Cucina geotermica ancestrale, cuocere il cibo sul suolo caldo della Solfatara
di Marina Alaimo
Nel programma di Malazè 2010 si è svolta per la seconda volta la magia della cucina geotermica nella Solfatara di Pozzuoli. Quest’idea felice e suggestiva nasce da Rosario Mattera, presidente della kermesse Malazè, avente come scopo quello di promuovere il territorio dei Campi Flegrei divulgandone la storia, la cultura e le eccellenze enogastronomiche.
Rosario racconta che praticamente nella solfatara si è sempre cucinato, le guide vulcanologiche nei momenti di relax si divertono a preparare cibi sfruttando il calore del vapore emesso dalle fumarole del vulcano. Si perchè la solfatara è un vulcano, uno dei 40 che costituiscono il complesso vulcanico dei Campi Flegrei, ancora attivo e quindi continuo oggetto di studi, un vero e proprio laboratorio geologico all’aperto.
La sua è un’attività quiescente che continua da più di due millenni, che ha sempre suscitato grande interesse e curiosità negli uomini, Strabone la definiva la dimora del Dio Vulcano, Forum Vulcani, Plinio il Vecchio la menziona come Fontes Leucogei, per le acque biancastre che sgorgano dal suolo.
Tornando alla cucina geotermica di Malazè, ieri Tommaso e Gena, ristoratori della Compagnia del Ragù di Giugliano, hanno preparato due pietanze tra mare e terra, mantenendosi ben saldi al territorio di provenienza posto a cavallo tra i confini della provincia di Napoli e quelli di Caserta, dove quindi i prodotti del mare incontrano quelli dell’orto ed immancabilmente i latticini di bufala degli allevamenti casertani.
Pertanto hanno cucinato una millefoglie di alici con scarole e provola, poi un filetto di cefalo con pesto di basilico e pinoli. Intorno alle ore 19 la teglia con le pietanze è stata interrata nei pressi della Bocca Grande, la principale fumarola della Solfatara, dalla quale provengono emissioni di vapore che raggiungono la temperatura di 160°C.
Questi vapori depositandosi sulle rocce circostanti le tinteggiano piacevolmente di colore giallo rossastro, il suolo invece è cosparso di polvere biancastra creando un ambiente molto suggestivo e rilassante. La scelta dei pesci poveri non è stata casuale, bensì voluta da Vito Trotta, fiduciario della condotta Slow Food dei Campi Flegrei, prima perchè alici e cefalo rappresentano l’identità del territorio flegreo, profondamente legato all’attività della pesca, ma anche per sottolineare il valore delle varietà ittiche ritenute minori o poco pregiate.
Vito spiega che si sta perdendo la memoria e quindi la capacità di riconoscere i vari pesci che popolano le nostre coste, essendo stato globalizzato il mercato da varietà ittiche facilmente riproducibili in allevamento o provenienti da altri paesi che le propongono a prezzi bassissimi ed in grandi quantità.
Praticamente i pesci poveri locali sono diventati per la massa “pesci disimparati”, ce li siamo dimenticati nella fretta di comperare ciò che possiamo cucinare in modo veloce e senza grande impegno, magari già pronto in confezione da aprire e porre in forno con estrema comodità. La condotta Slow Food dei Campi Flegrei si sta impegnando tantissimo con iniziative quali Terra Madre, i presidi e gli Orti in Condotta per far sopravvivere la memoria e sopratutto il concetto della territorialità che nell’ambito dei prodotti ittici è rappresentata da alici, cefali, pesci stella, sugarelli, sarde, aguglie, pesci castagna, scorfani e così via.
Dopo circa trenta minuti le pietanze cotte dal vapore delle fumarole sono pronte e vengono impiattate, accompagnate dai vini dell’azienda locale La Sibilla, Falanghina dei Campi Flegrei 2009 e Cruna del Lago 2008. La cottura è buona, ottimi i piatti di Tommaso e Gena, ma sopratutto molto valida l’iniziativa e profondamente suggestivo il poter cenare all’interno di un vulcano, al buio, godendo del tenue bagliore della luna riflesso dal forte candore del suolo bianco della solfatara colorato qua e là da pennellate di giallo, ocra ed arancione.
Un commento
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una curiosità: che ci si puo’ bere sopra con intorno e penso anche nei piatti tutto quell’odore di zolfo ?