Berberè: storia di una catena artigianale nata a Bologna, contemporanea e cosmopolita
di Laura Guerra
Catena artigianale Berberè. Ritorna, nella storia degli Aloe, la frequenza della coppia: per cominciare sono due fratelli, Matteo e Salvatore; hanno appena raddoppiato a Londra; studenti partiti da Catanzaro per Bologna; laurea in economia politica per Salvatore, in economia e marketing per Matteo. Non sono nati in una pizzeria di famiglia e immaginano, nel 2010, un locale partendo da sé stessi. Cominciano facendosi delle domande senza dare per scontate le risposte. La pizza è quella che vorrebbero mangiare loro e che a Bologna non c’è.
Sono ironici e determinati, anche se, quest’ultimo tratto non lo danno a vedere. Preparati in fatto di impasti, farciture, gestione aziendale, promozione e marketing, ma non appaiono saccenti.
Sorridono molto, pure con gli occhi, il che li rende simpatici e, ad ogni traguardo, mantengono il profilo basso delle origini semplici, che conoscono i rischi fatui della presunzione.
La storia dei fratelli Aloe
Quando hanno pensato di aprir bottega erano i primi anni del 2000; hanno guardato Bonci, Padoan, Coccia e si sono messi a capire cosa ci vuole per aprire una pizzeria, non solo come si fa la pizza con l’intenzione di creare un posto dove “persone gentili servono pizze buonissime in posti bellissimi”.
Hanno costruito un modello – anche se oggi giurano che non se ne sono resi conto. La chimica delle rispettive inclinazioni e personalità, delle cose, delle persone, delle situazioni fa sembrare tutto semplice, facile, scanzonato. E lì sta l’abilità: far apparire fluida la complessità.
Che in pratica si traduce nella prima apertura nel 2010 a Castel Maggiore – perché a Bologna costava troppo – dove credono di servire la pizza a clienti di passaggio. Invece si crea un affezionato giro di persone, che tornano e che alimentano un prezioso passaparola. In capo a tre anni, il locale a Bologna diventa realtà. Da quel momento le aperture si susseguono di anno in anno e oggi si contano 2 insegne Berberè nel capoluogo emiliano, 5 a Milano, 3 a Torino, 1 a Verona, 1 a Roma e 2 a Londra.
E’ nella capitale del Regno Unito l’ultima serranda alzata alla fine del 2022 e la risposta, già nel primo mese di servizio, è molto bella e consegue alla strategia del dove, del come e del per chi fare la pizza. E, anche qui, scegliendo zone residenziali, sono riusciti a proporre in contesti metropolitani la classica pizzeria di quartiere, che costruisce la sua popolarità sulle persone che parlano bene del cibo, dell’accoglienza e della serata che hanno trascorso, e tornano con amici, parenti, colleghi.
Oggi Berberè è una catena artigianale di 17 locali, al 4° posto della classifica 50 Top World Artisan Pizza Chains della guida 50 Top Pizza 2022, dove si mangia autenticamente italiano.
Pizzerie gestite in proprio e non in franchising, che comporta la cura di due aspetti: esserci – per quanto possibile – e avere necessariamente squadre formate da persone motivate, sul fronte lavorativo-creativo, su quello economico e su quello della crescita personale, in termini di progressione di carriera e di bagaglio individuale. I numeri dicono che i lavoratori del gruppo Berberè sono contenti di farne parte e anche quando entrano in mansioni più semplici possono col tempo ricoprire ruoli di gestione, coordinamento e management. Grande attenzione ai talenti femminili, che trovano qui le condizioni per esprimersi ed emergere nel rispetto della conciliazione dei tempi di vita e tempi di lavoro.
Una filosofia imprenditoriale dunque che, nel proclamare la centralità delle persone, non intende solo l’ospite in sala, ma comprende tutti i componenti degli staff e delle brigate. Sono loro il cuore del servizio di pizze fatte con impasto da farine bio macinate a pietra, fermentato con solo lievito madre vivo per 24 ore, condito con farciture stagionali e servito in 8 fette da condividere.
Un valore, quello della condivisione, che gli Aloe – cognome che si sono trovati con dentro gli influssi benefici di una pianta usata per disintossicare dalle negatività – indicano fra i fondamenti della mission d’azienda.
Un valore che abita dentro il nome che si sono dati, li porta e ci porta dentro il profumo di un bouquet di spezie che parla di comunità africane e di fuochi accesi nel deserto, per cuocere pietanze e riscaldare gli animi.