Enrico Bartolini, con nove stelle ormai è l’Alain Ducasse italiano. Parla lo chef toscano a tutto campo: dalla chiusura del Devero ai consigli ai giovani. “Le stelle? Si prendono pensando al cliente!”
Chef Enrico Bartolini
9 stelle Michelin per Enrico Bartolini
Albert Einstein diceva “è nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora”. Di crisi chi fa l’imprenditore ne affronta tante. E crisi sarà stato sapere che in pochi mesi lo chef Enrico Bartolini avrebbe dovuto trasferire il suo ristorante Devero, 2 stelle Michelin perdendo la sede dove erano state assegnate. Quello stesso anno però, nel novembre 2016, di stelle ne arrivano quattro. Il Devero di Bergamo non esisterà più ma nasce Enrico Bartolini Mudec, tra i migliori ristoranti d’Italia per 50 TOP ITALY. Il Museo Delle Culture di Milano diventa la nuova casa dello chef che parte a razzo direttamente con due stelle, cosa non scontata poiché la Guida Michelin tratta un nuovo ristorante o un trasferimento iniziando da zero. A memoria fu la prima volta che avvenne in Italia (nel 2017 arrivarono le due stelle in un colpo solo anche a Danì Maison dello chef Nino di Costanzo). Non fu solo il Mudec a raccogliere successi in quell’anno che paradossalmente nasceva pieno di incertezze. Arrivò in contemporanea la stella Michelin anche ad altri due ristoranti di Bartolini, Casual di Bergamo e La Trattoria a Castiglione della Pescaia. Si parlò subito di “uomo delle stelle” ma oggi che le stelle sono nove non ci sono più parole per indicare l’ammirazione verso il “Ducasse Italiano”. Nel palmares mondiale, infatti, Bartolini è preceduto solo da Alain Ducasse, appunto, Pierre Gagnaire e Martín Berasategui. La nona stella è arrivata pochi giorni fa con l’uscita dell’ultima edizione della Guida Michelin e va a Il Poggio Rosso, ristorante gourmet di Borgo San Felice (Relais & Chateaux a cinque stelle del gruppo Allianz a Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena) condotto da Juan Quintero, chef di origine colombiana e grande conoscitore della cucina italiana.
Questo ulteriore successo per Enrico Bartolini diventa per noi l’occasione di una chiacchierata alla scoperta della sua visione imprenditoriale.
Enrico Bartolini, nato nel 1979 a Castelmartini in Toscana, inizia la sua formazione all’alberghiero di Montecatini, quando guardava con timore e rispetto proprio il luogo, Borgo San Felice, che accoglierà la sua nona stella. Già allora simbolo di lusso. Tanti suoi piatti sono da inserire nella storia della cucina italiana contemporanea come il Risotto rapa rossa e gorgonzola, Alici di scoglio tra saor e carpione, Bottoni olio e lime con salsa caciucco …
Sempre pacato ed equilibrato anche quando fa riflessioni amare sul momento attuale che, come dice lui ci tiene “parcheggiati” in queste chiusure forzate. Da un lato ponderato nel suo modo di comunicare, parlare e apparire, dall’altro determinato nel raggiungere obiettivi con concentrazione, determinazione e puro talento. Questo modo di fare ricorda uno dei più famosi giocatori di biliardo al mondo, Nestor Gomez, che quando prendeva una stecca in mano vinceva e basta, ovunque, per decenni. Con calma e naturalezza.
Enrico, come spieghi la passione della Michelin per Bartolini? In altre parole, quali sono, secondo te, le cose che piacciono alla rossa?
Credo che si dovrebbe chiedere a loro. Inizia sorridendo. La nona stella ci onora. Abbiamo lavorato sempre con un solo obiettivo, quello di cercare il benessere dell’ospite. Per noi è importante entrare in empatia con i clienti dando loro il ruolo di veri protagonisti. E’ questo il nostro mestiere. Siamo riusciti, grazie alla collaborazione di tante validissime persone del nostro team, a mettere in risalto il talento dello chef in ogni ristorante, in complicità con il servizio e l’ambiente.
Descrivere un piatto, al di là del contenuto, lo stile nel raccontarlo, gli aggettivi, la bontà con la quale ci si riempie la bocca, molto spesso è per tutti uguale. Il mondo della comunicazione è immenso e sono oramai conosciuti gli argomenti chiave per fare un po’ le cose fatte bene.
C’è un filo comune in tutte e nove le stelle?
Ogni chef, di ognuno dei ristoranti, racconta la personalità del territorio e quindi in un certo senso un po’ tutti valgono il viaggio. Per Michelin la definizione “vale il viaggio” è associata alle tre stelle. Ecco, in ognuno dei nostri ristoranti si lavora con l’ambizione al massimo riconoscimento. E ambire non vuol dire aspettarselo o pretenderlo. Vuol dire cercare di imitare lo stile e la bontà qualitativa che c’è in ogni progetto dei grandi che hanno già avuto quel riconoscimento e che, ogni giorno, continuano alla ricerca del perfezionamento.
I tuoi ristoranti hanno tutti una precisa identità, legata anche al resident chef. Non si tratta della cucina di Bartolini replicata di tanti posti ma dei luoghi con una loro anima e proposta definita e unica.
Il nostro motto è “Talento e Territorio”, partiamo dalla cucina classica che abbiamo definito anni fa e la raccontiamo in maniera contemporanea. Una classicità e golosità moderna. Ci serve la tecnica ma soprattutto il talento e l’identità che viene fuori di ogni chef. Ad Esempio il Casual di Bergamo è condotto dall’idea gastronomica di Marco Galtarossa che ha tirato fuori pian piano la sua personalità e, dopo essersi fatto conoscere dal suo pubblico, ha spinto sulla creatività.
Juan Quintero al Il Poggio Rosso è il nuovo stellato della galassia Bartolini
Juan è l’ultimo ad aver preso la stella nel nostro gruppo ma non l’ultimo in termini di qualità, ha un potenziale tecnico straordinario e così come gli altri chef che collaborano con noi ha una bellissima identità di palato, quella sensibilità che non si può descrivere o raccontare, o ce l’hai oppure no.
Quintero ha questa sensibilità e abbiamo creato in questo anno una grande complicità che lui trasmette al team e questo arriva anche all’ospite. Al Poggio Rosso non c’è solo una buona cucina e una buona tecnica, si trova anche un’espressione che ha una identità. Penso che questo sia un aspetto che piace a Michelin. Le sfumature poi arricchiscono l’esperienza, è come una prova d’esame che non deve essere svolta una sola volta ma tutti i giorni.
Juan era al castello di Volpaia e aveva passato già cinque anni sul territorio. Era indeciso se continuare la sua esperienza in Toscana oppure lasciare l’Italia. L’ho cercato e gli ho raccontato cosa avevo in mente per il Borgo San Felice e di quanta energia arrivasse sia dal direttore Danilo Guerrini che dal gruppo Allianz, i proprietari. Ho chiesto se lui insieme a me avesse voglia di mostrare l’identità gastronomica costruita sulla sua pelle. Mi è piaciuto molto il suo modo di pensare, ha questo estro non italiano ma una gran conoscenza della cultura gastronomica Toscana. Lavorare insieme, anche con un magnifico orto a disposizione ha aumentato in maniera esponenziale l’energia che poteva canalizzare questo luogo.
Come nascono i ristoranti di Enrico Bartolini?
E’ stato emozionante entrare in ognuno dei posti in cui ora ho un ristorante. Se penso all’Andana, ad esempio, c’era stato Alain Ducasse per 8 anni, mi tremavano le gambe. La paura di iniziare l’attività enorme. Anche lì dovevamo trovare un tema di cui innamorarci e farlo nostro coltivandolo ogni giorno. Visto che Ducasse aveva già pensato a una cucina con il forno a legna, lo spiedo e la brace, ci siamo specializzata su questo tipo di cottura con vegetali e pesce oltre che carne. Lo chef è Bruno Cossio, che ha confermato la stella. Con il cambio chef non era scontato, è come una stella nuova. Questa identità legata alla brace piace molto agli ospiti e crea in noi uno spunto straordinario di ricerca, studio e narrazione legata al territorio.
Quindi quando arrivi in un luogo nuovo guardi cosa è stato fatto prima di te
Certamente. Si prende atto delle cose che hanno funzionato e con prudenza e umiltà ci si confronta con il pubblico e il luogo.
Cosa troveremo di cambiato in futuro quando l’emergenza Covid sarà terminata?
La posizione che noi abbiamo preso, è quella di non distrarci da questo momento storico con un obbligo al cambiamento. Non ci sentiamo di dover stravolgere la proposta. Fino all’8 marzo pensavamo di dover fare la performance migliore della nostra vita ad ogni servizio, pranzo e cena, rinnovando sempre questa energia. Se dovessi cambiare formula dovrei penalizzare qualcuno degli argomenti che abbiamo sviluppato negli anni: l’eccellenza e la fragranza degli ingredienti e la capacità di lavorarli al momento e di servirli un attimo dopo essere stati cucinati.
Quando pesando le guide nel lavoro di un cuoco, qual è il giusto rapporto tra il proprio lavoro e i riconoscimenti della Guida?
A noi Michelin ha illuminato la strada. Nel 2016 avevo lasciato il ristorante Devero con due stelle, ci avevano disdetto il contratto d’affitto e non sapevo cosa fare. Non avremmo più potuto cucinare in quel posto entro pochi mesi. In quel momento non sapevamo dove saremmo andati, non mi sentivo ancora tanto intraprendente, ma nel giro di poco si crearono le condizioni per aprire il Casual e La Trattoria all’Andana, poi il Mudec. Arrivano subito 4 stelle di cui due al Mudec. In quel momento abbiamo fatto una riflessione. Era una cosa enorme. Michelin aveva scattato una foto alla nostra realtà. Ci aveva dato un posizionamento. Premiandoci in maniera analoga in tre posti diversi. Di fatto quell’anno ci siamo spinti fisicamente oltre le nostre forze raccogliendo un risultato importante sia dalla Guida che dal mercato. Questo ci ha stimolato a specializzarci nella ristorazione fine dining, poi che sia stellata o meno questo lo decidono loro. A quel punto le successive aperture hanno avuto le stesse attenzioni da parte nostra ma con più esperienza.
L’ambizione della stella è di tutti, qual è il giusto rapporto che un cuoco deve avere con questa aspettativa?
Io mi sono concentro sulla tavola, non pensando al giudizio della guida. Bisogna pensare agli ospiti. Quello che cerchiamo di fare è di accompagnarli dal momento in cui iniziano a desiderare di venire a cena da noi fino al lasciare un bel ricordo finale. Lavoriamo affinché una volta che si arrivi al nostro tavolo si riceva tutto quello che ci si aspettava e anche qualcosa in più.
Per questo motivo ho sempre avuto timore di espormi nella comunicazione correndo il rischio di non dare un messaggio equilibrato rispetto a quello che poi proverà un ospite a cena. Alla fine il focus è sempre il piatto e ci vuole coerenza, equilibrio ed etica quando si costruisce un progetto di ristorante. Va tutto pensato in funzione dell’ospite e della sua soddisfazione anche rispetto a quanto spenderà. Sviluppando ogni giorno questo tipo di attitudine e attenzione, arriveranno anche le guide.
Come è cambiata la tua giornata da quando eri solo un cuoco?
Ho imparato ad avere fiducia negli altri, a condividere e dialogare con tutto il gruppo. C’è dunque un grande lavoro relazionale e di confronto continuo con tutti oltre che di programmazione. L’importante è essere tutti motivati, solo così si crea quell’energia indispensabile. Oggi abbiamo bisogno di pensare anche alla qualità della vita di chi lavora in un ristorante. Al Mudec a gennaio avevamo deciso di chiudere due giorni a settimana e quindi “perdere” due intere giornate di lavoro su una piazza, quella milanese, in cui si lavora tutti i giorni. Con la pandemia ovviamente i piani sono saltati. Questo per due motivi. Sicuramente va a migliorare la qualità della vita di chi lavora ma consente anche di mantenere sempre un livello altissimo dell’offerta perché in ristoranti di un certo livello non sempre ci sono figure sostituibili in cucina come in sala. Questi due giorni di chiusura ce li saremmo concessi considerandolo un successo. Un sacrificio sul piano economico ma un miglioramento in termini di efficienza per noi e per gli ospiti. Credo sia indispensabile mettere in pratica le cose belle che si predicano. I sacrifici si fanno in tutti i tipi di attività, l’importante è che il vertice aziendale sappia motivare, informare e creare stimoli. Solo così ogni componente dell’azienda si senta partecipe di un processo.
Cosa diresti ad un giovane chef che ti guarda come un modello a cui ispirarsi?
Da ragazzo non avevo come obiettivo di diventare quello che sono adesso, mi immaginavo solo di far bene. Poi le cose evolvono. Chi inizia oggi non deve pensare ad obiettivi di lungo periodo. Deve concentrarsi sul fare bene il proprio mestiere ogni giorno. Partendo dalle basi. Vedo tanti ragazzi concentrati sulla fase finale, quella in cui si “impiatta”. La parte estetica in sostanza. Un momento delicato, ovviamente, ma non è la cosa più importante che ci sia in cucina. La prima cosa necessaria è l’uso del palato e la conoscenza degli ingredienti anche dal punto di vista nutritivo. Si impara poi a non rovinarli, quindi a cucinare bene, solo dopo si può essere creativi nell’applicare la tecnica ma soprattutto è indispensabile socializzare ed essere contemporanei, avere un’apertura mentale verso la collaborazione sia con i camerieri che con l’intera squadra che lavora in un ristorante. Dall’ufficio stampa all’accoglienza. Il successo di un ristorante è fatto da tutti i suoi membri e ognuno deve essere consapevole dell’importanza del suo ruolo.
I Ristoranti di Enrico Bartolini
ENRICO BARTOLINI – MUDEC Via Tortona, 56 Milano (MI)
RISTORANTE GLAM ENRICO BARTOLINI presso PALAZZO VENART Calle tron, 1961 Santa Croce, Venezia (VE)
CASUAL RISTORANTE Via San Vigilio, 1 Bergamo (BG)
LA TRATTORIA ENRICO BARTOLINI presso L’ANDANA Località Badiola Castiglione della Pescaia (GR)
LOCANDA DEL SANT’UFFIZIO ENRICO BARTOLINI Strada Sant’Uffizio, 1 Cioccaro di Penango (AT)
IL POGGIO ROSSO presso BORGO SAN FELICE località San Felice Castelnuovo Berardenga (SI)