Monti Picentini, Brama di Tradizione


Sergio Di Loreto e Rino Di Maggio con i due chef

di Vittorio Guerrazzi

Guardo sempre con una certa diffidenza l’affacciarsi sul mercato di una nuova cantina, almeno fino a quando non riesco a farmi un’idea, anche minima, delle motivazioni che ne sono alle spalle: certo, il mondo del vino è sempre e comunque business, non si produce e vende di certo a fini terapeutici, eppure cattive intenzioni o finalità o metodi di lavoro scorretti possono arrecare danni ad una intera denominazione.

Con molta più simpatia guardo invece al ritorno in campo di chi ha avuto modo di calcare le scene, magari di scrivere pagine significative di un comprensorio, e poi vi si è allontanato (in verità è un mondo questo da cui è forse impossibile prendere definitivamente le distanze).
Le motivazioni di questa simpatia sono molteplici: se il comprensorio in questione non ha molti interpreti a lavoro, ogni know how diventa essenziale per la crescita dell’intero comparto, tanto più se è in possesso di chi è stato tra i primi a lavorare sul territorio.
La presenza di player di qualità porta sempre ad un innalzamento qualitativo della proposta complessiva, vuoi per un fenomeno di imitazione (leggasi “erba del vicino”), vuoi per non rimanere indietro rispetto a chi innova proponendo qualità: si pensi solo alla vastità ed alla portata dell’influsso avuto da una realtà come il Montevetrano di Silvia Imparato sul territorio della provincia di Salerno, per non dire della Campania intera.
Non ultime poi le succitate intenzioni, che quando magari sono anticonvenzionali e non allineate con il comune sentire, aiutano a guardare il comparto da un differente punto di vista, aprendo così nuove possibilità, prospettive o strade da seguire: pensiamo solo all’opera del compianto Cavaliere Antonio Mastroberardino ed alla sua battaglia per difendere i vitigni autoctoni irpini.
Pertanto fa sicuramente piacere il ritorno ad un ruolo più attivo di Rino Di Maggio e Tiziana Teodoro e della loro nuova creatura: l’Azienda Agricola Brama.
Personalmente il piacere è duplice perché scelgono nuovamente di operare in un territorio, quello del Monti Picentini, a me particolarmente caro; l’interesse poi è stuzzicato proprio dalle motivazioni, anticonvenzionali, che animano il nuovo progetto e che per certi versi provano a ribaltare il comune punto di vista.

l’accompagnamento musicale de L’Altra Natalia

Andiamo con ordine: il lato dei picentini che guarda la Piana del Sele fu interessato, agli inizi degli anni 70, da una vasta riforma agricola che frazionò ed assegnò un importante numero di quote vino ed olio ai contadini della zona; contestualmente, su suggerimento dei tecnici/agronomi del Ministero dell’Agricoltura, furono progressivamente espiantati i vitigni sussistenti e impiantate nuove e più produttive varietà clonali, che avrebbero, sulla carta, garantito ai contadini della zona un più sicuro introito economico.
Dato che la zona non possedeva una particolare e specifica identità vinicola (come ad esempio l’Irpinia) né alcuna figura di mecenate che ne tutelasse il retaggio storico, si procedette alla messa a dimora dei nuovi impianti, per certi versi senza neanche stare a sottilizzare più che tanto sui nuovi vitigni scelti.
Ecco che quindi fanno la loro comparsa i vari Sangiovese, Barbera, Trebbiano, Malvasia ma anche i francesi Merlot, Cabernet e Petit Verdot, di cui queste terre sono piuttosto ricche; si affiancano alle varietà autoctone di Aglianico e Fiano, che comunque non scompaiono.
Sono passati quarant’anni, e queste varietà alloctone, in un modo o nell’altro, sono finite in quasi tutte le produzioni della zona, più o meno celebri, di maggiore o minore qualità.
Ma dopo quanti anni un vitigno si può considerare autoctono? In molte regioni d’Italia, vigne di 40 anni vengono considerate a tutti gli effetti antiche o storiche… Chi le possiede ne va fiero e se ne vanta.
La deriva verso il monovitigno tipico campano, centrato sulle ben note varietà, ha finito per etichettare questi vitigni come scarsamente qualitativi, chiudendoli nel cassetto delle pagine nere della storia vitivinicola regionale… ma può essere tutto così semplicistico?

Questi stessi vitigni, in altri territori o climi, hanno mostrato qualità da fuoriclasse: non è che magari qui si è fatto un po’ frettolosamente di tutt’erba un fascio perché certi risultati, nel breve periodo, senza particolare ricerca, non sono stati quelli sperati?

Questo è forse il nocciolo che ha spinto la Brama a muovere i suoi primi passi: e se fosse possibile ottenere di più dai secondi della classe? Se l’alloctono ha di fatto scritto la storia degli ultimi 40 anni, perché immolarlo sull’altare dell’autoctono (o in zona presunto tale) piuttosto che provare a vedere fin dove può arrivare con un’attenta selezione delle varietà, dei territori, dei microclimi e delle tecniche colturali nonché di quelle di cantina?

Queste domande e questi propositi hanno preso vita nei vini che sono stati presentati in una serata particolare, un piccolo evento che ha preso il nome di Brama di Tradizione, per una doppia valenza: da un lato affermare la propria appartenenza ad una tradizione vitivinicola decennale e profondamente radicata nel territorio, anche se le premesse storiche che la generarono non furono quelle ideali.
Dall’altro lato, l’incontro con chi ha realmente scritto la storia e la tradizione del vino italiano, ovvero i Marchesi de Frescobaldi.
La serata ha avuto luogo nelle sale de La Divina Commedia di Giffoni Valle Piana, dove al fianco dei piatti proposti dagli chef si sono alternati i vini delle due realtà, in un incontro e confronto interessante e costruttivo: la storia, la cultura e la mano sapiente nei vini di Frescobaldi si sono specchiati nell’audacia, nel carattere e nella personalità dei vini di Brama, il tutto sulle fascinose note del repertorio di Mina, interpretati dalla calda voce de L’Altra Natalia.

i vini di Frescobaldi

Ad impreziosire ulteriormente la già ricca serata, i brani della Divina Commedia di Dante, sapientemente declamati da Vladimiro D’Acunto.

Il Cicinis 2011, elegante Sauvignon con passaggio in barrique della cantina Attems del Friuli (proprietà dei Frescobaldi) ha incrociato i calici con il Crianza 2012, trebbiano con macerazione sulle bucce: spesi su un tris di formaggi nostrani interpretati dagli chef.

l’antipasto

Il Chianti Classico Vigneto Montesodi Riserva 2010 (Magnum) si è confrontato con lo Sparaposa 2012, Barbera da un vitigno di 40 anni; ad accompagnare, un fusillo al ragù bianco di lepre.

fusilli al ragù bianco di lepre e riduzione di rape rosse

Il Brunello di Montalcino Castel Giocondo 2008 (Doppio Magnum) ha dialogato con il Sanacore 2011, Petit Verdot in purezza; in abbinamento ad una guancia di maialino da latte cotto a bassa temperatura con tortino di farro.
In rappresentanza dei Marchesi de Frescobaldi, Sergio Di Loreto ha portato alla numerosa platea presente la sua vasta cultura sul panorama vitivinicolo Toscano e Nazionale.

Ci sarà tempo e modo di affrontare nel dettaglio i vini: intanto ne escono vincitori i sensi e l’intelletto; ne beneficerà un intero territorio.

Bentornati!