Boccella 2005 e Casali dei Baroni 2003: due Taurasi per le feste


Taurasi 2005 docg
Boccella, Castelfranci
Via sant’Eustachio
Tel. e fax 0827.72574
Ettari: 3 di proprietà. Bottiglie prodotte: 10.000. Uve: aglianico. Enologo: Fortunato Sebastiano

Taurasi 2003 docg
Casali dei Baroni, Frigento
Via tre Masserie, 7
Tel. 0825.446811
Ettari, 11 di proprietà. Bottiglie prodotte: 50.000. Uve: aglianico. Enologo: Antonio Pesce

Per il Taurasi, soprattutto nella zona di Castelfranci e Montemarano, sta avvenendo lo stesso fenomeno registrato con il Greco di Tufo: ossia nel cuore dell’areale piccoli produttori di uve hanno iniziato ad imbottigliare con l’aiuto di giovani enologi. Ovviamente, la partenza è stata più o meno contemporanea, ma con il rosso l’effetto è a scoppio ritardato perché bisogna rispettare i tempi più lunghi del disciplinare. L’appassionato però può trovare piccole chicche molto particolari, proprio come è avvenuto a partire dal 2005 con il bianco. Espressioni significative del territorio che escono dai consueti percorsi gustativi ai quali siamo abituati, ben al di là del bivio legno-piccolo e legno grande, in cui la qualità della frutta gioca un ruolo decisivo. Il mio regalo agli appassionati di rossi sono questi due Taurasi che aspettavo da tempo al varco, risultato di due mani completamente diverse, di due situazioni imprenditoriali opposte, ma al tempo stesso segnati da un fondo di verità territoriale molto interessante e denso di promesse.
Casali dei Baroni è infatti una società di amici, imprenditori del settore edile e di altro ancora, da alcuni anni impegnati in questa azienda costruita nel cuore della Baronia e seguita prima da Amodio Pesce, proprio con lui andai anni fa quando era ancora in costruzione, e adesso dal figlio Antonio. E’ stata la porta d’ingresso di Antonio in Irpinia, poi felicemente sottolineato dal lavoro con La Molara e Manimurci oltre che con il Taurasi della vesuviana Poderi del Tirone.
Boccella è invece un’azienda contadina pura di lunga tradizione, seguita da Fortunato Sebastiano che in questo caso si esibisce con il suo primo Taurasi dopo aver scritto numerosi Aglianico di vari territori, decisamente interessanti e innovativi.
Entrambe le aziende hanno il sottofondo dell’emigrazione, perché uno dei soci fondatori dei Casali vive in Venezuela, mentre il papà dei fratelli Boccella ci è stato ed è tornato. Entrambe, questo è un altro punto in comune, coltivano solo ed esclusivamente aglianico nei loro vigneti.
Le due esecuzioni riflettono ovviamente la diversità di territorio e di annate, ma anche di carattere dei due enologi che nel bicchiere si rivelano opposti al loro apparire: Fortunato ha un po’ l’immagine estroversa, caso insolito per gli irpini a meno che non siano di Montemarano. Ma i suoi vini esprimono una potenza di tipo classico, compiuta e per certi versi rassicuranti. Anche didattici quando gioca in casa.
Antonio appare invece come l’enologo di mestiere, un po’ chiuso o comunque non propenso all’autopromozione, cosa insolita per un vesuviano. Ma i suoi vini esprimono spesso una sofferenza concettuale inaspettata, all’inizio sono difficili da domare.
Se con Fortunato l’acidità supporta la morbidezza, con Antonio la morbidezza è chiamata a contenere l’acidità. Entrambi hanno un uso del legno abbastanza contenuto e comunque non risolutore, e da questo punto di vista sono ormai oltre gli anni ’90 con una bevibile modernità sempre alla fine ricercata.
Questi due ragazzi rappresentano la novità di territorio e sono sicuro che faranno grandi cose perché hanno già un loro stile ben disegnato e appagante. Sono liberi dalle diatribe del passato e vivono un approccio più specialistico e meno ideologico al vino anche attraverso un costante aggiornamento, viaggi, letture, internet, che la generazione precedente non ha avuto sempre  la possibilità di fare.

Taurasi 2003 di Casali dei Baroni
Il colore è un rosso rubino non cupo. Il primo impatto olfattivo è una amarenza dominante, assoluta, ben matura. A seguire rabarbaro, un po’ di caffé, anche tabacco. Se l’annata calda si rivela attraverso la maturità del naso, comunque mai monocorde e sempre dinamico nel bicchiere, in bocca la musica è particolarmente esaltante per chi ama i vini food friendly: non c’è attacco dolce, l’impatto è abbastanza morbido, poi il palato fa i conti con una freschezza davvero impressionante e inaspettata, difficilmente riconducibile alle premesse visive e del naso. Il vino cammina a lungo, resta per un tempo immemorabile anche quando è andato giù lasciando il palato pulito e pronto. I tannini sono risolti ma presenti durante la beva, la struttura è sicuramente importante, come l’alcol,a quota 14. Ma, ripeto,  i parametri indubbiamente alti, ottenuti in campagna e non in cantina, sono risolti con la freschezza della frutta che Antonio è stato molto bravo a salvaguardare. Certo, non è un rosso da wine bar in città, ma un vino da abbinamento ai piatti forti della campagna meridionale, davvero alle carni alla brace, ai ragù ben tirati. L’evoluzione promette ancora perché siamo appena all’inizio del cammino: ancora una volta l’Aglianico conferma di essere uva difficile ma dal carattere ben marcato e sincero, molto lontano dai modelli di morbidezza e soprattutto di concentrazione imposti negli anni ’90.

Taurasi 2005 docg
Aspettavo con impazienza questa esecuzione dopo l’exploit del Rasott. Devo dire che se l’Aglianico è irruente e vitale, con la docg ci troviamo ad una esecuzione di tipo classico e rassicurante in cui la differenza è fatta dalla qualità della frutta e dal rapporto, assolutamente centrato, con il legno. Anche in questo caso vince subito la frutta, ciliegia per la precisione, ma poi l’olfatto si volge verso il rabarbaro, la china e a bicchiere vuoto prevale un inaspettata suggestione di finocchietto. Dopo un paio di giorni, domina la china, ancora sentori di funghi. Il vino non è stato né stabilizzato e né chiarificato e può presentare dunque dei residui sul fondo: ma la voglia di fare un Taurasi quanto più semplice e naturale possibile nulla ha tolto all’eleganza dell’esecuzione che domina tutta la beva. L’attacco è abbastanza morbido, la punta della lingua in questo caso ritrova il dolce della frutta, poi la freschezza dell’annata si fa sentire, come pure la finezza regalata dall’altura delle vigne, sopra i 500 metri ben esposte alle correnti fredde del Terminio, la piccola Siberia della Campania. La chiusura è lunga, pulita, molto piacevole, al termine di un percorso dinamico e interessante. In bocca la freschezza è ben equilibrata dalle altre componenti del vino, l’alcol è a quota appena un po’ bassa, siamo sui 13,5 dichiarati.

Due grandi rossi, insomma, che promettono una buona evoluzione nel corso degli anni. Da spendere, se potete, in queste feste.