I tre grandi carciofi della Campania
Carciofi della Campania
Il profumo del caciofo arrostito ha iniziato a riempire tutto l’Agro Vesuviano. Torna il più buono e valido alleato della gola e della salute. E in Campania noi possiamo vantare molte varietà. a cominciare dal carciofo di Schito a Castellammare: Veronelli dopo averlo provato in uno dei suoi giri se ne innamorò arrivando a parlare di cru, un termine che si usa per le produzioni più eccellenti di vino: aveva conosciuto il carciofo dell’antica Pompei, coltivato in una zona particolarmente vocata che ancora oggi si chiama «gli orti di Schito». Per gli abitanti dell’agro vesuviano questo carciofo dal colore violaceo si raccoglie tra febbraio e maggio, a seconda dell’andamento della stagione ed è per questo associato alla Pasqua, anzi, alla Pasquetta. Per molti è l’odore della scampagnata del Lunedì in Albis, per tutti è un prodotto salutare che si associa molto bene alle carni oppure alle uova attraverso le mille preparazioni elaborate nel corso dei secoli dalla cucina familiare che non buttava via nulla. A cominciare dai gambi, in dialetto turzilli, serviti all’insalata oppure fritti. Il carciofo di Schito, ancora oggi celebrato nel quartiere Annunziata di cui fa parte l’areale, è considerato da sempre tra i più pregiati proprio per le sue caratteristiche: privo di spine, ricco di ferro e di potassio che assorbe dal suolo vulcanico, sempre molto saporito. Da un punto di vista tecnico, il carciofo violetto è un sottotipo della varietà Romanesco da cui si differenzia per la produzione anticipata e, appunto, per il colore delle foglie che sono verdi con forti e pronunciate sfumature viola.
Ma il principe dei carciofi campani è il carciofo di Paestum, tutelato dal marchio europeo igp. Ma perché Paestum? Le radici della sua coltivazione nella Piana del Sele vengono fatte risalire al tempo dei Borboni, il cui ufficio statistico già nel 1811 segnalava la presenza di carciofi nella zona di Evoli, l’attuale Eboli, e Capaccio. Le prime coltivazioni specializzate di carciofo sono state realizzate da agricoltori del Napoletano che impiantarono “carducci” di loro ecotipi proprio nelle zone adiacenti ai famosi Templi di Paestum. Ma la vera e propria diffusione del carciofo nella Piana del Sele risale intorno al 1929-30, grazie alle vaste opere di bonifica e di profonda trasformazione agraria apportate dalla riforma fondiaria. Anche il testo di geografia economica del Migliorini del 1949 ne conferma la presenza ed importanza nella zona.
Il Carciofo di Paestum IGP noto anche come “Tondo di Paestum”, rientra nel di tipo Romanesco. L’aspetto rotondeggiante dei suoi capolini, la loro elevata compattezza, l’assenza di spine sono le sue principali caratteristiche qualitative e peculiari. Anche il carattere di precocità di maturazione può essere considerato un elemento di positività conferitogli dall’ambiente di coltivazione, la Piana del Sele, che consente al Carciofo di Paestum” di essere presente sul mercato prima di ogni altro carciofo di tipo Romanesco.
Il clima fresco e piovoso nel corso del lungo periodo di produzione (febbraio-maggio) conferisce anche la tipica ed apprezzata tenerezza e delicatezza al prodotto. L’area di produzione è concentrata nei comuni di Agropoli, Albanella, Altavilla Silentina, Battipaglia, Bellizzi, Campagna, Capaccio, Cicerale, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Ogliastro Cilento, Pontecagnano Faiano, Serre.
Infine l’ultimo ad uscire, il Carciofo bianco di Pertosa, il paese delle grotte con i comuni limitrofi Auletta, Caggiano e Salvitelle costituisce un territorio unico e incontaminato che collega la valle del Sele al Vallo di Diano. In questi quattro piccoli comuni si coltiva il carciofo Bianco di Pertosa o del basso Tanagro, il fiume che attraversa tutta la zona di coltivazione sulle colline che vanno fra i 300 e i 700 metri sul livello del mare. Il nome esprime la sua caratteristica più evidente: è un carciofo di colore chiarissimo, verde tenue, bianco argenteo. Le infiorescenze sono grandi, rotonde, globose, senza spine, con un caratteristico foro alla sommità.
Le particolarità del Bianco di Pertosa sono numerose, ma su tutte vanno segnalate la resistenza alle basse temperature, la colorazione tenue (un verdolino chiaro, quasi bianco), la dolcezza e la straordinaria delicatezza delle brattee interne. Caratteristiche che lo rendono un ottimo carciofo da mangiare crudo, magari in pinzimonio con l’olio extravergine di oliva della zona. La produzione generalmente inizia verso la seconda decade di aprile e continua fino alla fine di maggio, dipende dall’andamento stagionale. I capolini principali vengono consumati freschi e cucinati in svariati modi, mentre i capolini secondari vengono utilizzati per essere conservati sott’olio extravergine di oliva, oppure trasformati in crema e conservati sempre in olio extravergine di oliva.
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