Da Locale a Firenze tra cucina d’istinto e miscelazione d’autore
di Monica Caradonna
«Diffida di quel fornitore che può procurarti su richiesta un prodotto identico e in quantità indefinite. Non è la materia prima con cui mi piace lavorare, tutta porzionata e uguale; io è da tempo che ho preso coscienza di voler lavorare con il contadino e con il pescatore; e nel mio menù – spiega Danilo D’Alessandro, chef di Locale a Firenze – non specifico neanche la tipologia di pesce che propongo a cena perché tutto dipende da quello che di fresco mi offre la mattina il mio pescatore di fiducia. La mia è una cucina d’istinto. Mi arriva il prodotto e decido come impostare la cucina».
Danilo D’Alessandro, classe ’85, abruzzese, apparentemente duro ma molto determinato, sorride poco, ma ha le idee molto chiare. Un cuoco di sostanza come gli abruzzesi ci hanno abbondantemente ormai abituato. Danilo arriva da Scanno, la Perla d’Abruzzo, a pochi chilometri da L’Aquila, uno dei borghi più belli d’Italia, ma che lui, come chi sceglie di essere cuoco, ha lasciato da ragazzino. «Ero simpatico a un mio insegnante e tramite lui sono andato a lavorare a L’andana» racconta lo chef. Nell’avamposto toscano di Ducasse poi ci è tornato dopo aver girato per il mondo, dopo essere stato a Monte Carlo al Louis XV – «perché se fai parte di una scuderia vieni mandato da un ristorante all’altro» – commenta, e dove ogni venerdì vedeva arrivare il suo maestro Alain Ducasse; successivamente è passato dalla cucina di Berton, per poi tornare per cinque anni a L’Andana come secondo di Christophe Martin, il bretone che gli ha trasferito il rigore e la disciplina in cucina, l’amore e il rispetto per la materia prima e la curiosità e la voglia di ricercare nel piatto il senso dell’equilibrio, partendo da un ricordo o da un’emozione – quello con cui si è cresciuti nella pancia – e che rende unica quella preparazione. «Vedi, un grande crudo può essere la prerogativa di un cuoco che con il grande crudo si è confrontato sin da bambino. Ognuno di noi porta nella sua cucina le proprie origini, le proprie emozioni e i ricordi, poi il resto è materia prima e tecnica».
Danilo è arrivato da un annetto a Firenze nella cucina di Locale un ristorante in cui il peso della storia di Palazzo Concini si sente eccome ma è mitigato, in un clima informale e di classe, dalla filosofia di una proprietà che ha voluto ricreare in un ambiente di pregio un’atmosfera accogliente ed elegante.
In questa cucina d’istinto, grazie alla proposta del pescatore, a noi è toccato un filetto di razza su un letto di ortiche con una salsa pizzaiola con brodo di alici. Un pesce delicatissimo che solo se è davvero fresco si arriccia, arrivato dopo una freschissima insalata servita su una crema di piselli con verdure fresche e fave. «Sono le ultime fave – dice quasi dispiaciuto lo chef – finita la stagione escono dal menù».
Interessante il tagliolino al nero di seppia, rigorosamente tirato a mano, con ricci di mare e vongole su una crema di aglio confit e zenzero e direi decisamente notevole il dolce non dolce che pulisce il palato e che allo stesso tempo invita alla piacevolezza e predispone ad affrontare alla maratona dei cocktail che qui a Locale portano la firma di bartender importanti che anche per la miscelazione scelgono prodotti che incuriosiscono e danno grandi soddisfazioni.
L’ingresso che nel 1200 era l’atrio che i Concini avevano destinato alle carrozze, è oggi uno dei più suggestivi cocktail bar sul mercato, guidato da Matteo Di Ienno dove ho provato un cocktail ovviamente base gin il Peter in Florence noto come il gin dell’eleganza, proposto all’interno di una carta che, ispirandosi alle imponenti mura, si chiama Gli aristocratici, ed è una selezione di cocktail realizzati usando distillati pregiati, da cognac invecchiati a whiskey single cask. Il lavoro, anche per il bar, parte dalle materie prime, dagli zuccheri, dagli acidi, dalla frutta; ci sono le erbette in terra sul bancone e uno dei due alambicchi per estrarre oli essenziali in bella mostra.
Nonostante una carta importante sia per nomi sia per impatto sulle casse, a Keith Richard, tornato da Locale dopo la cena consumata il giorno precedente nelle sale del suggestivo sotterraneo, in occasione del concerto dei Rolling Stones a Lucca, Matteo ha servito soltanto acqua di cocco aloe lime e orzata.
Un luogo incantevole in una delle strade suggestive di una Firenze elegante e segreta, con una storia sulle spalle che mette quasi imbarazzo e che affonda le radici in epoca romana per attraversare il 1200, di cui restano tracce indelebili nei sotterranei, per poi approdare in tutta la sua bellezza nel 1500 targato Cosimo de Medici. Si respira la storia in ogni angolo, dalla vecchia stufa ai soffitti in cui è riportato il mito di Cynara, la ninfa trasformata in carciofo, fino al cancello in ferro con chiodi al posto delle cerniere dietro il quale Cosimo Massaro, cresciuto nei Four Season in giro per il mondo, e sommelier del ristorante custodisce alcune tra le migliori etichette di una piccola ma molto molto preziosa carta vini che già da sola varrebbe il viaggio.
Locale
Via delle Seggiole, 12 Firenze
Tel 055.9067188