Annata 2023: pioggia ed escursioni termiche salvano, forse, la stagione. Ne parla Dora Marchi
di Simona Paparatto
Clima e meteo, sempre più, pesano sull’esito della stagione vendemmiale. Quest’anno, alla siccità, come se non bastasse, si sono aggiunte temperature torride, tifoni violenti ed eventi grandinigeni importanti. Tutti nemici acerrimi della vite, che ne mettono a dura prova l’arguta resistenza e resilienza finora dimostrata.
A spendere una riflessione su come si preannuncia il corrente raccolto, in termini di qualità, quantità e curva di maturazione dell’uva, è l’enologa e biologa Dora Marchi, Direttore Tecnico e Responsabile del Laboratorio Controllo di Qualità del Centro di Ricerca Applicata all’Enologia Enosis Meraviglia di Donato Lanati, a Fubine.
“L’annata 2023 sarà indubbiamente caratterizzata da una resa uva/ettaro più bassa del solito a causa degli eventi atmosferici che, in alcuni areali, sono stati addirittura risolutivi, con grandinate che hanno spazzato via frutto e vegetazione” spiega la Marchi. “Fino a 15 giorni fa, la vendemmia pareva presentarsi posticipata di circa una settimana rispetto al 2022 (in alcuni areali lo è tuttora). Poi, l’anticiclone africano, accompagnato dal torrido vento del Sud, ha asciugato l’uva accelerando i fenomeni di accumulo degli zuccheri e, nella gran parte delle varietà, facendone crollare l’acidità.
La pioggia di fine agosto e il ritorno delle escursioni termiche hanno, infine, restituito un po’ di vigoria alla vite e al frutto. Detta in termini calcistici, si è trattato di un recupero da “zona Cesarini” che ci fa ben sperare in una buona annata. Tuttavia, solo a fine vendemmia potremmo fare un bilancio puntuale”.
“Com’è noto”, prosegue l’enologa, “le temperature eccessivamente elevate influiscono negativamente sulla curva di maturazione dell’uva, provocando un repentino accumulo degli zuccheri, con la diminuzione dell’acidità, l’aumento del pH e l’azzeramento dell’Acido Malico. Inoltre, ci troviamo di fronte ad un disaccoppiamento della maturità tecnologica e fenolica, con difformità di grappoli nell’ambito dello stesso vigneto e, anche, di acini nello stesso grappolo. A lunghi periodi interessati da temperature elevate corrisponde, inoltre, un basso contenuto in Antociani nelle uve colorate. Un fenomeno potenzialmente, ma non necessariamente, imputabile all’inibizione della sintesi e/o alla degradazione di questi composti. L’espressione di alcuni geni della via biosintetica dei flavonoidi, infatti, è inibita dalle alte temperature, comportando conseguenze ancora più drammatiche quando l’evento dura per un lungo periodo, tanto che le reazioni di degradazione delle singole classi di Flavonoidi possono superare quelle di sintesi”.
“A pagarne il prezzo maggiore sarà la freschezza del vino, sia a livello olfattivo sia gustativo. In diminuzione, poi, alcuni precursori degli aromi. Sulle varietà che si devono raccogliere immediatamente, inoltre, ci potrebbero essere anche i sentori tipici dei climi molto caldi, ossia, di cotto e di marmellata. Difficile a dirsi quale sarà la serbevolezza del vino figlio di questa vendemmia che, al momento, resta tutta da stabilirsi. Molto dipende dal vitigno, dall’esposizione, dal terreno e dall’altitudine, poi, l’uomo può fare la differenza. Se i viticoli sono stati bravi e gli enologi sapranno interpretare bene l’annata, allora, si potranno anche fare vini da affinamento”.
A chi sostiene che occorrerà spostare la viticoltura in montagna, la Marchi risponde: “Generalmente, i vitigni tardivi sono più resistenti, ma un grande ruolo resta in capo alla sfera agronomica. Penso ad una viticoltura di nuova generazione, che contempli accorgimenti personalizzati in vigna, per consentire alla pianta una maggiore resilienza e resistenza, con minor bisogno di acqua. Poi, un/a bravo/a enologo/a farà il resto. Non c’è spazio per l’improvvisazione. Ci vogliono competenze, conoscenza, ricerca e, anche, innovazione”.
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