Cantine del Vesuvio: così è nato l’enoturismo a Trecase sul Vulcano a due passi da Pompei
di Simona Mariarosaria Quirino
Scheda tecnica
Ettari vitati: 16
Enologo: Antonio Pesce
Agronomo: Antonio Pesce
Allevamento: guyot per il rosso, tendone vesuviano per il bianco
Composizione chimico-fisica del terreno: vulcanico sabbioso
Esposizione vigne: sud
Epoca di impianto delle vigne: 1996
Altezza media: 250-300 metri sul livello del mare
Lavorazione del terreno: manuale
Concimi: sovescio e organominerali
Trattamenti: rame e zolfo
Conduzione: in regime biologico certificato
Lieviti: autoctoni
Uve coltivate: piedirosso, aglianico, caprettone e falanghina
Altre produzioni: olio extravergine d’oliva e aceto di Lacryma Christi
La storia
Quella della famiglia Russo è una storia che nasce nel dopoguerra, precisamente nel 1948, quando Giovanni decise di ricominciare partendo da casa sua. Alle pendici del vulcano, precisamente a Trecase, dove nasce Cantine del Vesuvio, la sua azienda vinicola che negli anni ’50 distribuiva vino fino alla città. Entrando in azienda, infatti, sotto il logo che rappresenta un Vesuvio stilizzato con i colori di Van Gogh, quasi da contrasto, è posta una foto in bianco e nero che immortala il momento in cui un carro trainato da cavalli trasportava il vino fuori al carcere di Poggioreale. Perché il vino è per tutti e non si nega a nessuno. E quest’anima così predisposta all’altro continua a vivere ancora oggi in azienda che ha tra i suoi punti forza l’enoturismo. Un’idea che Maurizio Russo ha avuto a 18 anni e che continua ad essere messa in pratica quasi 365 giorni all’anno, da tutti i membri della famiglia, oggi alla terza generazione. Giovanni, tra i rappresentanti più giovani, lavora il vino, accompagna i turisti nei tour che comprendono visita al vigneto, giro in cantina e degustazione e, allo stesso tempo, approfondisce quello che fa e che farà studiando. Iscritto alla facoltà di Scienze del Turismo, mi racconta che tra i progetti per il futuro c’è anche quello di allargare l’attività a un enoturismo di lusso, mettendo a nuovo una struttura che si trova sugli ettari di terreno acquistati recentemente, adiacenti agli attuali vigneti. Idee in cantiere e sogni nel cassetto che prendono forma giorno per giorno.
Le vigne
Gli ettari di terreno su cui si estendono le vigne a sud del Vesuvio sono 16, ma tra poco aumenteranno perché la famiglia Russo ha appunto acquistato altro spazio adiacente all’attuale struttura. Sono coltivate uva bianca e uva rossa, con sistemi diversi. Quella bianca, prevalentemente di tipo Caprettone, cresce col metodo del tendone vesuviano per ripararla dal sole, visto che la buccia è sottile, mentre quella rossa, composta da piedirosso e aglianico, cresce a spalliera, col metodo del guyot.
Da qualche anno, oltre al Caprettone, è stata introdotta anche la Falanghina, la cui produzione resta, però, ancora in via sperimentale e a conduzione familiare. Tutta l’uva è raccolta a mano e dopo la diraspatura e la pressatura, passa in barrique. Non si butta via niente, neanche le bucce, che sono usate per l’aceto di Lacryma Christi, il Donna Ester, una vera chicca della loro produzione.
I vini
Il Lacryma Christi fa da padrone, in tutte le sue versioni: bianca, rossa e rosé. Bianco e rosso sono prodotti anche nella linea di vini superiore che Maurizio Russo ha deciso di distribuire anche a ristoratori selezionati della zona, novità degli ultimi tempi visto che la distribuzione non è mai stata in cantiere dedicandosi per lo più all’enoturismo e alla vendita al dettaglio, direttamente in azienda. Il Lacryma Christi rosè è tra i migliori rosè locali provati, ancor di più se ad accompagnarlo è uno spaghetto con pomodorini del piennolo del Vesuvio piatto, principale delle dei menu degustazione previsti per i visitatori. Ottimo in apertura il Capafresca, lo spumante rosato della casa, e in chiusura il passito, in combinazione con una fetta di pastiera artigianale.
Schede vini
Conclusioni
Il successo a volte è più vicino di quello che sembra. È questo quello che mi viene da dire guardando la famiglia Russo al lavoro. Si parte da quello che si ha, curandolo, valorizzandolo e facendolo crescere. Come una vite, ancorata al terreno ma pronta a diventare vino che allieta i palati più disparati provenienti da ogni parte del mondo. A casa loro invitano tutti, ma si organizzano,lavorano bene e soprattutto con cura e amore. Quello con cui il giovane Giovanni mi racconta la sua storia, mi accoglie a casa sua e mi fa provare i suoi vini. Sottolineandomi come il tappo di sughero fa uno stappo più romantico rispetto a quello di altri materiali o invitandomi a guardare il panorama sul golfo di Napoli e con Capri all’orizzonte, in un punto preciso della vigna, mentre faccio rientro a casa. Una cornice tutt’altro che retorica, ma piuttosto semplice, serena. Come il loro vino. Perché a volte davvero la serenità è a portata di mano, bisogna solo averne cura.