La sfida dello Champagne: qui il global warming fa molto bene
di Alberto Lupetti
Il successo dei vini spumanti non accenna a diminuire, anzi. Così, non stupisce più di tanto che, entro i prossimi quattro anni, tanto la produzione quanto il consumo potrebbero crescere ancora di un bel 10%. Un dato importante, considerando da un lato il trend costantemente positivo da ben 15 anni e dall’altro il rallentamento dei vini fermi. Nel 2018, il consumo mondiale di vini spumanti, quindi quel ‘calderone’ che mette insieme i rifermentati in bottiglia con i dozzinali addizionati di gas, si stima abbia superato i 2,7 miliardi di bottiglie, con lo Champagne a rappresentare da solo quasi il 12% del totale.
Già, lo Champagne… Un tempo il vino dei re, oggi senza dubbio il re dei vini. E lo è dal punto di vista dell’immaginario collettivo (è ancora il vino che fa sognare, il vino che sugella un avvenimento importante) per via della sua immagine preziosa, ma anche sotto l’aspetto economico non scherza, visto che quei 300 milioni e spicci di bottiglie vendute ogni anno significano poi quasi cinque miliardi di euro, quindi circa il 40% dell’intero fatturato dei vini spumanti. E l’Italia? Proprio perché produttori di vino noi stessi, abbiamo sempre amato lo Champagne e siamo storicamente un mercato importante. Dopo il record del 2007 e i successivi anni bui della crisi, il settore è in ripresa e siamo stabilmente il settimo mercato al mondo in termini di volume e il quinto in termini di valore. Che significa? Che ci piace bere bene, quindi gli champagne più pregiati.
A proposito, sfatiamo un mito: lo Champagne è un vino caro o costoso? È costoso perché costa produrlo: in una bottiglia di Champagne soltanto di uva, quindi di materia prima grezza, ci sono tra i 7 e i 10 euro. Poi l’uva va trasformata in vino e il vino in Champagne attraverso un processo che dura anni e che vede tuttora molti passaggi manuali. Quindi, lo Champagne è costoso, ma non caro.
Oggi lo Champagne è più buono
Ma basta parlare di numeri e vediamo cosa significa Champagne oggi. Una cosa va detta subito: lo Champagne di oggi è più buono di quello di venti o più anni fa. Per tre motivi: migliori tecniche di viticoltura, migliori tecniche di cantina e migliore clima. I primi due non devono far pensare a oscure alchimie, ma, più semplicemente, a una viticoltura più naturale e cantine più pulite ed efficienti. Il terzo… beh, per ora il riscaldamento globale sta portando solo vantaggi allo Champagne, dove il problema atavico è l’ottimale maturazione delle uve. Quindi, un non millesimato, il cosiddetto brut sans année (che rappresenta oltre l’80% della produzione di Champagne, non lo dimenticate), a parità di etichetta è oggi notevolmente più buono di quello del passato. Un passato prossimo e non remoto, come abbiamo visto. Ovviamente, questa crescita qualitativa vale anche e soprattutto per gli champagne più pregiati, i millesimati e le cuvée de prestige, ma questi, per quanto possa apparire singolare, non rappresentano che una piccolissima porzione (meno del 10% tutti e due insieme) della produzione di champagne, sebbene il loro prezzo, quindi il fatturato prodotto, sia invece significativo. Tutte rose e fiori, dunque? Da punto di vista del consumatore sì: prodotto eccellente, ampia reperibilità, prezzo corretto. Da quello dell’appassionato un po’ meno. E per una serie di motivi che, sebbene lo spazio sia tiranno, vedremo di analizzare.
Standardizzazione. Più di due terzi di tutto lo Champagne significa Grandes Marques, spesso concentrate all’interno di importanti Gruppi. Sono loro a condizionare il prezzo delle uve e, nonostante oggi non possiedano che il 10% delle vigne, nei prossimi anni le cose potrebbero cambiare. Il loro interesse è produrre (e vendere…) sempre di più e sempre meglio, di conseguenza lo Champagne deve essere un vino per tutti. Quindi freschezza e bevibilità, a costo di sacrificare in parte alcune caratterizzazioni stilistiche certamente coinvolgenti per l’appassionato, ma forse non prioritarie per il grande pubblico. Lo Champagne ha sempre significato tante sfaccettature all’interno dello stesso nome, ebbene queste sfaccettature rischiano di diluirsi.
Il nuovo ruolo dei vigneron
Incertezze dei ‘piccoli’. Alle Grandes Marques si contrappongono idealmente i piccoli produttori, i vigneron, conosciuti anche come ‘récoltant manipulant’. Si contrappongono perché i loro champagne sono territoriali, quindi espressivi di una zona ben precisa della Champagne e, spesso e volentieri, fatti di una sola varietà d’uva. Si crede siano un fenomeno in forte ascesa, ma non è così. Per decenni questi Champagne hanno rappresentato una sorta di vino da tutti i giorni per i francesi (qualità modesta ma prezzo contenuto), però negli ultimi trent’anni alcuni di questi vigneron hanno dimostrato di avere una marcia in più e involontariamente acceso la miccia della nouvelle vague. Così molti di loro hanno creduto fosse molto più facile e redditizio fare il proprio Champagne anziché vendere le uve e sono fiorite decine di piccole produzioni. Risultato: in nome del diverso a tutti i costi, s’è creduto che fosse più divertente, magari anche più giusto bere fuori dal coro. Dimenticandosi che questi piccoli “sont bon vigneron, mais pas bon vinificateur”, cioè, sanno fare ottime uve, ma non ottimi vini. Il fenomeno s’è inevitabilmente sgonfiato, la categoria ha perso quote di mercato (il 7% in meno di dieci anni) e molti sono tornati a vendere le uve. Nel frattempo, è entrata in campo una nuova generazione di piccoli produttori, più attenta e preparata, ma anche questa corre un rischio: guarda troppo alla Borgogna, ora tanto (troppo) di moda. Quindi pensa troppo al vino e meno allo Champagne. Il pericolo è che si facciano vini con le bollicine, quindi più corposi che fini. Vedremo. In questo momento, gli Champagne de Vigneron continuano a crescere solo in tre mercati: Italia, Stati uniti e Giappone. Ci sarà un motivo.
Pas Dosé. Soprattutto la Franciacorta ci ha inculcato l’idea che bere spumanti senza aggiunta di zucchero (la rifinitura al termine del processo produttivo dei Metodo Classico/Champenoise) sia meglio. E questa mania dei ‘non dosati’ si è via via estesa, raggiungendo anche la Champagne. Ma la Champagne non è la Franciacorta, per clima e territorio. Guardare a priori il dato del dosaggio di uno Champagne è fuorviante: ci sono cuvée a 11 g/l nient’affatto dolci e altre a 4 g/l dal retrogusto zuccherino. Inoltre, gli champagne i pas dosé validi sono quelli pensati a monte come tali, non quelli che inseguono la moda del mercato. Insomma, assaggiate, bevete e fatevi la vostra idea.
Classismo. Se, come abbiamo visto, il non millesimato è sempre più universale, all’opposto, lo Champagne millesimato di alto livello sta diventando sempre più elitario. Sia per via di piccole produzioni di altissimo livello (e costo) riservate a pochissimi, sia perché alcuni Champagne di pregio stanno diventando piano piano un investimento, sicuro e redditizio. Molto più di altri vini (Borgogna inclusa) e perfino di altri beni. Risultato: da un lato uno Champagne ‘popolare’ sempre più diffuso, dall’altro uno tremendamente esclusivo.
Alla fine di questo discorso, però e almeno per chi scrive, lo Champagne resta il vino migliore del mondo. Per longevità (non invecchia benissimo, è addirittura amico del tempo), per versatilità (trovate un’altra Denominazione al mondo in grado di sposare qualsiasi momento della giornata, qualsiasi occasione e qualsiasi piatto, carne rossa compresa!) e per piacere. Sì, piacere.
Ricordate: lo champagne è prima di tutto piacere. Santé!
Un commento
I commenti sono chiusi.
Champagne uguale eleganza ma senza esagerare.La parte gassosa se ingerita in quantità esagerate potrebbe avere effetti disastrosi a conclusione di una galante.FM