Storie di terra. Mario Donnabella, i suoi vini sinceri e l’agricoltura del “non fare” di Silva Plantarium
di Antonella Petitti
Nonostante siano state scritte pagine e pagine negative sul declino del giornalismo, io continuo a trovare ragioni valide per perseverare. Una su tutte la possibilità di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, entrando nelle vite degli altri legittimata a domandare, indagare, capire.
Mi viene concesso il ruolo di confidente, riconoscendomi la capacità di riportarle con rispetto e meticolosità. E questo continua a farmi sentire una privilegiata…
Sessantanni anni ed un rapporto viscerale con la terra. Mario Donnabella è nato e cresciuto a Torre Orsaia, nel profondo Cilento d’entroterra, il richiamo dell’agricoltura è sempre stata una sirena prepotente. È partito dall’attività di vivaista per trasformarsi in ciò a cui ambiva di più per predisposizione emotiva e sentimentale: diventare un viticoltore che si basa sull’agricoltura naturale.
E l’approccio più naturale è quello di non intervenire, di osservare la natura fare il suo corso, accettare ciò che dona senza forzarla, senza addomesticarla a proprio piacimento.
Ad ispirarlo un botanico e filosofo giapponese, Masanobu Fukuoka, il quale ritiene che bisogna lasciar fare alla natura il suo corso.
Quattro ettari di vigna – di cui due in produzione – al di là dell’orto e del terreno dedicato al vivaismo.
È partito dal collezionare vitigni autoctoni, dal 2010 ha cominciato ad intervenire sempre meno con l’agricoltura del non fare, dal 2015 ha portato in bottiglia Santa Sofia e Fiano per realizzare il suo bianco (Kamaraton) e l’Aglianicone (Buxento) per il rosso. In questo modo, in media, riesce a produrre all’incirca 25 quintali di uva per ettaro, ma la quantità non lo preoccupa. “Andrà sempre meglio, la natura sa cosa fare”, ribatte.
E per l’affinamento ha scelto le anfore di argilla, “non solo perché hanno una micro ossigenazione similare al legno senza la concia di quest’ultimo, ma perché le anfore nella nostra cultura ci sono sempre state. Ricordo quelle che utilizzava mia nonna, le ritrovo sul territorio e le sento familiari”.
In entrambi i casi si tratta di vini praticamente bio e senza solfiti aggiunti, ma Mario dà così per scontate le sue scelte che non si preoccupa nemmeno di indicarle in etichetta.
Una produzione ad ettaro ovviamente piccolissima, vista la totale assenza di trattamenti e interventi, che portano in bottiglia due vini autentici e rispettosi delle varietà, puliti, affatto eccessivi se si guarda ai vini estremi cosiddetti “naturali”.
Anche questo un concetto su cui dibattere, il vino è figlio dell’uomo e della sua inventiva, ma andrebbe sviscerato con pagine e pagine.
Mario merita una visita in azienda, ma soprattutto che gli sia dimostrato che sta facendo un grande lavoro che nasce dal rispetto per la terra e che si traduce, necessariamente, in rispetto per chi sceglie i suoi vini. 4 mila bottiglie in tutto, in gran parte di Aglianicone, ne fanno certamente una produzione più che di nicchia.
Un bel faro per la viticoltura cilentana.
Ad majora
“Più la gente fa, più la società si sviluppa, più aumentano i problemi. La crescente devastazione della natura, l’esaurimento delle risorse, l’ansia dello spirito umano, tutte queste cose sono state provocate e diffuse dal tentativo dell’umanità di realizzare qualcosa. In origine non c’era nessuna ragione per progredire e non c’era nulla che dovesse essere fatto. Siamo arrivati al punto in cui non abbiamo altra via che portare avanti un movimento che non porti avanti niente.” (Masanobu Fukuoka)
Azienda Agricola Silva Plantarium
Località Borgo Cerreto – Torre Orsaia (SA)
0974.1848784 349.3463252
[email protected]
2 Commenti
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Brava Antonella sono d’accordo con te. Mario è un personaggio straordinario che ho avuto l’onore di scoprire alcuni anni fa. E poi c’è sua figlia che si è sposata poco tempo fa. Il Cilento ha proprio bisogno di queste figure propositive.,umili e carismatiche per poter crescere in modo esponenziale.
Grazie Enrico!