Cercasi cuoco disperatamente…ecco perchè il circo gastronomico sta implodendo
di Luciano Pignataro
Sino a non molti anni fa il mestiere di cuoco era negletto, faticoso, i ragazzi degli Istituti Alberghieri preferivano fare la sala dove si lavorava meglio, con tempi più precisi e soprattutto si poteva guadagnare di più sapendoci fare con i clienti.
Improvvisamente la situazione si è completamente capovolta.
Tutti vogliono fare il cuoco, ma a sentire molti proprietari di ristoranti e imprenditori, trovare personale adatto ai fornelli oggi non è meno difficile che trovarne in sala.
Ma come è possibile? Dopo Masterchef la figura di cuoco è diventata leggendaria, il mito ha iniziato a esaltare alcuni di loro e il mestiere ha acquisito la stessa dignità che da tempo ha in Francia. Oggi una giacca da cuoco, linda e pinta, è più prestigiosa di una toga, anche di ermellino.
La verità è che la maggior parte di chi si avvia a questa professione ormai non lo fa per servire la sala, ma per partecipare ai congressi, diventare testimonial di qualche brand, fare foto da decine di migliaia di like su Instagram, poi prendere le stelle, realizzare consulenze, salvo poi scoprire che neanche le stelle sono più sufficienti e ci sono cuochi che investono dai 50 ai 200mila euro per scalare la classifica della 50 Best attraverso agenzie specializzate che organizzano scambi di voti e di visite.
Insomma, tutto invece di cucinare per i clienti. Lo sanno bene moltissimi imprenditori che si svenano per pagare brigate, agenzie di comunicazione per il web, uffici stampa per i media tradizionali e che alla fine si ritrovano spesso le sale incomprensibilmente vuote.
Il motivo è che ci sta una banale verità che questa società di massa dopata di news e fake news sembra ormai ignorare: il successo di un ristorante dipende quasi esclusivamente dal passa parola. Già, proprio così, dal vecchio e antico passa parola fra i clienti. Molti invece pensano che dipenda dagli articoli e dalle guide che sono sicuramente utili per far scorprire un ristorante ma non per decretarne il successo. Men che meno dagli influencer che non conoscono la materia ma solo i meccanismi di clickbaiting. Sono sempre più numerosi gli stellati che restano vuoti nonostante la stella e, complessivamente parlando, proprio il sistema Michelin è apparso il più fragile alla riapertura dopo il Covid: solo l’11% di locali con il riconoscimento della Michelin riuscirono ad aprire. Quelli che si dedicano comunque ai clienti invece che a Instagram.
Sotto i nostri occhi sta avvenendo qualcosa di incredibile: tra la gente comune il termine “stellato” ha addirittura una valenza negativa, di luogo da evitare. Stellato è una delle rarissime parole che ha significato opposto a seconda del contesto in cui è inserita, da un lato prestigioso, di buona cucina, dall’altro, noioso, costoso e di pessima cucina. Ci sono ormai decine di ristoranti di successo sonoramente ignorati dalle guide che lavorano bene e onestamente. In poche parole, la rappresentazione della realtà appare completamente distorta.
La cosa che appare più incredibile è l’incapacità di adattamento da parte di chi dovrebbe fare il cuoco in questi anni di cambiamento. Molti sono convinti, soprattutto i più giovani, che fare i piatti classici sia una diminutio e che ogni piatto di tradizione, per quanto buono, debba avere sempre e comunque una impronta personale, il più delle volte dimenticabile.
La risposta più comune, quando poi si interrompe il rapporto di lavoro, è che non si è avuta la possibilità di esprimere la propria arte culinaria. Ma esprimere cosa? Come se io da giovane, al capo redattore che mi aveva assunto per fare cronaca avessi detto che potevo pubblicare una mia poesia tenuta nel cassetto per potermi esprimere!
La cosa appare tanto più incredibile quanto più facciamo i conti con l’incredibile patrimonio di ricette che ogni regione, ma che dico, ogni provincia del nostro magnifico Paese riesce ad esprimere. E lo sanno bene grandi nomi che per far quadrare i conti realizzano locali con cucine leggibili e lo sa bene chi lavora all’estero su cosa ci si aspetta da un italiano dietro i fornelli.
La situazione si è progressivamente avvitata nel corso degli anni, come il vortice del Maelstrom tutti, cuochi, critici, appassionati, sono finiti inghiottiti. Si e’ inseguito il mantra della cucina di avanguardia senza avere la base culturale per comprendere il semplice significato del termine. Sempre più si cucina per i giornalisti e critici o presunti tali, la stessa Michelin in Italia ha inziato a premiare locali dentro le strutture alberghiere di lusso con pochi tavoli imponendo nei fatti un modello anti economico ma soprattutto che non è la punta dell’iceberg di un movimento reale, ma solo una realtà virtuale, un Truman Show gastronomico.
Non solo, ma il fine dining è diventato sempre più un rituale lunghissimo e asfissiante che ti impone l’aperitivo, il benvenuto dello chef, due antipasti, due primi, un secondo di pesce e uno di carne, pre dessert, dessert e piccola pasticceria. Roba da stare a tavola un minimo di tre ore e arrivare al secondo in piena fase digestiva.
Questo fenomeno si sta replicando nella pizza, dove molti pizzaioli hanno iniziato a fare inguacchi orribili solo a vedersi convinti di fare pizza gourmet, privi di ogni nozione gastronomica, con tonnellate di latticini che rendono vano gli sforzi di rendere digeribili gli impasti, una accozzaglia di ingredienti senza alcun nesso fra loro, proprio come avviene nei piatti da Instagram. Ovunque domina adesso la crema di pistacchio di Bronte, le pizze hanno le strisce di vari colori e il più delle volte non sono mangiabili se non da un boscaiolo canadese tornato dopo 12 ore di lavoro duro nella foresta.
Insomma realtà e rappresentazione della realtà non sono più in alcun modo collegate fra loro. Il tutto è aggravato dal contesto di un progressivo decadimento delle gerarchie e della disciplina anche grazie ai social dove uno vale uno e che falsano completamente il rapporto fra io e realtà. Non è raro incontrare ciucci emeriti che si credono migliori di Uliassi o di Martucci! E quando il successo non arriva, la colpa è dei giornalisti e dei critici che non li pensano perche’ sono corrotti. L’ignorante addebita sempre al mondo la causa dei suoi fallimenti.
Non è raro trovare uno che è stato tre mesi a pelare patate da Tizio e altri tre a sfogliare insalata da Caio credersi arrivato, magari perchè ha centomila follower!
L’aspetto più forse drammatico è che diventa sempre più difficile trovare piatti di tradizione italiana ben eseguita perchè nessuno li vuole fare per non essere sfottuto dai colleghi. E tutto questo mentre invece cresce la domanda di tradizione in quanto nelle case non si cucina più.
A noi, sostanzialmente spetta solo un compito: non finire nel gorgo del Maelstrom insieme a tutti gli altri
12 Commenti
I commenti sono chiusi.
Ottimo pezzo.
Ha fotografato egregiamente la situazione.
Aggiungerei anche che ormai le trattorie hanno prezzi “stellati” e che i premiati dalla Michelin hanno aumentato i prezzi fino alle
“stelle” con ricarichi sui vini che si dirigono nell’iperspazio.
In un periodo di grossa crisi ciò comporta inevitabilmente sale vuote.
Quindi ci si augura per il bene del cliente ma anche del ristoratore che, come dice Pipero “non ride più”, un ritorno all’umiltà
di un lavoro “manuale”, meno intellettuale e, di conseguenza, un ritorno ad un prezzo umile.
Un bella margherita fatta bene non costerà mai come un inguacchio orribile.
Almeno si spera.
GRAZIE, Luciano. La tua gastro-foto italica 2022 e’ ineccepibile, completa e allo stesso tempo inquietante e allarmante per gli scenari culinari futuri del Belpaese.
Luciano mi dispiace nn averti avuto ospite , siamo la lanterna per la prima volta un giornalista dice la verità
Sante parole Luciano. Hai descritto il quadro reale della “cultura” enogastronomica attuale. La cosa più triste che la tradizione non può essere dimenticata. La tradizione è il pilastro e mai può essere dimenticata anzi deve essere riproposta ovunque dall’ostetria alle stelle così com’è sempre stata.
Oggi credo che il vero senso della modernità sia restare consapevolmente ancorati alle proprie radici. Circa 15 anni fa Massimo Bottura, indiscusso maestro della cucina italiana, da un palco nazionale con studenti, giornalisti e appassionati, affermava che per poter innovare con cognizione di causa, bisogna avere i piedi ben saldi nella tradizione e lo sguardo puntato al presente e al futuro, sempre nel rispetto dei propri ospiti…
Sante parole.
Chi ama la vera cucina e la tradizione italiana, non può non essere d’accordo con quanto scritto in questo articolo. Grazie Luciano.
Sono completamente d’accordo e vorrei sapere cosa prevede per il futuro perché le nuove generazioni che scelgono tutto in base ai social, agli influencer, che vedono questi mappazzoni con crema di pistacchio etc… Queste generazioni che tipo di ristoranti premieranno? Perché probabilmente non saranno nemmeno in grado di riconoscere la buona cucina tradizionale.
In linea generale analisi condivisibile, ma non farei di tutta un’altra erba un fascio…
Un opinione che spacca il capello in quattro. Condivido quanto scritto e lo condivido ancora di più in questi GG dove gli stellati sono cronaca di ogni media senza approfondire il tema e andare alla cruda realtà che stellato fa rima spesso con prezzi costosi pochi clienti ,più estetica delle pietanze che bontà,, bilanci economici da piangere. Abbiamo un osteria storica e stiamo con i piedi per terra: tradizione e qualità dei prodotti.
BRAVO !!!
io mi sono avviato qualche anno fa nella direzione opposta alle mode… ciò non significa restare arretrati, ma capire “il vero” e le epoche, i risultati mi stanno dando ragione!
Accoglienza, qualità e “sincerità” … chest’è !
L’analisi è spietata ma vera. Io che sono un cuoco dal 12 giugno 1979, mi sono reso conto che estremizzare questo lavoro, ha causato solo l’impoverimento della cultura culinaria. L’esempio e nella pasticceria dove in Campania tutti a fare i panettoni che i dolci della nostra tradizione.