappropriarcene, mentre invece il nostro lavoro ce lo fa dimenticare. Riuscire ad vere tempo per sé, elemento di base per avere una buona ed equilibrata qualità delle vita, si scontra con le regole di un Paese che non supporta gli imprenditori. Durante il periodo di fermo obbligatorio per il Covid ho avuto molto tempo a disposizione per riflettere e per ripensare il mio impegno e soprattutto il mio rapporto con gli altri. Ho scelto di anticipare la cassa integrazione ai miei collaboratori, prendendomi cura di loro. Non potevo tutelarli dalla malattia ma potevo dare loro conforto con una normalità economica. Ma sarebbe bello che questa non fosse una condizione di un singolo imprenditore, ma servirebbero regole che ci mettessero nelle condizioni per conciliare vita e lavoro in maniera equilibrata. E non è una questione legata agli aiuti statali, ma è una distorsione del sistema che fa sì che se fai il cuoco, oggi, devi dimenticarti della tua vita.

Non è un rischio fare queste affermazioni? I giovani potrebbero spaventarsi. Cosa insegnare allora alle nuove generazioni?

I giovani si devono innamorare del mestiere perché è tale, ma dobbiamo trovare una via di mezzo. Per farli innamorare devi dar loro una vita. Non è possibile che se entri in una cucina dimentichi della vita. Ma in quale altro lavoro accade? Vorrei che il settore venisse considerato un po’ di più.

Da diversi anni ho accettato di condividere un percorso formativo con l’Olmo di Cornaredo, l’istituto professionale statale per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera, con il quale lavoro direttamente sul piano didattico. È da qui che il sistema Paese dovrebbe ripartire. Dalla scuola, dalle regole, da piani didattici moderni. Non si può pensare di poter fare tutto, ma bisogna centrare degli obiettivi.

Noi parliamo di piano didattico, ma prima ancora partiamo dalla divisa che deve essere per tutti uguale e che diventa un emblema di regole; dalla pulizia, dall’eleganza, dalle regole che oggi si applicano perché indotte dalla paura del virus, ma che in una cucina sono la base.

Il piano didattico parte da un ingrediente e poi arriva alla ricetta. Prima di saper preparare un piatto di pasta, devi sapere da dove viene una farina e cosa è. La cucina deve saper fare anche due conti.

Come il suo menù a 11,50? Antesignana operazione di marketing o cosa?

All’epoca quando l’ho lanciato non sapevo cosa fosse il marketing, ma avevo la consapevolezza di quello che ero; credevo in un progetto, avevo acquisito professionalità e sapevo di dover stare nelle mie possibilità. L’errore che spesso si compie, invece, è voler fare quello che fanno gli altri. E prima dell’esplosione delle fotografie e della mediaticità bisogna saper fare un fondo di vitello.