Camaiola e terroir: i calici didattici di Scompiglio e Cantina Morone
di Pasquale Carlo
Un antico proverbio francese recita «Toujours le vin sent son terroir» che, tradotto, significa sostanzialmente «I vini sanno sempre del proprio territorio». In questa sintetica, incisiva affermazione si sprigiona tutto l’indefinibile mondo che i francesi racchiudono nel concetto “terroir”.
Parliamo di un termine che va oltre gli aspetti, anche ampi e articolati, che riguardano il terreno su cui giace un vigneto, che in realtà racchiude tutte le caratteristiche di una determinata area di produzione di vino, che indica una tipicità del prodotto. Un concetto apparentemente semplice, ma che in realtà racchiude tutta quella catena di fattori (ambientali, climatici e umani oltre, ovviamente, alla cultivar) da cui scaturisce il prodotto finale.
Secondo l’Organisation internationale de la vigne et du vin il “terroir” vitivinicolo è un concetto che si riferisce ad uno spazio nel quale si sviluppa un sapere collettivo delle interazioni tra un ambiente fisico e biologico identificabile e le pratiche vitivinicole applicate, che conferiscono caratteristiche distintive ai prodotti originari di questo spazio. Il “terroir” comprende le caratteristiche specifiche del terreno, la topografia, il clima, il paesaggio e la biodiversità.
L’altra sera, ospite in uno dei momenti caratterizzanti la “versione Covid” di ‘Vinalia’, la rassegna di Guardia Sanframondi giunta alla sua ventisettesima edizione, mi sono fortunatamente incontrato con due etichette che nei calici hanno manifestato con immediatezza come un vino è frutto delle varie componenti che identificano un “terroir” e come un vitigno possa essere perfettamente riconoscibile nonostante il variare delle diverse componenti. Complice anche il vitigno a me particolarmente noto, quel “camaiola” che gli organizzatori di ‘Vinalia’ hanno ormai indicato come “ex barbera del Sannio”. Infatti, nel corso degli ultimi decenni è stata questa la definizione più utilizzata per indicare un antico vitigno che è in attesa di riappropriarsi del proprio nome, dopo che per oltre un secolo è stato erroneamente associato al barbera originario del Monferrato. “Barbera del Sannio”, ricordiamo, è una definizione errata, considerato che al Registro nazionale delle varietà di uve da vino troviamo iscritto il vitigno ‘barbera nero’ (al numero 19), con cui questa uva coltivata nella Valle Telesina non ha assolutamente nulla in comune.
Presentiamo le etichette. I vini degustati sono stati il Sannio Dop Barbera dell’azienda Scompiglio di Castelvenere e il Beneventano Igp Barbera NeroPiana di Cantina Morone di Guardia Sanframondi. Due piccole realtà le cui radici affondano da sempre nell’agricoltura e che in quest’ultimo periodo si sono ben attrezzate anche per l’ospitalità. Tante differenze nei calici, tenute insieme da un saldo filo conduttore: l’immediata riconoscibilità del vitigno. Le etichette sono entrambe della vendemmia 2019, a ricordarci che questo vino va bevuto giovane per godere pienamente delle sue peculiarità.
Differenze di suolo e terreno; differenze di clima; differenze di tradizione.
Le uve dei due vini provengono da impianti abbastanza recenti (filari), allevati a Guyot. Poco più di cinque chilometri di distanza separano le due vigne. Pochi chilometri, profonde divergenze, a cominciare dalle differenze legate al suolo e al terreno, come in questi ultimi anni va insegnando il professore Antonio Leone. Il vino di Scompiglio si produce da un’unica vigna che circonda la sede aziendale. Qui il suolo è segnato dall’Ignimbrite Campana (tufo grigio). La Piana Ignimbritica sospesa di Castelvenere è costituita da un’ampia superficie pianeggiante che era in origine una valle secondaria, colmata circa 39.000 anni fa da un’eruzione dei Campi Flegrei. Le uve di NeroPiana giungono invece da terreni situati nel Comune di Amorosi, che rientrano nei confini della Piana di Telese, costituita da un’ampia superficie pianeggiante prodotta del colmamento, ad opera di depositi di diversa origine, di una depressione tettonica. Il suo substrato è, infatti, costituito da una sovrapposizione di depositi alluvionali, ignimbritici e travertinosi. Più sciolto il suolo vennerese, leggermente più compatto quello telesino.
Se l’andamento di entrambi i terreni è pianeggiante, notevole è l’incidenza del sole sulle vigne. Particolarmente consistente, infatti, la differenza dell’indice di Winkler che si registra nelle due aree (l’indice rappresenta la somma di tutte le temperature medie giornaliere nel periodo vegetativo della vite, fino alla sua maturazione e raccolta), con la Piana che raggiunge un indice di circa 2.400 gradi/giorni rispetto ai circa 2.000 della località castelvenerese. Altra caratteristica da sottolineare sono le escursioni termiche estive, in alcuni periodi più consistenti nei terreni posti più a valle (quindi quelli telesini e amorosini), anche per motivi legati all’assenza di vento, quest’ultimo quasi sempre presente alla località Scompiglio, che deve il suo nome proprio all’azione di Eolo. Del resto, sono proprio queste condizioni climatiche che hanno favorito la particolare diffusione del vitigno – caratterizzato da una gemmazione tardiva (con maggiore possibilità di difendersi dalle gelate della tarda primavera) e da una maturazione precoce – proprio sulla Piana di Telese.
Infine, la tradizione o, se vogliamo, il sapere. Il vino di Morone nasce da una raccolta giunta al momento limite della maturazione, vale a dire un attimo prima in cui le uve “camaiola” iniziano ad essere soggetto al fenomeno della colatura. Un frutto maturo, che la mano di Anna Della Porta (l’enologa di Cantina Morone) lascia completamente a suo agio in cantina, intervenendo il minimo durante il processo di fermentazione. Le uve di Scompiglio avevano, invece, un profilo acido più sostenuto e un grado zuccherino meno marcato, perché Angelo Pizzi (l’enologo scelto da Michele Simone e suo figlio Valentino) ha lavorato per un calice meno tradizionale, se vogliamo più moderno dal punto di vista del consumo e dell’abbinamento a tavola.
Ed ecco le notevoli differenze. A cominciare dalla vista: mentre il rosso-violaceo di NeroPiana è intenso, impenetrabile, quello di Scompiglio lascia spazio a trasparenze che ne amplificano la brillantezza. Al naso e al gusto emergono due sorsi interessanti, segnati incredibilmente dalle caratteristiche del vitigno. I frutti rossi se esplodono in NeroPiana si lasciano ben avvertire anche nel calice di Scompiglio, come un sottofondo pronto ad amplificarsi quando abbiamo deglutito il sorso. Stesso discorso per la viola e una piacevole nota di pepe. Alla beva non emerge il divario del grado alcolico: particolarmente sostenuto quello di NeroPiana (14°), che però è sempre sorretto dal frutto e dalla freschezza; alcool meno invasivo per Scompiglio (12,5°) con un accompagnamento acido sempre incisivo, mai sgraziato.
Due vini, due volti della stessa medaglia, che manifestano con pienezza la grande riconoscibilità dei vini Camaiola. E che sottolineano come il concetto di “terroir” definisca quella magica alchimia che rende unico ed irripetibile un vino, fondendo la natura, la cultura e la storia del luogo in un qualcosa d’irriproducibile, in cui ogni singolo elemento si fonde con l’altro rendendo affascinante ogni singolo sorso. Sorsi fatti di terra, di uomini, di storie e di paesaggi.