Antimo Caputo: le pizzerie aperte sono un presidio di legalità. La pizza è sempre stata portata anche a casa ed è sempre stata buonissima
di Emanuela Sorrentino
Semplicità e specializzazione sono le parole su cui improntare il periodo di ripresa che ci troveremo a breve ad affrontare, la seconda fase della pandemia Coronavirus. E il mondo dell’imprenditoria legata al settore food – che non si è mai fermato, ma che ha subìto un rallentamento per la chiusura di bar, pizzerie, ristoranti e pasticcerie – guarda avanti. Antimo Caputo, amministratore delegato di Mulino Caputo analizza il momento.
Cosa ci aspetta?
«Dobbiamo imparare a convivere con il virus ma iniziando pian piano a riprendere la nostra vita, i nostri spazi, le abitudini ma sempre con le dovute attenzioni. E in questo l’apertura al delivery prima e all’asporto poi, nell’attesa di poter tornare a frequentare con le dovute cautele le strutture di ristorazione, è molto importante».
Un segnale importante, vero?
«Da apprezzare, soprattutto perché chi ha scelto di aprire con il delivery o lo farà con l’asporto sono sicuro che non baderà molto all’aspetto economico ma lo per iniziare a far muovere qualcosa. Le pizzerie sono un presidio di legalità nei quartieri, fanno riattivare una microeconomia fatta di fornitori e lavoratori. Certo, occorre maggior attenzione sulle sanificazioni ma l’Italia è sempre stato il Paese più controllato al mondo in questo settore».
Che pizze saranno quelle in casa?
«La pizza in casa è un ritorno alle origini, alla semplicità. Nell’Ottocento le pizze venivano consegnata da un garzone che le aveva in caldo in un contenitore cilindrico in rame che portava sulla testa, la cosiddetta stufa. E ovviamente non c’era tanta di gusti e topping. Penso poi alla pizza a portafoglio alla base dello street food, che trova a Napoli la sua massima espressione».
La pizza consegnata ha bisogno di ingredienti diversi?
«Partiamo dal presupposto che se una pizza è fatta bene, è buona anche a casa. La pizza da asporto ha bisogno però di una fermentazione e quindi di un impasto più lievitato e di una cottura leggermente maggiore, insomma un tocco di forno in più. E poi una vota a casa la si può ripassare in forno».
Ci sono giovani pizzaioli che stanno studiando impasti per delivery e’asporto. Ha visto?
«Sì. Ho visto su facebook Vincenzo Iannucci fino a tarda sera confrontarsi con i suoi colleghi e questa voglia di specializzarsi sempre più è un segno di attenzione verso il consumatore».
Abbiamo perso in queste settimane, ma cosa abbiamo guadagnato?
«Sicuramente ci siamo riappropriati, forse troppo, del nostro tempo. Abbiamo puntato sulla socialità fatta attraverso il web, sui sapori semplici che abbiamo imparato a trovare nei piatti, nei lievitati e quindi nelle pizze preparate in casa. Una semplicità che credo ritroveremo anche nei menu dei ristoranti, con proposte dai sapori genuini. E proprio grazie ai social tanti pizzaioli, chef e pasticcieri hanno dato consigli dalle proprie case alle case del mondo intero».
Il consumatore è diventato ancor più consapevole.
«Riconosce la differenza tra lievito secco e fresco, le diverse tipologie di farina e i tempi di lievitazione, i prodotti tecnici come ad esempio le nostre farine che poi è riuscito a trovare anche al supermercato e quindi ha sperimentato in casa le ricette».
Qualche preferenza nei suoi prodotti venduti in questo periodo?
«Le farine sono state richiestissime ma sottolineo il boom di lievito secco attivo e dei prodotti gluten free che sono andati forte».