Campobasso, Vecchia Trattoria da Tonino
Corso Vittorio Emanuele, 8
Tel. 0874.415200
Sempre aperto.
Chiuso domenica e luendì.
Ferie a luglio
Il professore Bellavista (alias Luciano De Crescenzo) divide gli uomini fra coloro che amano la doccia e quelli che preferiscono la vasca da bagno. Se siete della seconda categoria, mettete conto pure una puntatina a Campobasso, capoluogo estraneo a tutte le rotte possibili, per concedervi una passeggiatina in questa tranquilla cittadina di provincia che non supera i 60.000 residenti ufficiali. Un acquisto in qualche caseificio di qui e in qualche macelleria di là, magari pure qualche dolce, perché no. E poi vi infilate in questa locanda, fondata nel 1954 da Tonino Casilli proprio nel cuore del capoluogo molisano, dove comincia l’isola pedonale: all’inizio era soprattutto rosticceria, poi nel 1992 il figlio Aldo la trasformò impegnandosi in una impresa molto difficile che gli ha procurato però buone soddisfazioni, non solo per i riconoscimenti unanimi delle guide specializzate, andiamo dal Gambero Rozzo di Cambi all’Espresso, dalla Michelin (Stella) al Gambero Rosso (la Veronelli però lo ignora), ma perché è suo il testimone di quanto di meglio la cucina molisana, terragna e montanara, riesce ad esprimere grazie all’estro filologico della chef Maria Lombardi. L’ambiente è gradevole, una trentina di posti, luminoso, qualche pezzo da collezione, buona hotellerie, purtroppo un solo bagno. Non vi dovete aspettare cucina di ricerca o virtuosismi, qui le porzioni sono quelle di casa, come dire, soddisfacenti, anche se ben presentate, e se volete arrivare fino in fondo vi conviene dribblare gli antipasti, a meno che non usiate le variazioni di baccalà come secondo, uno dei classici del locale. Ci ha colpito la qualità delle materie prime, carne di vitello molto tenera, provato il brasato, discreta faraona imbottita, ottime verdure, dalle bietole ai peperoni ripieni, alle mitiche zucchine ripiene di formaggio. Un classico che dovrete provare è un primo, le linguine con il baccalà, ricetta molto diffusa nelVesuviano, qui però arricchita da una salsa di noci e di mollica di pane abbrustolite come fanno in Lucania, ammollichiate insomma, che conferisce consistenza e gradevolezza al piatto. La linea da seguire è dunque la cucina di carne, ecco un posto dove si possono ancora bere i rossi: il contraltare al baccalà è naturalmente l’agnello, che ne parliamo a fare, qui siamo nel cuore della transumanza della direttrice adriatica Abruzzo-Puglia: i paccheri con questa carne e i carciofi sono sicuramente un must, come pure i ravioli farciti di formaggi freschi, i cappelli del brigante al ragù, i tortelli. Una proposta molto varia, insomma, recitata a voce come si usa fare nelle vere osterie, e soprattutto stagionale. Rispetto a questa ricchezza del piatto ci ha un po’ deluso la carta dei vini, mi sarei aspettato molto più Molise, una regione che si è costruita la propria identità grazie alla Tintilia, praticamente assenti quasi tutte le cantine del territorio. Chiuderete con i dolci della casa, tra cui un millefoglie con la crema Chantilly nella quale, incredibile dictu, si sentono le uova fresche. Servono almeno quattro, cinque visite in compagnia per esaurire la conoscenza di questo tesoretto gastronomico molisano. Dall’antipasto al dolce siamo sui 45 euro, menu degustazione a 35.