Lucio Mastroberardino: Campania Felix o identità incompiuta?


Lucio Mastroberardino

Dal presidente dell’Unione Italiana Vini riceviamo e volentieri pubblichiamo (con breve replica)

di Lucio Mastroberardino

Con schiettezza e mi auguro senza fraintendimenti, proverò ad affrontare l’argomento senza svicolare e andando dritto dritto al nocciolo della questione.

La Campania del vino, ad oggi, si caratterizza per alcune grandi incoerenze o, meglio, per una ancora non completa e convinta scelta d’identità.

Piattaforma varietale incoerente

A fronte della voglia strategica e dichiarata di valorizzare gli storici vitigni regionali, in Campania, ancora, circa il 50% dei vigneti è fatto da varietà non autoctone (barbera, sangiovese, malvasia di candia, manzoni, trebbiano, Montepulciano), vera zavorra per la piena valorizzazione del potenziale vinicolo della nostra regione.

Deficit di visione

Parallelamente all’intenso processo di ristrutturazione del vigneto campano (OCM) – che però non ha ancora sufficientemente inciso in termini di vigneto – non si sono sviluppate una visione strategica ed attività di valorizzazione ed accompagnamento di tutte le produzioni (quantitativamente) nuove al mercato con i conseguenti problemi di remunerazioni cui assistiamo nelle ultime vendemmie.

Senza porsi il problema di razionale e profittevole collocazione al consumo dei vini per il produttore, si sono accresciute a dismisura molte denominazioni e, con l’aumento degli ettari vitati, per forza di cose siamo andati incontro, già prima che per la crisi economica e il calo dei consumi, alla produzione di quantità importanti di vino che i vari mercati non riescono ad assorbire. Solo in provincia di Avellino, ad esempio, le superfici dei vigneti di greco e fiano sono cresciute circa del 400%.

La Campania non declina i suoi territori e i produttori, in numero preponderante, preferiscono connotarsi nell’impronta varietale: i greco, i fiano, le falanghina, l’aglianico. Nel lungo termine, con tale comportamento commerciale – che asseconda solo l’attesa della distribuzione – i vitigni diventeranno “commodities” e la regione sarà soccombente rispetto a quelle limitrofe: Puglia, Molise, Sicilia, Calabria, innanzitutto per la scarsa competitività ambientale delle sue migliori aree viticole – quasi tutte di alta collina – ancor prima che di sistema.

Le varietà sono ripetibili: ovunque! Il territorio no. Privilegiando i vitigni più che i vigneti e le loro terre: l’Irpinia, il Taburno, il Vesuvio, il Cilento, la Terra di Lavoro è difficile far decollare la Campania come identità enologica compiuta e radicata.

Taurasi, un vigneto di aglianico

La Campania, al di là di un unico ed isolato caso, è una delle pochissime regioni d’Italia che non ha attratto investimenti dei grandi gruppi vinicoli italiani. Chiedersi e capirne le ragioni sarebbe riflessione da fare attentamente, atteso che tutti questi gruppi hanno investito in regioni immediatamente limitrofe e molto dei loro investimenti includono largamente i vitigni “originariamente” campani.

Le aziende campane, in gran numero, focalizzano le proprie risorse su politiche di prodotto e queste, senza contemporanee politiche di brand e, peggio ancora, di territorio – per la “microscopica” dimensione di larga parte dei produttori – riducono la Campania per l’ennesima volta all’essenza di una commodity  e non costruiscono solida e radicata identità e valore distribuito. Quante e quali le aziende campane, oggi, sono riconoscibili nel mercato e dal consumatore finale? La regione né conta oltre quattrocento.

Alla Campania, a differenza del resto di Italia – si veda l’Alto Adige, il Trentino, il Veneto e così via è mancato e manca l’apporto del positivo  contributo della Cooperazione nella costruzione del sistema di valore ed identità. Le Cooperative Campane – nonostante isolati e non sistematici sforzi – ancora oggi concentrano le loro produzioni per larga parte a vini da vitigni non campani, privi di identità e di quasi impossibile valorizzazione commerciale. Eppure, se ci fossero delle chiare e definite identità d’impresa e strategie manageriali, anche in questo caso sarebbe possibile creare delle storie di successo. Perché dimenticare l’esempio positivo dell’Emilia e il Tavernello o Galassi, etc? E’ fondamentale che la cooperazione campana si recuperi alla costruzione d’identità e alla crescita di valore del sistema, che guadagni specializzazione nell’approccio al mercato e capacità a progettare e perseguire gli obbiettivi prescelti con coerenza.

Vigneto a Ischia

Non meno della cooperazione, il deficit di scelta d’identità qualificabile con comportamenti commerciali di “né carne, né pesce: basta che si venda!” altrettanto deve essere recuperato da larga parte dei produttori privati campani, specialmente piccoli e medio piccoli. Nella prospettiva di costruzione vera di un territorio vitivinicolo essere l’artigiano altamente specialistico di un Vino non è un minus, ma in Campania non si capisce perché tutti gli artigiani, una volta riconosciuti tali, ad un certo punto del loro successo debbono mettersi a fare di tutto iniziando a produrre anche altri vini comprando le uve, snaturando il plus della loro essenza, e rincorrendo con enfasi le richieste dei mercanti del vino. Eppure, gli artigiani potrebbero sviluppare più semplici e intelligenti sinergie di aggregazione dove l’artigiano del Greco di Tufo, si allea con quello del Fiano di Avellino e del Taurasi, oppure quello del Taburno, del Taurasi e del Cilento per rispondere  alla richiesta del mercato senza snaturare la loro identità? Invece prevalgono i comportamenti, alla pari dei vari imbottigliatori locali – principali clienti delle Cooperative – che non perseguono né l’obiettivo del prestigio né quello della crescita nel territorio, ma solo quello dei facili guadagni e determinano la caduta di immagine delle produzioni di qualità regionali.

Aglianico di Taurasi

Qualunque analisi di performance della distribuzione, evidenzia che sebbene ai vini campani sia riconosciuta una significativa potenzialità questa, altrettanto, non riesce ad essere pienamente espressa.

L’assenza di una forte identità territoriale, l’assenza di un brand Campania forte è, oggi, il principale punto di debolezza dell’enologia campana insieme  alla scarsa capacità di sviluppare sistematiche e continuative azioni di comunicazione al mercato. Non basta avere una storia di qualità e una tradizione del marchio se poi non lo si sa comunicare e vendere costruendo valore per l’impresa e per il territorio.

Il vino campano, oggi, con estremo rischio e pericolo, anziché essere strategicamente attrattivo per il mercato, rimane esposto alla forza bruta del mercante. Non vendiamo i vini campani perché siamo bravi nel vendere e abbiamo costruito una domanda strutturata di mercato del vino campano, ma vendiamo perché il mercato ci cerca e venderemo fin quando ci cercherà. Oggi trendy, ma domani? Tutte le onde anche quelle più lunghe alla fine si spiaggiano e il sistema vino campano e i suoi uomini coscientemente e scientemente non possono e non deve accontentarsi di vivere sull’onda. Scusatemi ma, credo, siamo un po’ più che surfisti.

Orientare la Campania verso una crescita sostenibile, continua e duratura richiede, non solo far progredire le tecniche di produzione dei vitigni e di miglioramento della qualità del prodotto e della gamma di offerta, ma uno sforzo organizzativo collettivo sentito, condiviso e coerente con l’indirizzo strategico di costruzione del Brand Campania e non si costruisce il vino Campano solo costruendo le marche individuali senza degli efficaci poli di relazioni e comunicazione con la distribuzione e, ancor di più, con il consumatore in una logica di sistema

La mancanza di una strategia unitaria e coerente è frutto della latitanza di un mondo politico che rifugge le istanze e le preposizioni di soluzioni avanzate dal mondo imprenditoriale. L’esempio più eclatante, di questo atteggiamento, sono il mancato decollo dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino e dell’Enoteca Regionale strumenti entrambi attesi dal comparto vitivinicolo Campano e che sono rimasti vittima dell’avvicendamento politico amministrativo della regione.

La Falanghina dei Campi Flegrei

La creazione dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino: consente di consolidare e stabilizzare nel tempo gli investimenti di valorizzazione della filiera vino, di effettuare un più efficace raccordo tra le esigenze del mondo della produzione e le risposte della parte istituzionale, contribuisce ad incrementare l’efficienza della spesa regionale, favorendo l’incontro con le istanze degli operatori. L’Istituto ha il ruolo di raggruppare tutte le competenze nel campo della ricerca, innovazione, promozione e valorizzazione del vino campano che a oggi sono disperse tra la miriade di articolazioni della struttura regionale creando non solo diseconomie ma soprattutto mancanza di incisività ai fini della competitività nel mercato.

L’Enoteca “vetrina” delle produzioni vitivinicole campane non ha senso di esistere. L’Enoteca è contenitore di esperienze, luogo di incontro, fattore di propulsione dello sviluppo economico della filiera vino campana, producendo e fornendo quotidianamente “formazione, informazione & comunicazione sul Vino Campano“. Uno strumento specializzato e fortemente orientato al business. L’Enoteca Regionale, oltre essere guida alla scoperta delle eccellenze e la realtà del mondo vitivinicolo campano, deve contribuire alla creazione di un mercato di consumi qualificati, diffusi e sostenibili per il consumatore e il produttore.

Vito Amendolara

La bellissima analisi di Lucio Mastroberardino è lucida oltre che ampiamente condivisibile. La critica ai piccoli che fanno tutto, pesce o carne purché si venda sono spunti che mi appresto a “rubare”.
Ma sulla postilla serve un po’ di chiarezza e siamo sicuri che i due punti di vista coincidono perfettamente conoscendo la serietà di Lucio.
In sintesi, la debolezza di sistema ha le sue radici antropologiche nella società commercialmente, e culturalmente, poco evoluta e non al passo con i tempi e nel fatto che gran parte delle aziende sono una seconda attività per chi le porta avanti. Su 400 cantine campane, quelle che vivono esclusivamente di reddito agricolo sono poco più di cento. Appena sei aziende superano un milione di bottiglie. Dunque, nonostante il gran parlare, i numeri e le dimensioni regionali sono molto piccoli e di nicchia.
Certo i passi in avanti sono stati enormi rispetto a soli 15 anni fa, ma adesso è il momento della selezione vera, capire chi fa sul serio e chi sta a Giocagiò.

L’Istituto è una gran bella cosa sulla carta ma a patto che sia gestito pubblicamente e non privatamente.  Con uomini pubblici e per fini pubblici di sistema. Non è certo giusto usare soldi del cittadino in una regione dove non si compra più la carta negli ospedali per favorire lucro commerciale di pochi privati. Anche se sono produttori di vino. Direi anzi che chi vive di solo vino alla fine è penalizzato da un sistema dopato perché il rischio fa parte di ogni attività umana degna di questo nome.
Come è accaduto in Campania dove la spesa pubblica regionale del 2009 in questo settore è stata a dir poco discutibile.
Per fare un solo esempio: furono stanziati 4 milioni e mezzo per l’Enoteca regionale con una presentazione in pompa magna in puro rito partenopeo, ossia senza badare ai mezzi. Ebbene, di tutte quelle chiacchiere non è restato più nulla, se non il mezzo milione speso nella fase di avviamento che, come sempre avviene con i soldi pubblici, ha fatto felici studi di progettazione, tipografie e società di servizi.
Dunque, se istituto deve essere, che sia diretto da funzionari pubblici qualificati di cui è pieno l’assessorato.
Così come era l’Ersac prima del suo improvvido scioglimento.
Come pure l’Enoteca di Taurasi, anche qui inaugurata in pompa magna in un freddo dicembre. Solito, ennesimo, taglio del nastro ma poi? La Regione ha assicurato la possibilità che stia aperta un certo numero di ore durante la settimana? Se non fosse per la buona volontà della Condotta Slow Food e del Comune oltre che della Pro Loco, sarebbe restata chiusa subito dopo l’ennesima serata di chiacchiere vuote.
Vito Amendolara sta dimostrando di essere assessore di responsabilità. Viene da questo mondo, è sindacalista consumato ma anche uomo delle istituzioni. Ha trovato le casse svuotate e non ha intenzione di bruciare altri soldi.
Ebbene, si annullino le decisioni assunte di Giunta il venerdì prima del voto regionale che gridano ancora vendetta per gli aromi di Basso Impero che hanno esalato.
I protagonisti di questa stagione grigia appena chiusa, grazie a Dio, farebbero meglio a stare zitti e augurarsi che Procure, Corte dei Conti e cittadini si dimentichino di loro.
Poi se ne può riparlare con gente seria e perbene, qual è, per fortuna non solo, Lucio Mastroberardino.
Per il momento mi fermo per non tediare i lettori non campani. Ma non finisce qui.
(l.p.)

18 Commenti

  1. Ieri a Città del Gusto si aspettava l’intervento delle istituzioni, che purtroppo non c’è stato. Decisamente interessante il confronto venuto fuori dall’appuntamente magistralmente tenuto in piedi da Paolo De Cristofaro, ho visto persone, Michele Farro, Nicola Venditti, Tani Avallone, molto “agguerrite” sull’argomento. Ma alla fine se a suonarla e a cantarla siamo sempre noi appassionati, operatori del settore in generale, non si va da nessuna parte. C’è chi ci mette la faccia, chi preferisce di no, figuriamoci fare nomi e cognomi…

  2. Giulia, non so se c’eri, non ci siamo incrociati, ma ieri è andata diversamente. Le istituzioni di cui ti parlo io sono quelle decisive, a cui spetta l’ultima parola e prednere decisoni importanti(e stanziare soldoni), e quelle ieri ahimè non c’erano. Magari qualcuno ci spieghi veramente come stanno le cose in merito all’istituto della vite e del vino, tanto per cominciare…

    1. Non c’è nulla da spiegare, parlano le carte.
      E’ stato formato prima il Campania Wine Group con Cozzolino che doveva avere funzioni di consulenza ed era una buona idea perché raggruppava aziende storiche e le coinvolgeva dopo il disastro dello scioglimento Ersac. Noi stessi avevamo plaudito all’iniziativa
      Senonché nel passaggio da Cozzolino a Nappi alcuni di questi pochi hanno di fatto iniziato ad avere funzioni decisionali sulla spesa pubblica e disponevano addirittura dei funzionari regionali. Tutta la piccola produzione è stata estromessa e costretta ad obbedire alle scelte di pochi, le professionalità di dirigenti calpestate e liquidate con sufficienza.
      Michele Farro, altro deus ex machina di questo gruppo, per esempio, ha voluto a tutti i costi una faraonica, dispendiosa e inutile manifestazione a Palazzo Reale a Napoli a maggio con la solita bevuta e magnata gratis di rito partenopeo con annessi commessi: messa in piedi all’ultimo momento come tutti i triccabballache dell’ultimo periodo. Ovviamente non l’ha pagata lui, e neanche il consorzio dei Campi Flegrei che presiede e che al Vinitaly è sempre stato fuori dal padiglione della Campania, ma la Regione. E questo sarebbe il marketing che gli altri non sapevano fare: ventimila euro per mezza giornata, lo stipendio di un anno di un professore bruciato come paglia nel camino, non un solo giornalista è venuto da fuori regione.
      A dicembre su pressione del Wine Group, nella persona del consigliere Pd, ex Udc (soliti quattro salti in padella), Nicola Caputo, produttore dell’Aversano, è stata promulgata una legge che assegnava a questo Istituto tutte le fuzioni che erano dell’assessorato.
      Il venerdì prima del voto, con un colpo di stato africano sono state fatte le nomine. Una delibera di giunta regionale a 48 ore dalle elezioni regionali può dare l’idea della potenza di questa massoneria della barrique.
      Oggi la promozione pubblica sarebbe in mano a una decina di produttori che dispongono del bello e del cattivo tempo se le cose fossero rimaste così. Per fare un esempio, come se in Toscana la promozione pubblica fosse affidata a una o due aziende di imbottigliamento. In tutta questa follia dell’ex assessore Nappi i pochi fondi alla ricerca sono tagliati.
      E mi fermo sui rapporti privilegiati, ma se qualcuno vuole si può continuare: per esempio sull’intreccio di alcuni uffici stampa
      Curioso solo che i protagonisti di questo arrembaggio alle istituzioni pubbliche senza confronti in Italia siano soprattutto vinificatori, non viticoltori
      Tutto quello che è avvenuto in Campania nel 2009 è stata una enorme porcata costata centinaia di migliaia di euro senza che l’uva nei campi sia aumentata di un centesimo.
      Mi auguro una severa indagine della Procura presso la Corte dei Conti per capire come sono stati spesi i soldi di tutti noi
      Ecco perché la nascita di Slow Wine, impresa editoriale autonoma e totalmente autosuffciente dal pubblico come dal privato ha dato tanto fastidio: un potente faro di luce pulita su un verminaio di piccoli interessi.
      Ecco perché, per rispondere ad alcune domande fatte in altri forum e blog, in Campania c’è fibrillazione e tensione: in nessun altra regione gli interessi di un piccolo gruppo sono così solidamente intrecciati con il pubblico. Si stava creando una cosca, e solo fortuite circostanze lo hanno sinora impedito. Ad alcuni produttori è stato anche “consigliato” di non inviare campioni.
      In fondo la legalità si gioca anche su questi piccoli episodi apparentemente insignificanti ma sostanziali. E in questo momento in Campania c’è il problema del ripristino della legalità e dei principi dell’etica pubblica anche nel settore vitivinicolo.
      Domenica le istituzioni erano più che presenti: Città del Gusto si regge grazie ad una società a partecipazione pubblica che fa capo a Città della Scienza con soldi pubblici senza la quale non sarebbe possibile tenerla aperta. Quindi prima di parlare e sfoderare la solita lamentela alcuni farebbero meglio a sciacquarsi la bocca
      La sfortuna di questa gente piccola piccola è questa: io sono stipendiato dal Mattino e mia moglie insegna all’università, non ha società di comunicazione. Ecco perché ho la libertà di scrivere, bere e parlare dei vini che realmente più mi piacciono da 15 anni, magari sbagliando.
      Ah, last but not least: due volti sicuramente puliti sono Nicoletta Gargiulo e Marco Starace

      1. Caro Luciano,
        grazie del tuo puntuale interessamento agli argomenti della vitivinicoltura Campana.
        Trovo, tuttavia, singolare che nella tua analisi sui compiti che svolge la Cabina di Regia Regionale Wine Group fai riferimento unicamente alla mia persona.
        Evidentemente mi attribuisci un ruolo di primazia, del quale sarei certamente onorato, ma che, mi dispiace deluderti, non corrisponde affatto alle modalità operative della Cabina di Regia Wine Group, sicché devo considerare quel riferimento un gratuito, e forse interessato, attacco personale. Poiché il tuo intervento contiene palesi inesattezze e basse insinuazioni è opportuno fornire qualche chiarimento.
        Campania Wine Group è un associazione nata per volontà dei produttori è allo stato attuale hanno aderito 50 Aziende di varie dimensione della Regione Campania.
        Altro è la composizione Wine Group Cabina di Regia per lo sviluppo economico del comparto Vitivinicolo istituita con legge della Regione Campania è così rappresentata :
        Dall’assessore all’Agricoltura e alle attività produttive o suo delegato;
        Dall’Assessore al Turismo o suo delegato;
        Dal Presidente della Commissione Consiliare Agricoltura della Regione o suo delegato;
        Unioncamere Campania – Gennaro Masiello
        Consorzio Tutela Vesuvio – Piervincenzo Tione;
        Consorzio Tutela Campi Flegrei – Michele Farro;
        Consorzio Tutela Irpinia – Piero Mastroberardino;
        Consorzio Tutela Caserta – Arturo Celentano;
        Consorzio Tutela Sannio – Domizio Pigna;
        Provincia di Avellino – Lucio Mastroberardino;
        Provincia di Napoli – Andrea D’ambra;
        Provincia di Salerno – Andrea Ferraioli;
        Provincia di Benevento – Lorenzo Nifo Serrapochiello;
        Provincia di Caserta – Salvatore Avallone.
        La Cabina di Regia Wine Group esercita, a titolo gratuito, funzioni meramente consultive.
        La struttura Regionale,con i suoi funzionari ha operato sempre in piena autonomia assumendo, talvolta, decisioni difformi alle proposte della Cabina di Regia Wine Group.
        Quanto alla legge del dicembre, da te citata in maniera generica e confusa, evidentemente intendi riferirti alla creazione Regionale dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino.
        Sul punto mi limito ad osservare che, in un suo recente intervento, Lucio Mastroberardino ha affermato che L’Istituto Regionale della Vite e del Vino unitamente all’Enoteca Regionale costituiscono strumenti di fondamentale importanza per la promozione e la valorizzazione della vitivinicoltura Campana.
        Infine sono costretto a smentire le volgari offese che mi rivolgi a proposito della manifestazione svoltasi il 14 maggio al Palazzo Reale di Napoli. Non si tratta di un evento da me “voluto a tutti i costi” come subdolamente scrivi.
        Il Consorzio dei Campi Flegrei si è limitato ha partecipare ad un programma regionale ed è stato ammesso al finanziamento così come è avvenuto per le Strade del Vino di Ischia, La Strada del vino Vesuvio – il Consorzio del Vesuvio.
        Tra l’altro il programma maggio mese del vino in Campania comprende anche la manifestazione del 14 maggio, che è stata ampiamente pubblicizzata sul tuo Wine Blog.
        La manifestazione ha avuto, comunque, ampio risalto sia sui giornali che su varie testate televisive.
        Il Consorzio, quindi, ha esercitato le sue prerogative così come è abituato a fare.
        Allo stesso modo, diversamente da quanto scrivi, non so se per ignoranza o mala fede, ha esercitato tali prerogative partecipando al Vinitaly all’interno del Padiglione Campania ogni qual volta l’Ente Regionale lo ha permesso, ovviamente unitamente agli altri Consorzi Regionali.
        Per quanto mi riguarda auguro ogni successo a Slow Wine e ti auguro di continuare le tue bevute per altri cento e passa anni, ovviamente con parsimonia…

        1. Ti ringrazio per aver contribuito a chiarire il quadro
          Ulteriori approfondimenti verranno dalla lettura dei verbali che, presumo, abbiano scandito questa eccezionale attività di accompagnamento istituzionale. Dalle analisi delle voci di spesa, dai resoconti dettagliati delle rassegne stampa
          I risultati pratici, intanto, stanno alla valutazione di chi ci legge e di chi oggi ha responsabilità istituzionali

          Sulla manifestazione di maggio non replico perché mi rendo conto che è una battaglia persa in Campania voler programmare con un anticipo di almeno due settimane gli eventi tarandoli sulle esigenze produttive e non sulle bizze politiche: la promozione è confusa con l’animazione.

          Infine, non ti schernire: sei stato uno degli attori protagonisti di questa stagione, forse il più assiduo frequentatore degli uffici regionali con il quale coloro che hanno avuto rapporti con l’ente pubblico negli ultimi mesi caldi della giunta si sono dovuti confrontare in maniera serrata, lo sappiamo bene tutti quanti.
          Con te, ottimo vinificatore le cui qualità di uomo marketing territoriale hanno finalmente avuto la possibilità di venire alla luce grazie a Nappi.

          Ah, un dubbio: con quali criteri è stata istituita una Cabina di Regina chiamando a raccolta Consorzi la cui attività è sostanzialmente sconosciuta ai più e designando le province produttori invece che altri? Discrezionalità? Curricula? Documentazioni? Qualcun altro ha avuto la posisbilità di farsi avanti?
          Consorzi che in dieci hanni non hanno avuto nemmeno la capacità di organizzarsi per i controlli tanto che questa funzione è stata per legge assegnata all’Ismecert?
          E gli stessi soggetti istituzionali, come d’incanto, avrebbero dovuto esprimere qualcosa in una Cabina di Regia?
          Ma come non vedere, caro Farro, che si tratta dell’ennesima costruzione barocca pre-elettorale tipica della fase calante dell’era Bassolino?
          E i contadini, i viticoltori? Perché escluderli?
          Etica, Farro, Etica. Ecco la prima cosa che adesso cercherò nel bicchiere.

  3. Ma quante volte li dobbiamo fare i nomi, i cognomi e anche i soprannomi!!! Chi lo deve sapere lo sa eccome, chi sono i responsabili di questo sfascio… Il problema è che tutto scivola addosso, un po’ come avviene a livello politico centrale, a ritmo di “Bunga bunga”. Ormai la faccia si è indurita, e la maschera è sempre uguale, le espressioni ebeti ma al tempo stesso maliziose, sono sempre quelle ed il comparto langue sempre più. Ogni tanto qualcuno si sveglia e fa le sue “analisi dirompenti”, come se fosse appena atterrato con una navicella spaziale proveniente da non so quale pianeta della galassia, mentre invece ha sempre condiviso, se così non è se li è lasciati passare sotto il naso, i comportamenti che hanno determinato la situazione odierna…allora di cosa vogliamo parlare?

  4. Grazie Luciano. sono felice se, involontariamente ho smosso le acque, non conosco questi signori, ma vivaddio mi incazza fortemente il fatto che in questi soldi buttati al vento ci sia anche il mio denaro insieme con quello di tanti altri contribuenti. Sarebbe ora che questi signori dei quali hai fatto il nome provassero a farci capire, con parole chiare e semplici perché noi non siamo molto intelligenti. qual’è il risultato reale di questi pranzetti ai quali peraltro nessuno mi ha invitato.

  5. io so solo una cosa, che in campania c’è un sacco di produttori che hanno solo voglia di farsi i fatti propri. tanto, questa del vino imbottigliato, tutto sommato gli è andata bene già così. l’agriturismo se lo sono fatti a costo zero, e mal che va ci si ricava comunque un paio di appartamenti per i figli.
    altro che sistema! fare sistema fa paura!
    questo il negativo. il positivo è proprio quest’assenza di regole forti che crea elasticità, adattabilità, polimorfismo, duttilità commerciale. passata la bolla rimarranno i grossi. ma così deve andare.
    piuttosto mi inquieta la situazione per i produttori più giovani che vedono tutto nero, e alla fin fine sono loro che pagano lo scotto più grande e che rappresentano comunque il futuro. giustamente.
    ma forse è l’italia ad essere in crisi, di nuovo.
    mala tempora? ma mica può sempre piovere!

  6. Per Lello: ma se davvero conosci anche i soprannomi, per favore, dillo anche a noi, cosi per lo meno ci facciamo due risate. -)

  7. e non parliamo della ricerca: tanto per farvi capire la drammatica situazione finanziaria regionale venerdi prossimo inizieremo il 2° anno delle microvinificazioni di Coda di volpe rossa e aglianico lasco “gratis et amore dei”. Per amore della ricerca e della convinzione che abbiamo dei vitigni e dei cloni antichi che vanno valorizzati. Rovello bianco o grecomusc’ docet.

    1. Questo ti fa onore, carissimo prof, mentre invece dovrebbe far impallidire dalla vergogna questi parassiti che con i loro sprechi e taglieggiamenti vari alle casse pubbliche, tolgono risorse che in questo caso potrebbero essere utilizzate per fini così importanti e nobili . Vai avanti, il tempo è galantuomo!!!

  8. il male dell’Italia è la politica e la gestione dell’amministrazione pubblica………

I commenti sono chiusi.