Casa Setaro e lo chef Gian Marco Carli, un viaggio enogastronomico senza tempo
di Simona Mariarosaria Quirino
Non una semplice cena sotto le stelle, ma qualcosa di più. Un’esperienza. Un viaggio nel tempo. Una full immersion di emozioni. Quelle di oggi, più quelle di 2000 anni fa. Il posto è lo stesso, alle falde del Vesuvio. Il territorio, gli ingredienti e l’atmosfera pure. Siamo a Trecase, a Casa Setaro, azienda vinicola che ha fatto storia nel mondo della produzione enologica locale e che giovedì scorso è stata location perfetta per “ArcheoCena”, ovvero una serata enogastronomica che ha ricreato la tavola dei Romani dell’antica Pompei, “una rivisitazione storica per palati moderni”. In cucina, lo chef dell’hotel Il Principe di Pompei Gian Marco Carli, figlio d’arte di Marco e Pina Carli, stella Michelin per 15 anni. In cantina, Massimo Setaro, che ha accompagnato i suoi ospiti con il racconto delle varie fasi di vinificazione e dei vari metodi.
Tra questi, la vinificazione in anfora, ultimo esperimento di casa Setaro dove i vini fanno prima passaggio in anfore di terracotta per 6 mesi e poi per altri 6 in legno. Anfore che evocano gli Scavi e che si allineano perfettamente col tema della serata. Si comincia con una produzione di pani lievitati come si faceva 2000 anni fa, cioè sfruttando la fermentazione della ricotta di pecora.
4 tipi, tutti diversi, e tra questi c’è anche l’Alipadus, il “pane dei gladiatori”, impastato con strutto e lardo, ottimo per mettersi in forza prima e dopo le battaglie. Tutti farciti con l’olio extravergine d’oliva di Casa Setaro o con ricotta di pecora e alici. Tutti accompagnati dal fiore all’occhiello della produzione di Massimo, il Caprettone spumantizzato con Metodo Classico Pietrafumante, in combinato, per i più audaci, con il succo di albicocca dell’azienda agricola Sapori Vesuviani di Pasquale Imperato.
A seguire, l’antipasto di quaglia e foie gras di coniglio con i fichi dell’azienda Santomiele, immancabili sulle tavole dell’antica Roma, servito assieme al Munazei rosato, un Lacryma Christi del Vesuvio, delicato, morbido e in armonia con il piatto. Lagane di farro, hummus di ceci, limone, stoccafisso e ortiche per primo, una vera prelibatezza che incrocia sapori molto importanti in maniera originale ma non prepotente.
Come l’Aryete, il Caprettone servito vicino, maturato in anfora, erbaceo e complesso. Maialino, albicocca e zucchine alla cenere per secondo, forte e di sostanza come il Don Vincenzo Riserva, il Lacryma Christi del Vesuvio rosso che ha il nome del papà di Massimo, l’origine di tutta Casa Setaro. Conclude la cena la Cassata Oplontis, una delizia della tradizione di Torre Annunziata, risalente al I secolo, così definita per analogia con il dolce siciliano, di cui costituisce l’ideale antenato, realizzato sulla base di un affresco presente all’interno degli Scavi archeologici di Oplonti.
Un viaggio nel tempo che rende senza tempo la cucina, il vino, la tavola, la compagnia. L’ennesimo esperimento di Massimo Setaro che dimostra come la combinazione tra innovazione e tradizione non sia solo retorica ma dia risultati perfetti, tipo una splendida serata come questa.
Un commento
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Si Salierno avesse u puorto Napule fosse muorto. Se il Vesuvio avesse altri dieci SETARO l’Etna dovrebbe correre al riparo FM