Barolo Cannubi Riserva 1752: il cru di Damilano in Verticale
di Raffaele Mosca
Una grande verticale in una cornice principesca: quella della vecchia casa della famiglia Fendi sulle sponde del Tevere, che da qualche tempo ospita il neo-bistellato Enoteca La Torre. Nessun altro ristorante poteva ospitare una retrospettiva completa su di uno fine wines più ambiziosi di nuova generazione: il Cannubi 1752 Riserva di Damilano, produttore storicamente associato alla vigna più antica di tutta la Langa.
1752 è un nome che omaggia la storia di Cannubi, cru nell’accezione borgognona della parola: le prime menzioni risalgono al 1752, anno riportato su di una bottiglia con menzione “Canubbio” ancora conservata in una casa privata a Bra. Per intenderci, il Barolo come lo conosciamo oggi nasce solo nella seconda metà dell’ottocento. “ Non sappiamo che vitigni fossero piantati sulla collina di Cannubi a quel tempo – spiega Guido Damilano – ma in ogni caso, l’esistenza di questa bottiglia evidenzia l’importanza storica del vigneto”.
Il vino nasce dalle parcelle di proprietà di Damilano, acquistate dal capostipite Giacomo nel 1935. “ Nel 2008 – aggiunge Guido – ci siamo resi conto che le vigne erano abbastanza vecchie per poterne ricavare una Riserva. E’ così abbiamo deciso di prenderne altre in affitto per produrre il nostro Cannubi classico, e dedicare le nostre alla produzione di questa etichetta esclusiva”.
La stampa internazionale ha già parlato di “Monfortino di Cannubi”: una descrizione che sottolinea il posizionamento dell’etichetta nella fascia ultra-premium, ma non rende giustizia ad appezzamenti che, per via della composizione dei suoli, hanno caratteristiche diametralmente opposte rispetto a quelli di Roberto Conterno. A Cannubi, infatti, è la sabbia a fare la differenza: la percentuale è superiore del 15% rispetto alle altre vigne di Langa, con il risultato che, quando si passa per i filari, si ha spesso la sensazione di camminare su di un campo da beach volley!
Tutto questo si traduce nel calice in finezza e sottigliezza aromatica: i Barolo Cannubi non sono mai dei campioni di potenza ed esuberanza, anzi in gioventù possono sembrare un po’ timidi. Ma a fare la differenza, a permettergli di guadagnarsi un posto nell’olimpo nell’enologia mondiale, è la longevità clamorosa data dall’equilibrio tra frutto, acidità e tannini sempre composti. Provare qualche rara bottiglia rimasta degli anni 60’ e 70’ per credere!
Per quanto riguarda i dettagli tecnici, potremmo anche sorvolare, perché il Cannubi 1752 Riserva segue un protocollo di vinificazione molto basilare: fermentazione lenta con macerazione sulle bucce prolungata, a cappello sommerso; affinamento in un’unica botte da 50 ettolitri non tostata. Il vino arriva in commercio dopo circa sette anni e ha un prezzo che si aggira attorno ai 170 – 180 € a scaffale. Molti, ma non troppi, per un fine wine che, a giudicare dall’integrità dei primi millesimi, può “galoppare” per oltre un ventennio.
La verticale:
2008
Iniziamo dalla prima annata, che presenta un colore ancora piuttosto scuro ed esordisce su toni coerentemente cupi di visciole, sottobosco, cioccolato fondente, tabacco ed erbe officinali. E’ ancora serrato e ardentemente tannico, nerboruto e sapido. Sfuma lungo ed ematico, dimostrando di non essersi ancora disteso del tutto.
2009
Profilo più chiaro e balsamico: compare la ciliegia rossa sul fondo di un intreccio allettante di china, liquirizia, ruggine e cacao amaro. E’ più tonico e un po’ più snello, con tannino ben fuso nel corpo e salinità di fondo. Ha più grinta del precedente, ma è leggermente più scomposto nel finale che lascia qualche cenno amarognolo.
2010
Il salto non è da poco: l’annata del secolo – a detta della critica internazionale – lascia emergere molto più chiaramente la grazia e la gentilezza del Cannubi, con un naso da alta profumeria: rosa appassita e kirsch, sandalo e cipria, botanicals da Vermouth. Il tannino ruggisce, incalza e rimpolpa una progressione di grande equilibrio e completezza, che si espande su cola, chinotto e spezie orientali nel finale di finezza disarmante. Splendido!
2011
La ‘11, al contrario della ‘10, è stata accolta freddamente da buona parte degli esperti. Ma questa versione sorprende: un po’ più semplice più rispetto alla precedente, ma sempre finissima e ariosa: fiori rossi, maraschino, rabarbaro e accenni animali. Ha un bocca perfettamente fluida, forse meno potente e tridimensionale di quella del 2010, ma comunque armoniosa e distesa, con finale lungo su toni balsamici. Terrei il precedente in cantina e stapperei questo nell’arco di cinque-otto anni.
2013
Più sottile e silenzioso dei precedenti: lascia affiorare erbe officinali e ghisa, lampone e mirtilli, qualche idea speziata. Ha l’austerità del Cannubi in età embrionale, ma anche equilibrio e definizione, tannino imponente che bilancia il frutto scuro e immaturo e allenta la presa nella chiusura ancora in divenire. Giovincello.
2015
L’annata è associata a calore e immediatezza. E, in effetti, questo naso è già molto espressivo, tra arancia sanguinella e confettura di lamponi, cumino e pot-pourri. E’ voluminoso, abbondante, molto gentile e ben dosato nella parte tannica; la nota calorica abbraccia la progressione e la rende accomodante già in questa fase giovanile. Non ha la verticalità della ‘10 e della ‘13, ma non c’è motivo per affrettarsi a stapparlo…