Cirò Marina, vendemmia a trazione integrale con Nicodemo Librandi
È una calda giornata dopo Ferragosto, fortunatamente il vento sulla costa jonica della Calabria non manca mai.
Ero convinta di aver fissato un appuntamento presso la cantina Librandi per una semplice degustazione. Squilla il cellulare: Nicodemo Librandi. “ ma dove si trova”? – a pochi passi dalla cantina – rispondo. La sto aspettando in vigna a Casabona, mi fa. Brusca inversione di marcia e ci sono; abbigliamento poco adatto all’occasione, pazienza. Rocca di Neto – Casabona, Strongoli e Melissa sono quattro piccoli comuni che formano un quadrilatero, a pochi km da Cirò Marina. Una zona più interna, vigne semi –collinari, diverse da quelle di Cirò Marina, spesso confinanti con il bagnasciuga.
Qui sorge la rigogliosa azienda Rosaneti, circa 250 ettari acquisiti nel ’97, da dove provengono i vini Igt Val di Neto e Melissa Doc di Casa Librandi
Nicodemo Librandi, il pioniere del Cirò mi aspetta, in mise vendemmiale, a bordo di un polveroso fuori strada a trazione integrale. Con un sorriso mi fa cenno di seguirlo.
Dopo un paio di chilometri , deposito la mia “barattolina gialla” e mi arrampico a fatica sul fuori stradaJ. Prima di partire per l’inatteso tour, il Professore mi mostra le cassette di chardonnay, già vendemmiate, gli operai sono in pausa, hanno iniziato alle 5 del mattino.
I primi vigneti di maglioccco che mi appaiono salendo, sono quelli dove l’azienda ha risanato gli impianti con l’incrocio 17/37 in collaborazione con la facoltà di Agraria di Palermo. La sperimentazione è partita nel 1993, la prima vendemmia nel 1995, quando si ricavarono tre piccole botti di rovere di magliocco, mantonico, arvino; il secondo raccolto nel 1996, diede gli stessi risultati. Si decise quindi di puntare fortemente sui vitigni autoctoni e sulla ricerca, cambio di guardia anche per la guida enologica, da Severino Garofano a Donato Lanati.
Scorrazziamo da un confine all’altro della tenuta Rosaneti, vigne curate come giardini da ogni parte. Gli operai in vigna sono circa 250, tutti della zona, dichiarati come braccianti agricoli, a significare la volontà di restituire dignità ed orgoglio al reddito agricolo e, in particolare, riportare in alto la viticoltura cirotana che ha attraversato e, in parte, ancora incontra momenti di forte difficoltà.
Qui a Rosaneti, mi racconta il Professore, con gli occhi blu luccicanti come quelli di un ragazzino, “mi sto divertendo con le sperimentazioni del magliocco e del gaglioppo e di altri antichi vitigni: selezione clonale, reimpianti con innesto di vigne prima allevate a chardonnay e cabernet. Lo spazio è tanto, abbiamo creato il vigneto sperimentale in forma circolare, che raccoglie il risultato di tre anni di pellegrinaggio per tutta la Calabria, dove in collaborazione con diverse facoltà italiane, abbiamo rinvenuto oltre 180 varietà diverse, sicuramente calabresi. Stiamo costruendo una struttura di’accoglienza, un’area convegni, la sala degustazione e il museo della viticoltura”. Le parole sgorgano a fiumi dalle labbra del Professore – Vignaiolo di Cirò, la millenaria Cremissa, è interrotto soltanto da decine di chiamate telefoniche per aggiornamenti e istruzioni sulla vendemmia in corso. L’entusiasmo è irrefrenabile, più forte di ogni difficoltà, anche perché oggi, Nicodemo ha una marcia in più: la passione e l’impegno con i quali i suoi due figli, Paolo e Raffaele hanno sposato, già da alcuni anni, il futuro dell’azienda e del Cirò, trattati al pari di qualsiasi altro dipendente della cantina. Intanto, Magliocco e Mantonico, sono da tempo vinificati in purezza, dando vita a Magno Megonio e l’Efeso.
Duecentotrentadue ettari vitati, due milioni e ottocentomila bottiglie: ci sarebbe da star tranquilli. Neanche per sogno, il Professore quarant’anni fa si è laureato in matematica, ma poi si è specializzato in “gaglioppologia”, ad intendere che si parla di un uomo profondamente innamorato della sua terra, un personaggio del fare, una ne fa e cento ne pensa, di giorno e di notte, capace di fare bene un bel po’ di cose contemporaneamente. Ciò che colpisce è il fatto che le grandi dimensioni dell’azienda non abbiano intaccato il rapporto umano fatto di scambio quotidiano con ogni singolo uomo o, donna, facenti parte del personale. Il Professore conosce i nomi di battesimo di tutti loro.
La sperimentazione ha condotto Librandi ad approfondire un altro serio problema che osta al decollo definitivo della viticoltura nell’areale del Cirò.
Oltre all’atavica ritrosia verso la coesione e collaborazione, il problema vero è restituire dignità al reddito rurale dei piccoli viticoltori e conferitori, per recuperare l’orgoglio contadino e al tempo stesso, innalzare la costanza della qualità della viticoltura e, conseguentemente, delle uve. Nessuna standardizzazione, anzi, rispetto massimo delle diversità ed utilizzo delle giuste tecniche per l’esaltazione di queste ultime.
Da Casabona, prima di rientrare alla base, ci fermiamo lungo il tratto della statale 106, dove le vigne si maritano con il mare. Librandi, con entusiasmo incontenibile, mi fa: “adesso le faccio vedere la vigna più bella del mondo.” Ci addentriamo tra i viottoli sabbiosi che portano al mare, vedo un cartello e comincio a capire di che parla il Professore…
Librandi ci è riuscito: insieme ad altri illuminati produttori, ha prima dato vita all’Associazione degli imbottigliatori calabresi e poi ha messo assieme, 42 dei suoi conferitori, distribuiti nelle varie aree delle denominazioni della costa Jonica, che, oggi formano l’Associazione dei Vignaioli del Cirò, presieduta da Checco Porti, titolare di un’azienda storica e proprietario della vigna più bella del mondo di cui sopra. La cantina Librandi mette a disposizione dei viticoltori staff tecnico, laboratori e consulenti, organizzando degustazioni e viaggi formativi nelle regioni d’eccellenza del vino in Italia e all’estero. Da quattro anni, è stato istituito anche un premio che la famiglia e una giuria di super esperti conferiscono al viticoltore d’eccellenza dell’anno. Ad essere premiato è il viticoltore che associa al meglio il proprio sapere agricolo e capacità, acquisite di generazione in generazione, alle indicazioni prescritte dall’azienda Librandi, per ottenere un vino superiore, con caparbietà e desiderio di raggiungere il fine comune di chi crede di poter creare un prodotto di qualità eccellente. Alla fine, chi la spunta, è la passione smisurata per la propria terra. Tutti gli associati si dimostrano ogni anno sempre più capaci e orgogliosi del lavoro intrapreso, perché consapevoli, di contribuire direttamente all’affermazione del Cirò e allo sviluppo dei propri territori d’origine. Non mi pare superfluo sottolineare che questo progetto è giunto a buon fine grazie al carisma di leader contadini, come i Fratelli Librandi e alle altrettante doti dei primi illuminati viticoltori che hanno creduto nel progetto. Questi ultimi, oggi vivono sereni, senza l’angoscia di collocare il prodotto e certi di ricevere il giusto valore per il proprio lavoro. Un inizio di agricoltura etica…L’appuntamento di quest’anno è per il 16 e 17 settembre.
Intanto, mentre siamo seduti sotto il delizioso porticato dell’ azienda Porti, in zona Feudo, ad ammirare il verde della vigna e l’azzurro del cielo e del mare, appena increspato da una piacevole brezza, sorseggiamo un fresco e, naturalmente sapido, bicchiere di Asylia Melissa doc Bianco 2010, completamente in sintonia con l’ambiente circostante, servito allegramente, senza tante cerimonie. Ad un tratto, pare che dalla vigna spunti qualcosa di bianco… è una barca a vela, come se i filari formassero un porto naturale, sono senza parole.
E’ quasi ora di pranzo, si torna alla base…- la visita è finita, penso tra me e me – ma, a pochi passi, Nicodemo Librandi confabula al telefono… Torna da me – facciamo un giro mi fa – i vini dopo… Intanto, in cantina arrivano le cassette di chardonnay viste poco prima, tutto procede con perfezione e ordine maniacali, ogni uomo al suo posto, massima attenzione e gesti veloci quanto delicati. La quantità può essere sinonimo di qualità, oh perbacco.
Il contenuto delle cassette, vendemmiato a mano, va sul nastro di cernita e poi in pressa, nell’aria un profumo inebriante.
Entriamo nel fresco della cantina, prima che me ne accorga mi ritrovo in mano un bicchiere di dolcissimo mosto.
Proseguiamo il giro, passando per immensi serbatoi refrigeranti, la bottaia, la sala dedicata alla degustazione e all’archivio aziendale, la memoria di casa Librandi.
Lungo il percorso foto di tutte le varietà autoctone scoperte negli anni.
Usciamo dalla cantina, fa molto caldo, il Professore è un uomo pratico: “non le faccio assaggiare i rossi oggi, il vino è fatto per essere bevuto, andiamo ad assaggiare i bianchi e il rosato a pranzo.”
Ci trasferiamo in centro a Cirò, in una graziosa e rustica locanda di mare, dove assaggiamo il rosato base, ancora l’Asylia Melissa Doc e poi Efeso e Critone 2010: gaglioppo, greco bianco, mantonico e chardonnay. I primi due sono legati dalla sapidità e freschezza immediata di beva. Discorso a parte per il Critone, best seller aziendale e l’Efeso frutto della sperimentazione da Mantonico. Il primo, chardonnay al 90% e 10% sauvignon è nato negli anni ’90 per far fronte alle tendenze di mercato, a suo modo vino di territorio, se non altro per le condizioni ambientali e le caratteristiche del terreno, è un vino tutto frutto, super abbinabile, adatto dall’aperitivo in barca, alla strutturata cucina marinara della costa jonica e di pesce in genere, anche abbinata a verdure. L’Efeso, mantonico in purezza, con basse rese e parziale fermentazione della massa in legno, si offre giovane, abbastanza fresco e morbido con promessa di buona longevità. Si abbina a piatti importanti della cucina di mare, spigola, ricciòla, pesce spada, dentice, tonno rosso in varie interpretazioni, fantastico sulla zuppa di pesce.
Un pranzo alla buona, poche e saporite portate di mare cirotane, condite soprattutto dall’ospitalità e capacità comunicativa di Nicodemo Librandi, un vignaiolo vero, nel contempo antico e moderno. Mani forti e risolute, adatte alla terra ed a saper risolvere i mille problemi del quotidiano. Occhi blu, profondi come il mare, chiari come uno specchio, riflettono l’anima, Cirò e la Calabria intera.
4 Commenti
I commenti sono chiusi.
A proposito delle motivazioni e dell’orgoglio di fare l’agricoltore. La bellezza del sogno.
Giulia mi stimoli il desiderio di tornare in questa parte della Calabria
Collegando con un filo ideale il post di ieri su Tenuta Casaldianni, questo su Librandi e i nostri commenti, proprio oggi Carlo Petrini sulle pagine di Repubblica insiste sulla necessità di proporre l’agricoltura come valore. Parte dal successo che ha in Francia un format televisivo in cui un contadino cerca moglie, sottintendendone la solitudine, e in qualche modo l’atipicità. Eppure, come dicevo ieri, un giovane che fa il contadino è ancora ritenuto eccentrico, e, forse per confermare a se stessi questa opinione, certi adulti borghesi ritengono la campagna il luogo ideale per confinarvi i giovani, secondo criteri di classe ottocenteschi, per cui i figli di papà vanno all’università per fare il lavoro dei loro padri, porelli, gli altri che vadano in campagna così non rompono i maroni se troppo istruiti o se di troppe pretese economiche. Questa è spesso la valutazione della campagna: ripiego, confino e solitudine.
Noi che ci divertiamo in questo mondo dell’enogastronomia sappiamo dei tanti giovani e delle tante donne che hanno abbracciato quel lavoro, apprezzandoli, spesso mitizzandoli; noi sappiamo che un agricoltore può soffrire di solitudine perché è difficile avere compagni di vita che ti sopportano lavorare tutto il giorno e pensare ai campi o alle vigne anche di notte, o perché biodinamicamente uno tradisce la moglie carezzando una foglia del proprio vigneto ;-). Temo però che fuori, là fuori non sia così: e Petrini sottolinea come per fare agricoltura occorre promuovere partecipazione, progetti, infrastrutture, per garantire remunerazione, che è qualcosa più della dignità, è forza, orgoglio, immagine, imprenditorialità, sogni, consapevolezza del proprio ruolo, da esibire con la luce negli occhi, come dice Giulia nel post.
Agricoltura, campagna come valore per un Paese, una “industria” a cielo aperto.
C’ero anch’io. E a parte la straordinaria bellezza e la gran cura delle vigne e la perfetta organizzazione della cantina. due cose mi hanno colpito in modo particolare: l’orgoglio di Nicodemo Librandi per quello che ha creato e l’entusiasmo per quello che ancora c’è da fare.