Congregazione 2012 Fiano Campania igp, Antoine Antoine cosa hai fatto?
Uva: fiano
Fascia di prezzo: 15 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
Questo vino è tanto buono quanto lontano, lontanissimo, dalla stupenda bellezza dei bianchi a cui Antoine Gaita ci ha abituato dal 1997 in poi. E la prima cosa che mi viene in mente è la tesi secondo la quale non è l’uso dei lieviti indigeni che allontana dall’omologazione, ma lo stile del produttore e la sua capacità di interpretare il vitigno, l’uva e le caratteristiche del territorio in cui viene piantata.
La seconda è: cosa sta succedendo ad alcuni produttori? Mentre quasi tutti sembrano ormai incamminati su un percorso già definito, in alcuni casi, per un motivo o per l’altro, c’è quasi una sensazione di arretramento, di stanca.
Ora io capisco che ciascun produttore prenda una direzione e la rispetto perché il mio lavoro non è dire come va fatto il vino, ma raccontarlo.
Anche perché per salire in cattedra e spiegare cosa deve fare una commissione tecnica di verifica della Camera di Commercio (verso la quale il produttore non ha fatto ricorso) ci vorrebbe minimo una laurea in Enologia:-)
E i casini italiani nascono quando gli enologi vogliono fare i comunicatori e i giornalisti spiegare come si deve fare il vino e trasformarsi da critici a tifosi.
Il punto vero è che però non si può cambiare strada in continuazione. Vale nella vita (a parte i deputati che passano da un partito all’altro come fa la gente nei cessi dell’Autogrill) come nel vino.
Per dire: se io voglio un vino bianco naturale in Campania non ho dubbi, prendo l’auto e vado ad Ariano Irpino per sborracciarmi le magnifiche etichette di Antonio Di Gruttola.
Ma non era questo lo stile da cui era partito Antoine.
Quello che non capisco è perché nel mondo del vino il mezzo è diventata una discriminante, un punto ideologico, quasi, spesso, una divisione manichea tra buoni e cattivi. Come dire che chi usa Facebook è omologato e chi Twitter è figo (per un periodo c’è stata davvero anche questo sentimento) senza entrare nel merito del contenuto, cioé di quello che si dice e si trasmette.
Comunque, un dato è certo: spero che Antoine riprenda a fare Antoine. Per lui, ma soprattutto per noi.
Intanto ci beviamo il suo bianco buono, ma decisamente lontano dal Fiano di Avellino docg.
Niente di più facile che per i meccanismi perversi della comunicazione e del continuo bisogno di novità diventi un grande successo, e allora avrà avuto ragione lui.
Ma tra dieci anni quale dei suoi vini potremo ancora bere? Questi raccontati nella verticale di Vigna della Congregazione dello scorso anno a Radici
Sede a Montefredane, Via Toppole
Tel. 0825.30777, fax 0825.22920
Email: [email protected]
Enologo: Antoine Gaita
Bottiglie prodotte: 10.000
Ettari: 3,5 in agricoltura biologica
Vitigni: fiano
8 Commenti
I commenti sono chiusi.
Non so chi sia l’autore di quest’articolo, ( non c’è scritto ) ma da quello che scrive sembra un appassionato di vini “rustici” come me e comprendo quindi il risentimento verso le aziende come Diamante che, forse per questioni di marketing tendono a “standardizzare” i loro prodotti.
Quello che invece non condivido è dichiarare che l’unico vino bianco naturale in Campania, in commercio, sia in quel di Ariano Irpino! Ma stiamo scherzando? É scorretto e allo stesso tempo molto grave quel che afferma, non solo per un fatto di forma, di tatto ma anche perché di vini “naturali ” ( che poi vuol dire tutto e niente) , in Campania , ve ne sono…
Quando gli articoli non sono firmati sono ovviamente miei come recita il nome del blog
Quanto al suo ragionamento, ha un suo valore di tipo, come dire, legale-burocratico e sappiamo che su questo il dibattito è aperto.
Però nell’ambiente del vino quando si dice “naturale” si intende comunemente un vino senza solfiti aggiunti, magari con macerazioni più lunghe, etc.
Per cui ribadisco: i vini di Cantina Giardino sono gli unici che ritengo interessanti in Campania in questa categoria. Ci aggiungo solo i vini frizzanti di Casebianche.
Le mie sono solo opinioni, ovviamente. Sarò ben lieto di leggerne altre
Sig. Pignataro vengo subito al dunque ribadendo semplicemente che secondo me é eticamente scorretto che un personaggio pubblico ( o cmq un blog come il Suo) come Lei, le cui parole/pareri possono avere un’importante risonanza,si esprima univocamente e palesemente a favore(anche indirettamente) di un’azienda,o meglio le contesto la forma, e non i Suoi gusti che sono insindacabili come quelli di tutti!
Mi chiedevo in base all’enorme esperienza che ha accumulato in tantissimi anni , diretta e indiretta , quanto per Lei ( in piccole percentuali e ovviamente molto meno dei limiti consentiti per legge ) la solfitazione influisca sulla naturalitá di un vino…
Caro Luciano,
Non amo molto partecipare ai blog che trovo spesso troppo dispersivi ma qui vorrei proporre qualche commento sul ruolo della commissione di assaggio.
1) a parte le caratteristiche analitiche (unico punto obbiettivo) il disciplinare di produzione resta talmente vago nel definire le caratteristiche organolettiche rendendole totalmente soggettive a tal punto che negli ultimi trent’anni il fiano di Avellino DOP ha preso tante e tante vie e forme tutte accettate per non menzionare il periodo in cui veniva fatto in legno e non in acciaio.
2) il disciplinare di produzione prevede il giudizio di una commissione di assaggio ma non specifica il suo ruolo se non vagamente: dico che il ruolo della commissione di assaggio dovrebbe uscire fuori dal quadro di piena soggettività nel quale ristagna attualmente ed entrare nella modernità di un analisi più legati a precisi descrittori oggi abbondantemente disponibili. Ma in questo caso il disciplinare dovrebbe accoglierli. Nessuno però sa di cosa deve sapere il fiano. Troviamo oggi tanti big bubble ad opera di lieviti selezionati che caratterizzano soprattutto i vini consumati dopo sei mei dalla vendemmia, con terpeni liberati a colpi di beta glucosidasi, che non esistevano nel fiano più tradizionale; solo quando avendo idrolizzato il primo anno tutto quello che c’era da idrolizzare e liberato il vero fiano con i suoi sentori complessi che gli derivano dai precursori di aroma contenuti abbondantemente nell’uva ben matura troveremo il fiano, una delle uve più ricche al mondo di sentori potenziali e nessuno sa con precisione quali si esprimeranno colla maturazione del vino.
3) Io non so no ancora diplomato in enologia ma sono laureato in chimica (come lo scomparso del grande Antonio Mastroberardino e il presidente della Commissione di assaggio attuale che conosce bene tutta la storia del gusto del fiano di Avellino visto che occupa la posizione da più di trent’anni) e credo di potermi permettere di suggerire come dovrebbe essere costituita una commissione di assaggio e quale dovrebbe essere il suo ruolo. Voglio dare qui solo qualche spunti per un più ampia riflessione:
– costituzione della commissione di assaggio: tecnici (enologi oggi in tanti), degustatori (si dovrebbe costituire un piccolo pan nel di degustatori), giornalisti specializzati e altri indicatori di mercato
– ruolo: non potendo riferirsi ad una tipicità che non esiste, non può esistere e non deve esistere nel fiano di Avellino, pena standardizzazione e relativo impoverimento, non consentire l’accesso della DOP solo ai vini non buoni con difetti macroscopici e non giudicare secondo il proprio gusto
– obbligo: definire con precisione il difetto intollerabile riscontrato
4) prevedere una seria rivisitazione del disciplinare di produzione con eventualmente una modifica sostanziale delle produzione specifiche ad ettaro in modo da evitare che vini venduti sulle scaffalature dei supermercati a meno di tre € e a più di quindici siano semplicemente chiamati con la stessa denominazione Fiano di Avellino DOCG, lasciando il compratore straniero abituato all’ordine ed articolazione delle appellazioni francesi semplicemente smarrito.
Caro Antoine
ti ringrazio per la risposta e per le riflessioni, ampiamente condivisibili. Il Bubble Gum fa sicuramente schifo quanto un vino difettato
Una sola precisazione: quando mi riferivo alla necessità di una laurea non parlavo di te, ma di sedicenti critici che si disegnano un ruolo salendo su una cattedra che nessuno ha mai dato loro e impartiscono noiose lezioncine a chi lavora e ha studiato.
Come se io iniziassi a dire come si fa un’operazione al cuore dopo aver legiucchiato qualcosa su internet a un primario.
Detto questo, sono proprio interventi come i tuoi che danno un senso al blog perché consentono una discussione ampia e serena.
Magari insieme, come sempre, davanti al tuo magnifico Fiano
Luciano, ma cosa manca esattamente al vino rispetto al passato?
Spinta e complessità
Luciano ha ragione, ad alcuni vini manca la spinta per esser venduti e la complessità dialettica in cui trincerare un giornalismo spesso di parte e per niente super partes. Non è il caso dei vini di Antoine per la fortuna di tutti ed è anche vero che è difficile descrivere con distacco le questioni che interessano sensazioni gustastive, ovviamente soggettive, ma mi fa strano sentir parlare di rispetto e cose simili e poi suggerire un ritorno alle origini ad un produttore come Gaita. Per me tanto di cappello a chi fa scelte rischiose e coraggiose, stimolanti per la mente ed il palato, senza cullarsi sugli allori al fine di trovare sempre quell’unicità che li ha sempre distinti. Io il vino ho la fortuna di berlo e l’onore di venderlo, consigliarlo, abbinarlo e se me lo potessi permettere le 3300 bottiglie di questo splendido vino le comprerei in stock, subito.