Biancorte 2014 Basilicata igt, Paternoster e una riflessione sui bianchi (mancati) del Vulture


Il Fiano di Paternoster

Biancorte 2014 Basilicata igt, Paternoster

La formula ormai la conosciamo: fiano più suolo vulcanico più tempo = grande bianco. Questa bottiglia riposava dimenticata a casa dentro una madia, protetta dalla luce ma non dai colpi di calore estivi. Me l’aveva data Vito Paternoster in una delle mie ultime visite nell’azienda vulturina poco prima che venisse acquisita nel 2016 dal gruppo veneto Tommasi. Pensavo di tenerla un paio di anni perchè ormai evito di bere bianchi di annata ed invece è finita seppellita da altre bottigkie sempre in attesa di essere stappate alla giusta occasione.
Qualche settimana fa l’avevo tirata fuori con questa intenzione, poi ancora un piccolo spostamento sino a che, promessa una murena nella trattoria Sesta Stazione a Vietri sul Mare, ho deciso che era venuta la sua ora.
La vigna di questo fiano è a Melfi, all’epoca le uve venivano conferite a Paternoster, qualche. volta anche ai Feudi. La risposta alla bevuta di questo bianco di oltre dieci anni è che il Fiano del Vulture sta a quello di Avellino come l’Aglianico del Vulture sta al Taurasi. Ossia i lucani hanno un po’ più di frutta, sono sempre un po’ più pronti. Ma questo non vuol dire che ci siamo trovati di fronte ad un vino stanco, anzi: la freschezza, l’acidità, era ancora vivace e dettava i tempi di una beva un po’ più ampia, complessa, con note di miele e di pasticceria ma in una cornice di idrocarburi.
La conferma insomma della qualità di questa uva, e dei bianchi in generale, a cui purtroppo le aziende del Vulture non hanno mai creduto sino in fondo negli ultimi decenni, non riuscendo a intercettare una tendenza sempre più chiara e manifesta in direzione del consumo dei bianchi, delle bollicine e dei rosati rispetto ai rossi strutturati, complice il global warming e il consumo di prossimità delle coste dei tre mari a cui fa riferimento, caso unico in Italia. Bagnata dal Tirreno e dallo Jonio, è a poco più di 50 chiloemtri dall’Adriatico. Una cucina sempre più vegetale e di mare, l’impennata delle temperature volgono naturalmente verso altri tipi di consumo del vino, una tendenza non solo italiana.
Siamo sempre stati convinti che la Basilicata abbia le potenzialità anche per fare bianchi di invecchiamento e non solo beverini da consumare nell’arco di un anno come si usava un tempo. La prova di questo 2014 è lampante in questo caso.
Una occasione perduta o una opportunità non colta. La risposta dipende dal vostro pessimismo o dal vostro ottimismo. Fate voi.

2 Commenti

  1. Grandissimo bianco che all’epoca stimavo più di qualsiasi altro bianco lucano d’altronde come anche il sintesi che dopo la vendita alla famiglia Tommasi si sono evoluti aimé..nn so se in meglio?!?Don Anselmo e Rotondo anche se nn li bevo da tempo sempre a un ottimo livello

  2. I bianchi lucani hanno delle potenzialità enormi, ancora poco espresse, bisogna crederci e far conoscere il prodotto.
    Il Vulture in particolare si presta alla coltivazione sia di uve locali sia di uve internazionali e gli esempi attualmente in commercio lo testimoniano.
    Poi come insegnano altre regioni bisogna fare sistema, marketing e crederci fino in fondo.
    Carpe Diem

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