Con la pasta e patate gli scarti diventano gourmet
di Carmen Autuori
Forse al pari del ragù la pasta e patate è uno dei patrimoni della cultura gastronomica partenopea. E’ il piatto trasversale per eccellenza, mette d’accordo grandi e piccoli, poveri e ricchi, palati gourmet e non. E inoltre si caratterizza per la sua grande versatilità. Pasta avanzata dal giorno prima? Niente paura, riscaldata in padella, “arruscatella” come dicono a Napoli, è ancora più buona! Che dire poi delle frittatinedi pasta e patate che vanno ad affiancare quelle classiche, regine dello street foodpartenopeo. Esiste una versione al forno che può essere preparata in anticipo oppure una con le cozze che regaleranno al piatto un profumo di mare davvero goloso. Tutte queste varianti e gli stessi ingredienti che la compongono, pasta mista, scorza di parmigiano o, nella versione più ricca, un pezzetto di pancetta, qualche quadratino di provola (meglio se del giorno prima) fanno di esso anche un piatto “sostenibile”. E non è poco.
Dicevamo trasversale. A tal proposito pasta e patate già da qualche anno ha conquistato l’alta ristorazione dal bistellato Gennaro Esposito di Torre del Saracino a Vico Equense che la impreziosisce con il Provolone del Monaco a quel capolavoro che ricorda un quadro d’autore di Nino Di Costanzo di Danì Maison ad Ischia. Qui sono impiegate ben 35 trafile di pasta e 5 tipologie di patate.
Ma facciamo un passo indietro. Napoli fu uno dei pochi luoghi ad accogliere quasi senza diffidenza la patata, a differenza del resto d’Italia e dell’Europa. Probabilmente perché la fame atavica, retaggio endemico della città di Partenope, poteva essere placata con questo tubero facilmente reperibile e a buon mercato.
Sebbene molto diffusa già dal Seicento insieme al pomodoro, bisognò aspettare la sesta edizione del “Cuoco Galante”, il bestseller di Vincenzo Corrado, alla fine del Settecento, precisamente l’ “Appendice 2” denominata “Trattato Pitagorico”, affinché la patata perdesse del tutto, anche presso le classi aristocratiche, l’aurea nefasta che l’aveva accompagnata nel corso dei secoli. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il tubero era stato considerato fino ad allora, ma anche in seguito, il cibo delle carestie, adatto ai maiali e alle classi più povere.
Mentre a Napoli il Corrado restituiva dignità alla patata, in Francia Antoine Parmentier tesseva l’elogio del tubero declinandolo nelle varie zuppe e vellutate chela vedevano protagonista.
A Napoli, in realtà, la sua vera fortuna fu quella di incontrare la pasta, nello specifico la “minuzzaglia”, pasta mista ottenuta dagli scarti di vari formati trovati in dispensa o che i poveri, quando si era veramente poveri, racimolavano facendo il giro delle botteghe.
L’uso della pasta mista si è rivelato il tocco geniale del piatto, riuscendo a creare un perfetto amalgama con la cremosità delle patate il cui valore aggiunto è dato da un’idea di pomodoro.
Altro ingrediente fondamentale era (ed è) la crosta di parmigiano che, opportunamente privata della parte più esterna e tagliata in due o tre pezzi, viene calata nel brodo vegetale e lasciata cuocere a lungo. Ed è proprio la lunga cottura a far rinascere a nuova vita questo elemento di scarto che diviene cedevole al morso e vero e proprio piacere per il palato.
Accanto alla versione classica poco adatta alle temperature roventi di questi giorni, dato che alla pasta e patate non sappiamo proprio rinunciare, tra i tanti modi in cui può essere declinato il piatto vi proponiamo la versione bianca, o meglio estiva. Il colore, la provola o il basilico la cui nota di freschezza ben si adatta alla stagione, ci daranno l’illusione che stiamo mangiando un piatto leggero. Se poi non è vero, non ha importanza. Certo è che questa versione è altrettanto buona di quella invernale ed ha il vantaggio di poter essere preparata velocemente, praticamente il tempo di cottura della pasta.
Ingredienti per 4 persone
350 g di pasta mista
2 patate grosse a pasta bianca
4 cucchiai di olio evo
1 spicchio d’aglio
200 g di provola affumicata (asciutta)
Pecorino grattugiato
Sale
Pepe
Basilico fresco
Procedimento
Tagliare a cubetti piccoli le patate e portarle ad ebollizione in abbondante acqua salata. Aggiungervi la pasta e lasciar cuocere al dente.
Nel frattempo far dorare l’aglio nell’olio in una padella antiaderente. Scolare la pasta con le patate, avendo cura di lasciare un poco di liquido di cottura, e saltarla nella padella aggiungendovi la provola a pezzettini. Qualora ve ne fosse bisogno allungare con un poco di acqua di cottura della pasta. Dopo qualche minuto, spegnere la fiamma e mantecare con il pecorino spolverare con un pizzico di pepe e servire dopo qualche minuto con abbondante basilico.
Un commento
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Nel 1956 l’ho provata a Parigi. All’Hotel Compte de Crillon. Dove lavoravo
E’ una pietanza antica francese “Potage Bonne Femme”. La ricetta potete troverla sul “Le Repertoire de Ciusine”