Brunello di Montalcino 1986 di Lisini: l’immortalità fatta vino
di Raffaele Mosca
Chissà se i vini prodotti nelle ultime annate dureranno trent’anni o più. Forse no, perché le temperature roventi non consentono di avere i parametri giusti. Oppure si, perché se è vero che il clima sempre più torrido non aiuta, è anche vero che le tecniche di vigna e cantina sono migliorate in maniera eclatante. Sta di fatto che a nessuno frega quasi nulla di cosa succederà così avanti nel tempo. Io stesso tendo a dare un peso relativo al potenziale d’invecchiamento: del resto non ho lo né lo spazio, né il budget per diventare un collezionista seriale… e come me la maggioranza degli enofili under 50. I ricarichi sulle bottiglie invecchiate sono tendenzialmente proibitivi e quindi non riesco nemmeno a stapparne fuori casa. E penso che sia anche per questo che il mio giudizio sui vini alle volte è diverso da quello dei degustatori più attempati. Non amo la ruffianeria, ma l’immediatezza m’intriga, anche se comporta una “shelf life” un po’ più breve.
Ció non toglie che gli assaggi di vini maturi in forma smagliante siano tra le esperienze più emozionanti che mi capita di fare. L’ultima – e forse la più bella di quest’anno – l’ha offerta a un piccolo gruppo di giornalisti la famiglia Lisini, che nei meandri del borgo di Sant’Angelo in Colle custodisce una riserva di bottiglie invecchiate da far invidia ai grandi chateau bordolesi. Sull’annata di questa Riserva ho trovato pochissime informazioni: c’è giusto un articolo di Decanter che la definisce “good but not outstanding” (buona ma non eccelsa) per il Brunello. Certo è che il vino è figlio di un’epoca totalmente diversa da quella attuale. E la cosa stupefacente è che appare perfettamente coerente con le nuove annate: evidentemente i Lisini avevano trovato già la quadra all’epoca e hanno proseguito il lavoro all’insegna della continuità stilistica. La combinazione di frutto scuro e tratti terrosi è la stessa della 2020, della 2019 e della freschissima 2006. L’evoluzione è sussurrata: toni sottili di cuoio, boiserie e camino spento rievocano le atmosfere rassicuranti di una casa rurale toscana. La bocca è da lacrimuccia: serafica, compassata, ma ancora piena di energia, con ritorni di chinotto che smorzano i toni terziari gentili, ferro e iodio a siglare il finale di precisione e compostezza quasi incredibili per un vino quarantenne. L’idea di vino perfetto è qualcosa che faccio un po’ fatica a concepire, ma questo ci si avvicina parecchio. E la cosa che mi rammarica è che sarà molto difficile scoprire se, tra più di trent’anni, i vini di oggi saranno all’altezza. Non perché non abbia i presupposti anagrafici per sperare di essere ancora vivo, ma perché la vita scorre troppo veloce. E non si ha né il tempo, né la stabilità, per fare progetti in nessun ambito… figuriamoci in quello delle bevute!