Nonna Rosa a Vico Equense, e la lezione di Peppe Guida ai giovani cuochi
Antica Osteria Nonna Rosa. La vita continua anche se fra i tavoli non si aggira più Lella, la moglie di Peppe Guida recentemente e prematuramente scomparsa. La vita continua e questa osteria che funziona alla perfezione fra cucina e sala è il modo migliore per ricordarla ogni giorno.
Ancora una volta, l’ennesima, ci siamo goduti i piatti di questa Osteria stellata che abbiamo narrato in tutti i modi negli ultimi vent’anni. E ci chiediamo sempre di più come sia possibile che tanti giovani cuochi, abbagliati dalle stronzate televisive, rifiutino di imboccare la strada della gioia, ossia della essenza pura di questo lavoro che è fare felice il cliente e non di coltivare il proprio ego. Come è possibile preferire sale vuote o popolate solo da critici a scrocco e non invece cucinare per una sala piena?
In pratica è come se io scrivessi in latino o greco antico gli articoli per far vedere come sono bravo.
Ancora una volta al centro dell riflessione ci sono la memoria, la visione umanistica e il mestiere.
La memoria è quello che hai mangiato da bambino. Peppe Guida è nato in una famiglia matriarcale dove la cucina stava accesa 24 ore su 24 con le sorelle che fanno grandi ricette di tradizione; e la cultura del recupero, dello stretto rapporto tra orto e pasta secca, ossia tra nutrimento e senso di sazietà, viene proprio da questo mondo.
Purtroppo con l’introduzione del frigorifero nelle case negli anni ’60 è venuto meno il rapporto con il cibo di chi cucina. Non ha avuto più importanza scegliere quei frutti e quegli ortaggi capaci di resistere più giorni a temperatura ambiente, non frequentando più i fruttivendoli quotidianamente è venuta anche meno la sapienza della stagionalità in una società che vuole tutto e sempre a disposizione. Questo discrimine ha portato ad una vero e proprio processo di analfabetizzazione di massa per cui ormai la maggior parte delle persone conosce poco o niente di quello che mangia. Magari solo le tabelle nutrizionali su internet :-)
Nella cucina di Peppe tutta questa memoria resiste e viene reinterprata con la giusta tecnica; e siccome si tratta di cose buone è questo uno dei segreti del suo successo.
Cucinare significa avere una visione umanistica, ossia capire un prodotto come nasce e perché va usato, in quale contesto è stato cucinato, come si può mantenere sempre attuale. La visione umanistica non affida ai tecnicismi la soluzione della verità nel piatto, ma li usa per cercarla ancora meglio. Il fine del cuoco non è la meraviglia, non è l’estica, ma è l’estrazione del sapore e l’abbinamento giusto tra gli ingredienti.
Questo non significa chiudersi a quel che succede nel mondo, ma comprenderlo, ossia Contenerlo in sé, abbracciarlo, racchiuderlo e non farsi dettare le regole e i modi da fuori.
Infine il mestiere. Di cuoco. Dar da mangiare, far da mangiare. Un lavoro di alta responsabilità che per rendere felici presuppone palato. Il palato si forma con la pratica, e dunque con la memoria, e poi con i viaggi.
Infine, come la Juventus (Scuteri mi scuserà, eh), sapere che comunque sempre un arbitro fischierà un rigore a tuo vantaggio. Puoi scegliere di tirarlo o meno.
Bene, il rigore in Italia si chiama pasta. Fresca e secca. Siamo l’unico popolo che ha il primo, e dunque quattro portate. Rinunciarci significa non tirare il calcio di rigore che ti viene assegnato ogni qual volta un cliente si siede da te.
Stupiscilo con gli antipasti, stendilo con un grande secondo o un dolce. Ma l’orgasmo è sempre lì. Nei maccheroni. Peppe Guida questo lo sa ed è per questo che il suo è uno dei migliori ristoranti d’Italia.
Alè. Tranquilla Lella. Peppe ci ha fatto una pasta e piselli e mi ha fatto un pasta e fave da sballo. Due piatti che da soli valgono il 99% della presunta cucina d’autore come è comunemente intesa. Peché questa è la cucina d’autore.
Antica Osteria Nonna Peppe Guida
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
E’ tanto vero quanto (finalmente!) scritto che mi sono stampato quest’articolo ed avrei piacere che lo leggessero tutti coloro che di polveri, salse al biberon, schiume e fiori nel piatto ne fanno vanto della loro cucina.
Stimolato da Renato esprimo un’opinione.
Anche nella recensione della Taverna del Capitano di pochi giorni fa si è parlato di argomenti simili.
Lo chef Caputo, con il pesce, segue la stessa “logica”, la stressa “filosofia”:
cucinare senza stravolgere la materia prima. In questo senso c’è rispetto degli ingredienti e, nello stesso tempo, c’è rispetto per la Tradizione.
Chiaramente c’è una rivisitazione personale dei piatti della tradizione ma non
stravolgimento.
In questo filone penso che possa stare anche l’indimenticabile Luciano Zazzeri, che abbiamo ricordato qualche giorno fa.
Caputo, in alcune interviste, parlando degli chef che lo hanno influenzato, nomina Marchesi, che per me resta ancora il più grande degli italiani, e Georges Blanc, tre stelle francese.
Ebbene, se andate a leggere cosa fa in cucina Blanc, ripeto 3 stelle francese, si scopre che adotta la stessa filosofia di Caputo, Guida e altri cuochi italiani.
Chiaramente, è la cucina che preferisco.
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Sempre nella recensione a Caputo della Taverna del Capitano, ma anche qui, si accenna a un’altra filosofia di cucina che è quella che ha come scopo principale quello di stupire e, per farlo, stravolge la materia prima anche grazie alle nuove tecniche e tecnologie disponibili negli ultimi anni.
Questa filosofia non mi è mai piaciuta ma è attualmente egemone tra gli stellati.
E, purtroppo, si tende a imitarla anche in altri segmenti della ristorazione italiana.