Cruna De Lago 2008 Falanghina Campi Flegrei doc, ovvero piccoli enologi crescono |voto: 85/100
LA SIBILLA
Uva: falanghina
Fascia di prezzo: dai 10 ai 15 euro
Fermentazione e affinamento: acciaio
vista: 5/5. Naso: 24/30. Palato: 24/30. Non Omologazione 32/35
Giovani enologi crescono: e crescono bene in tutti sensi, non solo per la forte volontà, poco comune in un ragazzo dell’età di Vincenzo di Meo, oggi primo Enologo nell’azienda di famiglia dopo studi in centro Italia e una faticosa, quanto illuminante gavetta con il wine maker Roberto Cipresso, ancora consulente della cantina, dal quale Vincenzo assorbe continuamente i concetti fondamentali dell’importanza del territorio e della mano dell’uomo per la produzione di un vino che sia il reale specchio del famoso “terroir”. In questo caso, siamo nel cuore dei Campi Flegrei, dove, per esprimere vini di tal fatta, partecipano non solo, le caratteristiche geo – pedologiche e climatiche donate da Madre Natura, ma anche la capacità degli uomini che la abitano di leggere le vigne dalle quali deve venir fuori un vino, progettato nel pieno rispetto delle caratteristiche di cui sopra. Rispetto, questa è una parola d’ordine nella famiglia di Meo: rispetto per la natura, per il suo naturale ciclo mai eguale a sé stesso, rispetto per le persone, per gli anziani per il loro sapere fondamentale tramandato a mezzo di gesti e tradizioni orali. Tutto questo accade a Bacoli, quando si varca il piccolo cancello, non s’immagina lo spettacolo al quale si sta per assistere. Qui vive una famiglia numerosa che è in sostanza una comunità rurale non dichiarata, tutto è condivisione e rispetto, sicure garanzie di costanza di qualità a distanza di anni.
L’azienda è stata anche inclusa nella recente Guida alle Piccole Cantine della Campania di Luciano Pignataro .Il vigneto Cruna de Lago si trova sulla collina di Baia a picco sul lago del Fusaro, misura giusto 2 ettari dai quali si ricavano mediamente 3000 bottiglie. Il nome del vino deriva dal fatto che Nonno Vincenzo quando andava sulla collina usava chiamarla cruna ad indicare la forma ovale del lago. Da qui il nome del vino che oggi indica una particolare selezione , appunto un Cru da vigne di oltre 60 anni su terreni assolutamente vulcanici con residue stratificazioni di ceneri e lapilli. Le viti sono esposte a sud – ovest a circa 70 mt s.l.m. La fermentazione è quella classica in acciaio, con affinamento sur lies per circa sei mesi e ulteriori sei mesi di affinamento in bottiglia. Sono felice dell’esistenza di cantine che hanno compreso l’importanza di saper aspettare il tempo necessario e soprattutto, hanno intuito che la marcia in più viene ai nostri vini dal lavoro di verticalizzazione dei cru , come parametro distintivo aziendale in un’era che globalizza anche l’aria che respiriamo. Mi ritrovo tra le mani l’annata 2008, prezioso residuo della degustazione del 23 febbraio presso il Circolo Savoia a Napoli, in occasione della presentazione della Guida di cui sopra e dell’inaugurazione del ciclo d’incontri “il Fascino del Vino” che conduco al Savoia dalla fine di febbraio. Un’esperienza molto istruttiva volta a rendere consapevoli bevitori, semplici appassionati di vino, senza alcuna nozione di base in merito. Un bel modo di comunicare il nostro sud. Torniamo alla bottiglia: intanto, mi colpiscono eleganza, sobrietà e stile del packaging: nessuna esplosione cromatica, o effetti speciali, anzi una marcata tendenza verso il classico e l’understatement, modello bordolese che gioca tra i toni del nero, scale di grigio e argento, a raffigurare i resti della la famosa villa di Giulio Cesare a sette piani, protetta nel parco archeologico, alle spalle del vigneto, da dove si possono ammirare i resti dei due porti quello turistico e quello militare di Cuma, poi spostato a Miseno. Il tutto conferma la mia tesi ormai acquisita: “il vino somiglia a chi lo fa”: qui dentro ci sono Nonno Vincenzo, papà Luigi, Vincenzo Jr, l’altro fratello ora sommelier da Don Alfonso e mamma Restituta.
Apro la mia bottiglia nell’orario canonico di degustazione a mezza mattinata, lontana dal caffè , prima di pranzo. L’annata 2008 è stata decisamente equilibrata e si riflette appieno nel bicchiere. Il colore, a quasi quattro anni di distanza dalla vendemmia settembrina, si mantiene vivace e luminoso, con riflessi sì dorati ma, che ancora mostrano qualche pagliuzza verdognola, a dimostrazione della capacità di questa falanghina di sfidare il tempo, riposando in bottiglia. In roteazione è decisamente consistente, annunciando una buona struttura alcolica (13, 5%). Il naso è un vulcanico, fluente susseguirsi di sensazioni: prima una botta d’intensità di fiori profumati, poi frutta gialla non tanto matura, un accenno di tropicale non stucchevole; ancora note fresche ma profondamente delicate: un leggero sentore vegetale e una sniffata appena percettibile di salvia. Lasciando riscaldare il vino nel bicchiere per un po’, salgono al naso altre erbe delle tipica macchia mediterranea dei Campi Flegrei e una nota leggera di peperone verde. La frutta si fa di nuovo viva : pesca gialla e ananas non troppo maturi, e poi i sali minerali a go go , sapidità decisa nei riverberi del suolo vulcanico. Il terreno e la sua composizione si avvertono al naso e al gusto con sensazioni di idrocarburi ancora appena accennate. Le escursioni termiche di fine agosto – inizio settembre, hanno fatto bene il proprio lavoro. Al gusto la notevole struttura alcolica è ben bilanciata da acidità e freschezza fuori dal comune per un vino di quasi quattro anni. E’ un vino, profondo, verticale: la sapidità, dovuta alla vicinissima brezza marina, regna incontrastata e incontenibile. La chiusura di bocca è decisamente coerente, il palato resta pulito, curioso di provare nuove emozioni , in effetti dopo unna discreta sosta nel bicchiere si avvertono delle sensazioni quasi tattili: ceneri e lapilli, accompagnate da un piacevole retrogusto, tipico della falanghina, di mandorla fresca amara. Gli abbinamenti? Le verdure della cucina napoletana, anche fritte, primi piatti di mare abbastanza corposi e poco salsati, frittatina di fiorilli , o asparagi, e perché no?
Anche una bella, super tradizionale pasta e piselli freschi, tubettini, cipolla e pancetta, naturalmente by Mamma Restituta.
scheda di Giulia Cannada Bartoli
Sede in via Ottaviano Augusto, 19 in Bacoli. Tel-081 8688778 fax: 081.3047589 Sito : www.sibillavini.it Enologo: Vincenzo Di Meo con la consulenza di Roberto Cipresso. Bottiglie prodotte: 70.000. Ettari vitati: 9. Uve: Piedirosso, aglianichella, olivella, marsigliese, falanghina. L’azienda è anche un’attiva realtà agricola, gruppo di raccolta dei GAS ( gruppi d’acquisto solidale) Slow Food dei Campi Flegrei
9 Commenti
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Roberto Cipresso ha parlato di questa falanghina durante un incontro alla Spezia: se non ricordo male per lui questa esperienza era il pretesto per andare indietro nel tempo, alla ricerca del terroir più antico possibile, delle sensazioni più vicine alle prime vigne impiantate in zona. E’ lì la diversità, nel territorio, non solo e semplicemente nel vitigno. Parafrasando M.me Leroy la migliore e più vera falanghina è quella che non assomiglia a una falanghina.
:))
nulla da dire sulla valutazione e sulla scheda di degustazione. Il vino, che ho bevuto da poco, è sicuramente molto interessante ma, è qui naturalmente si tratta di gusto personale, della zona flegrea preferisco altre falanghine, probabilmente più omologate ma almeno per me più piacevoli. Ma poi, mi chiedo, se l’omologazione si riferisce alla riconoscibilità del vino, è un difetto?
Quella non è omologazione, Mario, piuttosto “franchezza”…;-))
non si tratta di omologazione, se per questo termine intendiamo adeguamento al gustoprevalente o del mercato.
la piacevolezza è un fatto soggettivo ed innegabile
qui parliamo di diversità di territori e di capacità dei vignaioli di esprimere al meglio tale diversità facendo il vino come se facessero una radiografia anzi una “risonanza magnetica” al territorio in tutte le sue compenti, fattore umano incluso:)
Mi piacerebbe portare il discorso alle estreme conseguenze.Sebbene senza particolare supporto tecnico scientifico, ho sempre pensato che il territorio prevalesse sul vitigno: territorio come espressione pedoclimatica, terreno, saper fare, curiosità e filosofia umana, insomma il terroir. Questo comporta un indebolimento, un porre in secondo piano il tanto sbandierato concetto di vitigno autoctono che mai mi ha convinto. E’ autoctono il terroir non il vitigno. In un luogo si potrebbero coltivare tutti i diversi vitigni più adatti ( e sottolineo i più adatti ) e tutti si piegherebbero alle caratteristiche del territorio, se inseriti con consapevolezza, senza condizionamenti esterni e mercantili subiti passivamente. Dove c’è scelta, c’è libertà, dove c’è libertà c’è diversità e identità, il che non significa affatto piantare solo chardonnay, sia chiaro.
Anche ricollegandomi al post su Lapio, non basta fare Fiano (che di per sè è gia una bella scelta) ma servirebbe capire e ammantare di fascino i territori, Lapio, Montefredane, Cilento…
ringrazio quanti si sono “agganciati” al mio post, faccio presente comunque che il sottoscrtto è un semplice appassionato di vini e sia la Falanghina sia il Fiano mi piacciono “assai” Grazie quindi a Lello, Giulia e Fabrizio
:)))
Anche i Campi Flegrei, e non mi dispiace affatto sottolinearlo, hanno tante piccole parcelle dove l’ambiente pedoclimatico cambia come la notte col giorno; la giovane età dei protagonisti – se solo pensate che l’azienda leader ( e ribadisco Leader) Grotta del Sole, ha poco più di quindici vendemmie fatte come “dio comanda” – ci permette di stare tranquilli sulla proiezione nel futuro che guarda assolutamente alla qualità. Per contro, poca memoria liquida a decretarne uno storico tangibile, ma c’è chi sta lavorandoci sopra, e Luigi Di Meo è uno di questi. La famiglia tutta è la sintesi che si può trarre dalla moltiplicazione per cento di ospitalitàxamore del proprio lavoroxdedizionexonestà (non solo intellettuale)!