Cannavacciuolo Bistrot a Torino, la recensione
Cannavacciuolo Bistrot a Torino
Via Umberto Cosmo, 6
Tel.011 8399893
Chiuso lunedì
www.cannavacciuolobistrot.it
Nel locale torinese di Antonino Cannavacciuolo ritroviamo due vecchie conoscenze: Gabriele Bertolo responsabile di cucina e il restaurant manager Alfredo Diafano. Il primo, gli mancano ancora tre anni per arrivare a 30, è una risorsa interna del gruppo che ha fatto praticamente il giro di tutte le cucine, tra cui Laqua a Ticciano dove lo avevamo incrociato come sous chef di Nicola Somma. Il secondo in un ristorante di Pompei oltre dieci anni fa.
Il termine bistrot non deve ingannare: la distanza fra i tavoli fa la differenza e sarebbe impossibile da trovare in Francia. In realtà si tratta di un ristorante elegante che sprizza energia e gioventù dall’accoglienza sino alla cucina dove lavorano in sei con Gabriele. Attenzione, elegante ma non formale e palloso, qui il servizio è attento, professionale, ma lascia respirare il cliente senza fargli scendere la uallera con descrizioni dei piatti da titoli alla Lina Wertmuller. Il cliente può scegliere fra i grandi classici dello chef tristellato, un altro menu degustazione più spinto ma non per questo meno goloso, e la carta.
Nei piatti troviamo le caratteristiche che fanno grande la cucina di Cannavacciuolo e benefici i locali in cui viene proposta: al centro di ogni piatto c’è sempre e comunque la soddisfazione piena e consapevole della gola, senza bisogno di sforzi cerebrali. Il tema è che, a parte quattro strippati, il 99,9% della clientela va al ristorante per divertirsi, stare insieme e chiacchierare, fare affari, celebrare anniversari, corteggiare. In tutti questi anni è impossibile trovare dei riscontri negativi fra la clientela. Un altro tema è che la presenza di Cannavacciuolo si sente, ma è percepita con simpatia e non come l’ego di alcuni cuochi che pensano di essere il nuovo Dalai Lama della gastronomia mondiale.
Tutto questo per dire che abbiamo ritrovato il fil rouge del marchio di fabbrica: divertimento, golosità, una cucina sicuramente aggiornata e sgrassata ma che non lesina il grasso quando di vuole, attenta al vegetale ma non ideologicamente vegetariana, che sa bene dove si trova e che dunque alla carne è data importanza senza però determinare una gerarchia dei prodotti. Insomma, una impostazione laica oltre che, ça va sans dire, tecnicamente ad altissimo livello.
Prima di presentarvi i piatti una riflessione che mi è venuta proprio stando a Torino: Antonino Cannavacciuolo è forse il primo chef capace di unificare la cucina italiana nel piatto. Intendiamoci, sono numerose le tavole e le proposte, stellate e non, che comprendono piatti dalla Sicilia al Trentino, ma probabilmente essere nato al Sud ed essere vissuto al Nord gli ha consentito una sintesi del gusto, del genius loci del gusto. Il risotto ne è un esempio, ma anche i due piatti di pesce, che possono essere letti unanimamente bene da chiunque. Oppure il padellino torinese con il ragù di maiale alla napoletana nell’aperitivo, o anche, de minimis, l’idea del cuore di pomodoro nel burro di alpeggio. Insomma, non solo l’uso di prodotti, ma anche come sono presentati. Facile sostituire l’olio d’oliva al burro con il pane, divertente invece creare qualcosa in cui chiunque possa rivendicare qualcosa di proprio. Segnala una attenzione in più che fa la differenza fra un routinier e un campione.
Proprio questa capacità di sintesi, a nostro modestissimo avviso, ne fa un classico moderno che non insegue le mode del momento, ma usa l’amaro quando serve, l’acidità quando è opportuno, e il dolce quando ci vuole.
Tutto questo lo ritroviamo molto ben interpretato in questo locale dalla giovanissima ed entusiasmante brigata. Sono facile profeta nel prevedere che ciascuno di loro farà una formidabile carriera.
Finale dolce, anche qui sintesi dalla Francia alla Campania passando per il Piemonte. Un dolce senza mediazioni e al tempo stesso leggero.
Cosa si mangia da Cannavacciuolo a Torino
Da notare la presentazione in verticale della pasta.
CONCLUSIONI
Venite qui è starete bene a prezzi ragionevoli e sostenibili. Compresa la carta dei vini molto ben studiata, ecumenica, colta e senza quei ricarichi che portano poi il conto alle stelle. Un modo per entrare nel cuore della cucina di Cannavacciuolo senza mediazioni di ripiego rispetto alla casa madre Villa Crespi. Ed è per questo che lo consigliamo qui a Torino.
Il cibo perfetto.
I vini un disastro. I vini stranieri non sono buoni nemmeno per cucinare
Aligote’. In Francia, per berlo ci aggiungono la crema di cassis e lo chiamano “Kir”
Il Trochen e’ l’ultimo dei vini Tedeschi
Il Morgon, ci fanno il “Boeuf burguignon”