Andrej Godina calmiamoci: torna a provare il caffè napoletano senza telecamere e cambierai idea


Nicola Scamardella e Chiara Turturiello – Caffè Delizia

di Giustino Catalano

Partirei da due aforismi.

“Quello che è il cibo per un uomo è veleno per un altro” (Lucrezio) e “Il rimangiarmi le mie parole non mi ha mai causato l’indigestione” (Winston Churchill).

La scelta non è e non vuole esser casuale.

Il tutto parte dalle anticipazioni fatte dal Corriere della Sera sulla prossima puntata di Report dove un esperto di caffè triestino Andrej Godina, dopo un coffee tour, bolla Napoli come patria del caffè “pessimo”, giungendo, persino, a dare un sonoro 4 allo storico Caffè Gambrinus di Piazza Trieste e Trento, che lo scorso anno ha festeggiato i 12 milioni di caffè serviti dallo stesso barman.

Personalmente non sono un esperto di caffè anche se lo bevo. Fosse stato tè potevamo parlarne tranquillamente ma sul caffè non ho conoscenze approfondite come il dottor Godina. Pertanto mi son dovuto rifare ai miei 32 anni di degustazioni, ai miei trascorsi come uno dei primi Docenti dell’Ufficio Educazione del Gusto di Slow Food e alle centinaia di assaggi, anche bendato, cui mi sottopongo annualmente su varie tipologie di prodotti per tenermi allenato e conoscere a fondo gli stessi.

Una cosa è certa, non screditerò il dottor Godina sulla sua sensorialità, essendo questa un’esperienza (e giammai uno strumento) tutta esclusivamente personale, data da una serie di fattori cui la memoria olfattiva e la capacità gustativa ne sono solo e soltanto un minimo aspetto.

Andrej Godina

La degustazione, seria, attenta, approfondita è molto di più che prendere 7-8 caffè in giro per una città che ha decine di migliia di bar a casaccio per di più (ma questo dal pezzo non si comprende perché poco chiaro)  rivalutati in seconda battuta anche con lo zucchero…dottore, dottore…lasci fare la degustazione a chi la fa di professione.

Ciò che non mi è piaciuto dell’articolo del dottor Godina sono stati i toni di contorno rimarcati più volte sul nostro modo di esprimerci e parlare, la frettolosa conclusione dopo solo 7-8 caffè e il non aver studiato le usanze e le tradizioni del popolo che stava conoscendo, rifacendosi a degli “scampoli di libro” per trovare l’elemento utile a contestarne il fondamento. Peccato. Un’occasione persa per essere un professionista serio.

Per carità tutto giustificato dalla giovane età del degustatore itinerante ma davvero insopportabile quel “barrista” rimarcato così tante volte.

Io a Trieste ci sono stato. Alcuni anni fa, con una collega, per conto di Slow Food ho sviluppato un progetto per il Comune finanziato dalla Banca del Carso. Un progetto di 42 incontri nelle Scuole Materne cittadine. Trieste mi è piaciuta tanto e non poteva essere altrimenti. A me piace tutta l’Italia. La mia famiglia ha dato una giovane vita di 27 anni per unirla. Non potrei sputare su quel sacrificio.

Il Caffè degli Specchi

Ricordo che una delle prime volte che sono entrato in un bar (lo splendido Caffè degli Specchi)  ho sentito riecheggiare alle mie spalle “un nero!”. Istintivamente mi son girato verso la porta d’ingresso per capire se fosse entrato un senegalese indesiderato suscitando, forse, l’indignazione di qualche leghista del posto. Ma nel mentre lo facevo dalla mia destra è partita un’altra voce. “Un capo”!

“Diamine! sono salito sull’autobus (n.d.r. così da noi si chiama il conducente) e non me ne son reso conto” mi sono ripetuto tra me e me.

Ma non ho fatto in tempo a comprendere se fossi desto o dormissi che si sono susseguite una serie di esclamazioni di vari avventori. “Un capo in B, un gocciato caldo, un nero in b, un capo in b tanta”. Mi sono fatto coraggio e ho chiesto al BarRista  a Trieste con una sola R mi raccomando!).

Mi ha spiegato a cosa corrispondesse ogni singola buffa sigla.

Le volte successive ho provato immenso piacere a fare anche io altrettanto. Mi sentivo scemo, ma era divertente.

Fondamentalmente è bello che siamo così diversi e abbiamo tutti qualcosa da insegnare agli altri. Meno bello è che evidenziamo ciò che per noi è strano come un difetto altrui. Se dicessi che il risotto di Davide Scabin fa schifo perché è all’onda (da ignorante della corretta terminologia dovrei dire “cremoso”) mentre è buono quello che si fa da noi dove i chicchi di riso “non si danno confidenza tra loro”, esprimerei un mio giudizio personale e, come tale insindacabile, ma finirei con l’offendere una tradizione e una cultura di un popolo.

Davide Scabin e Enzo Piccirillo, la Masardona

Tranquillo Davide il tuo risotto mi piace da impazzire.

Forse il punto centrale del tutto è lì. Proprio lì. Lo scarso rispetto che si ha per il luogo nel quale si è ospiti.

Nel leggere qui e là nel web le indignazioni di tanti ho anche trovato giornalisti (..ma l’Ordine dei Giornalisti dà il tesserino proprio a tutti?) che presagivano l’offesa dei napoletani su tali affermazioni.

Certo! qualcuno  ha anche reagito male come in un’intervista di una Tv locale nella quale alla domanda “cosa ne pensa del fatto che un esperto di Trieste ha detto che il caffè a Napoli fa schifo?” un giovane baldanzoso ha risposto secco “ca è na granda lota!” (trad. che è una grande chiavica!)..opinioni….per amor di Dio, solo opinioni.

La verità è che bastava leggere con attenzione il pezzo del dottor Godina per comprendere che si era in presenza di una gita tra amici e non di una degustazione professionale svolta con bar a casaccio su un tracciato di poco più di 2 km.

Spiegherò questa affermazione con un esempio. Se voglio assaggiare un vino di una data zona sarà necessario che prima conosca bene i luoghi e le tradizioni di quell’area, poi l’orografia e il terroir, poi l’azienda e poi infine il prodotto.

Nel caso del caffè il dottor Godina salta dei passi e non ne specifica altri, probabilmente nella fretta di percorrere il suo sintetico tour.

E non mi soffermo sulla pubblicità fatta ai due bar fiorentini in premessa dopo aver tessuto le proprie lodi. Meglio lasciar correre.

Per meglio capire ho telefonato a dei miei amici torrefattori.

La Torrefazione in questione è una piccola realtà artigianale di Bacoli (NA), in Campania, ed è tra le poche in Italia ad adoperare ancora oggi la tostatura a legna, con una macchina tostatrice di circa 50 anni, adeguata alle vigenti normative con delle piccole modifiche. Scelgo la piccola torrefazione perché so che l’artigiano ha maggior consapevolezza delle problematiche che possono ingenerarsi sul prodotto e poi perché chi fa ne sa molto di più di chi parla soltanto.

La Caffè Delizia (www.caffedelizia.eu ) è oggi condotta da Nicola Scamardella e Chiara Turturiello. Nicola, grandissimo torrefattore e grande competente di caffè, guida l’azienda da 15 anni, da quando è mancato il padre Pasquale, fondatore della stessa 51 anni fa circa.

Milena Gabanelli: dopo il vino, il caffè

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Questa la conversazione

Ciao Nicola volevo che mi spiegassi se il caffè va fatto come si fa a nord o come si fa a sud. Mi fai capire?

Giustino che domande! L’Italia è così lunga che è impossibile rispondere a questa domanda. Ci sono differenti modi di preparare il caffè tra nord e sud. Partendo dalla varietà di caffè, ad esempio, al nord preferiscono miscele di arabica 100%, che è una varietà meno forte e molto più morbida e gentile al gusto. Da noi non è molto gradita. Noi preferiamo la robusta pura o le miscele tra queste due grandi famiglie.
Poi anche nell’ambito della varietà robusta vi sono differenti qualità e provenienze e ciascuna di esse richiede una tostatura differente.
Anche nella tostatura ci sono delle differenze evidentissime.
Al sud, ed in particolare a Napoli ci piace più spinta, che dia un senso quasi di bruciacchiato.
Al nord cercano di mantenersi al di sotto di alcuni parametri.

Spiegati meglio. Quali parametri?
Nella tostatura del caffè verde si ha una perdita di peso di circa il 20% del prodotto iniziale. Al sud tendiamo a stare il più vicino possibile a quel 20% mentre al nord si cerca di mantenersi su un 18% e forse, a giudicare da alcuni assaggi, ma non ne ho certezza, si va anche un po’ al di sotto del 18%.

E questa percentuale cosa comporta?
Un’infinità di cose sotto il profilo gustativo. A noi partenopei il caffè piace con la miscela a prevalenza robusta, torrefatto in maniera “spinta” al punto tale che ha una schiuma più scura e quando lo beviamo il caffè ci dia un “punch”, una sorta di pugno, e in tazza bollente. Ci piace così. Già da Roma a salire questa modalità di beva e la tazza bollente sono intollerabili. Da loro il caffè ha note più gentili e la tazza è a temperatura ambiente. Lì piace così e la Illy ne ha fatto una regola generale. Ma vale solo al nord e per chi ha quei gusti. Tutto rispettabile.
Un po’ come la pizza che da noi deve potersi piegare a libretto e al nord deve essere sottile e croccante.

Lasciamo perdere la pizza che non è aria….piuttosto dimmi secondo te come è la qualità del caffè a Napoli.

Devo dire che lo possiamo considerare a macchia di leopardo. In alcuni posti si beve un eccellente caffè e in altri è scadente. Le ragioni sono molteplici. Tanto per cominciare a Napoli, dove si producono le macchine da caffè migliori al mondo, si ha il mito di macchine del nord, come ad esempio la San Marco. Queste sono macchine che richiedono una notevole perizia del barista. Se la miscela non è delle migliori, se la tostatura non è fatta bene e se il barista non ha grande perizia può tranquillamente accadere che si beva una vera schifezza.

Ti risulta che ci sia l’usanza di dare del danaro da parte del produttore per “adottare” il suo caffè?

E’ un vecchio mito ormai scomparso con la crisi che ci avvinghia. Sono anni ormai che le case produttrici di caffè non danno più danaro. I più fortunati ricevono una macchina in comodato.

Ti faccio le ultime due domande. Sei a conoscenza dell’articolo del dott. Godina di Trieste sul caffè a Napoli?..e secondo te quanto ne sa un tassista di caffè e contratti tra torrefazioni e bar?

No. Non ne so assolutamente nulla. Dove lo leggo quest’articolo? Un tassista? (sonora risata) e che ne deve sapere? lo beve!

Grazie Nicola.
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Questo il parere di Scamardella, operatore del settore. Del resto da questa posizione non si era spostato più di tanto nemmeno Gianni Frasi del Caffè Giamaica di Verona, azienda alternativa nella produzione veneta di caffè.

Sua una bellissima frase a proposito del modo di intendere il caffè in un’intervista concessa anni fa a Stefano Lorenzetto su Buffet: “Tutti sanno tutto. Viviamo nel regno dell’opinione che è il letame della conoscenza. Hanno ragione tutti perché nessuno sa niente. E’ la lebbra del terzo millennio. L’opinione”.

E che sia così è la pura realtà visto che a fondo dell’articolo del dottor Godina l’ultimo commento postato è del sito americano Espresso News and Rewievs che dopo aver riportato le conclusioni cui giunge il “coffee-turista”  triestino ed aver sottolineato di esser stato a Napoli votando anche un caffè 8,2, dice testualmente: “Difendiamo la nostra valutazione che l’espresso bevuto Napoli, nella maggior parte dei casi, batte i tipici standard di qualità di riferimento di qualsiasi altra città del mondo in cui siamo stati (e siamo stati in tante). Ma, come l’articolo di Mr. Godina dimostra, le opinioni sono varie”.

Un consiglio al dott. Andrej Godina. Ritorni che ne abbiamo piacere. Ma prima di tornare studi.

Uno a Milena Gabanelli. A me Report piace tanto. L’unica cosa che non piace è quando si devono fare rettifiche e scuse. Mi fa capire che si è lavorato con il culo.

Uno a chi pensa che abbiamo creduto che ce l’avete con noi. Mai pensato…lo sappiamo che il sud vi piace. Ci venite a fare sempre le vacanze!

Un suggerimento agli altri programmi televisivi. Abbiamo ancora disponibili il limoncello, la parmigiana di melanzane, il casatiello e il migliaccio. E la pasta. Affrettatevi, però, perchè pochi giorni fa Melegatti ha già occupato la pastiera e temiamo che stia pensando con interesse al sanguinaccio.

26 Commenti

  1. Grande articolo, elegante, pulito ma molto incisivo, non vorrei essere nei panni del dott.Godina dopo averlo letto, ma secondo voi una persona che sputa sentenze può fare autocritica? Possiamo solo sperarlo!

  2. Giustino hai colto una cosa comica che mi era sfuggita: Godina percepisce nel dialetto napoletano il raddoppio della erre confondendoci con i palermitani. Certo che se ha il palato come l’udito stiamo freschi

  3. Ho sorriso di gusto nel leggere questo articolo che, a mio avviso, ha degli aspetti meravigliosi che non sono certa possano essere colti da tutti, e non per mancanza di intelligenza, ma semplicemente per diversa collocazione geografica, educazione, cultura e sensibilità (non inferiori, ma meramente differenti).

  4. miscele di robusta, tostatura spinta e un’acqua incredibile per il caffè, ma questo lo sappiamo tutti,
    il fatto è che a me non piace, come non piace l’acqua lievemente frizzante che bevete, come non mi piace la pizza quando non è ben cotta. e siccome, ogni uomo è un’isola, credo di aver ragione io.
    P.S, il caffè cattivo l’ho bevuto anche a Trieste, nei caffè storici.
    P.S. 2: Barrista si dice anche in Toscana

  5. Gianlù63 e ci sta tutto!
    Il gusto personale è insindacabile ma non è parere da poter attribuire erga omnes come dato oggettivo incontrovertibile.
    Concordo che nella propria isola si sia padroni.
    P.S.: l’acqua è lievemente frizzante per gli oligoelementi naturali che vi sono disciolti. E’ cassata per l’aggiunta di anidride carbonica.
    P.S.2: La pizza napoletana non è poco cotta ma di alta idratazione. La riprova è dta che l’idratazione nella napoletana si muove tra il 67 e l’80% mentre nelle altre (fatta salva qualche eccezione) non supera il 55-60%). Ed inoltre, solo pern competezza, entrambe hanno pari cottura tecnicamente in quanto la pizza non napoletana cuoce per 3 minuti e poco più a 380° massimo mentre la napoletana a quasi 500 per un minuto e poco più (dati comprovati e dimostrati scientificamente). Ma resta rispettabile il suo gusto.
    P.S.3: da noi non diciamo barrista…ma o’ barista. Se il dottor Godina ritorna gli organizziamo anche una sosta da Amplifon. Peccato al Corso Umberto dove è passato ce ne era uno. Altra opportunità persa.

    1. Bene, io per il caffè rimango su Jamaica e Hawaii.
      P.S. sono spesso al sud, e l’acqua non liscia, è al 99% leggermente frizzante (ovviamente anche effervescente naturale) e secondo me è imbevibile, sembra acqua gassata svanita.
      P.S. quando ho mangiato la Pizza da Franco Pepe, era cotta perfettamente! con tanto di occhio lucido per l’emozione che mi ha dato. però i miei colleghi napoletani la mangiano volentieri anche molto meno cotta, con tanto di cornicione gommoso e mattoncino sullo stomaco, ed è questo che non capisco

      1. Anche al Sud si pensa che il riso al Nord sia poco cotto. E i russi pensano che gli italiani mangiano la pasta poco cotta.
        Insomma, quello che capisco è che Visintin e la Porro non erano in cattiva fede quando hanno criticato le pizze di Pepe (su cui ho avuto un autorevole feedback proprio in queste ore), è che proprio non conoscono la pizza napoletana. Poi può non piacere, ma questo è un altro discorso.
        Invece non capisco quello che dici sull’acqua leggermente frizzante. Io la bevo da sempre dal rubinetto ed è liscia.

        Poi considerazione filosofica: ogni io è un’isola (diciamo monade). Il punto è che sei milioni di persone che hanno lo stesso gusto più altrettanti sparsi in Italia e nel mondo fanno un continente. Non a caso, è la pizza napoletana che va al nord e all’estero e non viceversa.

        1. Gianlù63 non vorrei che quanto scritto passasse sotto una difesa tout court della Campania perchè uno dei più grandi censori della mia terra sono io. Nè mi sono scandalizzato che non sia piaciuto. Ci sta e ci sta anche che a lei non piaccia un nostro prodotto come viceversa. In più le aggiungo che anche io trovo che alcuni facciano delle pizze immangiabili anche a Napoli e Campania più in generale. Ma devo anche riconoscere che la percentuale di insuccessi è di gran lunga più bassa di altri luoghi. e non perchè la nostra pizza, prendo spunto dal suo esempio, è la migliore ma semplicemente perchè, l’abbiamo inventata noi e la facciamo da 4 secoli e quindi gli standard medi sono più elevati rispetto ad altri luoghi. Che poi esista una pizza napoletana e una pizza (punto) ci sta tutto. E ci sta anche che la pizza (punto) in alcuni casi surclassi alcune pizze napoletane e provochi la lacrima di commozione anche a me (Renato Bosco Da Re).
          Il punto è che il sig. Godina bara, truffa… e le spiego anche il perchè.
          A Napoli il peggiore dei bar, quello meno frequentato fa fuori 6-7 kg. di caffè a settimana. Le buste sono da 3 kg. e in sottovuoto. Significa che ogni settimana, ossia ogni 3 giorni, se ne apra e finisca una. Ora se il sig. Godina sente il rancido è chimicamente impossibile che (anche se esposti a forti fonti di calore) gli olii essenziali del caffè a contatto con l’aria abbiano sviluppato un irrancidimento. Non accadrebbe nemmeno all’equatore in un lasso di tempo come quello descritto.
          Allora le soluzioni possibili sono 3:
          1. Il caffè è già rancido nella torrefazione che lo ha imbustato in tal guisa. Ciò implica che i barman e i proprietari di bar sono dei polli tutti fortemente colpiti nell’olfatto. Ricevono il caffè che è rancido e lo usano senza contestarlo all’azienda e richiederne la sostituzione. Mi pare davvero in-credibile….e sonoc erto che ne conviene con me. E se così fosse, ammesso e non concesso, perchè il sig. Godnina non dice la marca di caffè e non lo attribuisce alla torrefazione ma al caffè?
          2. il sig. Godina non è in grado di percepire gli aromi e ha seri problemi di olfatto. Non voglio crederci visto che si spertica nell’elogio di se stesso in apertura del suo pezzo
          3. Il sig. Godina, per un’ora di gloria e tanta fama, viena a Napoli e si prostituisce dinanzi alle telecamere. Non ci voglio credere.

          Scelga lei quella che le piace di più.

  6. Mi complimento per l’articolo, anche se a me non risulta che a Napoli preferiscono la robusta pura, anche io ho un azienda di caffè, la mia famiglia ha questa passione da oltre centoventi anni , siamo tra i leader nel mercato napoletano, lavoriamo in tutta Italia e in diverse parti del mondo, le miscele vendute a Napoli mediamente hanno una percentuale di arabica di gran lunga maggiore alla media italiana, e nel ns bar presso Eccellenze Campane da cui siamo stati scelti, serviamo caffè 100% arabica, rilasciando una certificazione per ogni singolo espresso.

    1. Walter Wurzburger grazie. Tanto mi riferisce il tuo collega Nicola Scamardella e tanto riporto. Ho bevuto il tuo caffè da eccellenze campane e mi è piaciuto.

      1. Il caffè Kenon presso le Eccellenze Campane varrebbe l’intero viaggio di andata (e ritorno) tutte le mattine dalla propria abitazione, anche per chi abita a Trieste :-)

  7. ‘Non so perché ma qui il caffe’ e’ più buono, eppure è lo stesso in molti altri posti a Milano’.
    Signora il caffè è lo stesso, la mano no, è napoletana.

  8. fino ad ora il gusto è stato appagato anche in altre città ma trovo che la cosa davvero irriproducibile sia l’odore che permea, dentro e fuori, persino il bar più piccolo ed anonimo di Napoli. Napoli (la mia città) è aroma di caffè.

    PS de gustibus non disputandum est ma..come si fa a bere il caffè in tazza fredda :) ?

  9. semplicemente elegante , meravigliosa sintesi e risposta complimenti, grazie.

  10. Buongiorno,
    condivido il fatto che Godina sia stato scorretto e superficiale per il modo in cui ha condotto il test.
    Perchè sommariamente ha dato valore di giudizio a quelli che sono gusti personali e territoriali.
    Però il rancido è rancido a Napoli come a Trieste e mi sembra un pò provinciale voler sorvolare sulla cosa; più grave che ha detto Godina sui caffè assaggiati. Perchè un caffè può essere astringente, amaro, biscottato più per la tostatura voluta che per l’ esecuzione. Ma il rancido e indice di mancata pulizia della tramoggia e dei filtri.

    “Tanto per cominciare a Napoli, dove si producono le macchine da caffè migliori al mondo”; ma siamo sicuri?
    Elenco i pesi massimi, quelle più usate dai professionisti e nei concorsi internazionali:

    Victoria arduino
    San Remo
    Faema
    Bezzera
    Dalla Corte
    Nuova Simonelli
    Cimbali
    wega
    Rancilio
    Sam Marco

    senza voler togliere nulla ai prodotti Bosco.

  11. A mio avviso se il dott. Godina fosse stato corretto non avrei dubitato del rancido che sentiva. Ma alla luce dei fatti dubito di ogni cosa. E poi rancido uno, due, tre su nove ma mai nove su nove.
    Ci rifletta..le sembra mai possibile statisticamente parlando in una città dove si consuma caffè in misura tripla rispetto a quella che ne consuma di più?
    Il caffè dopo tostato viene messo sottovuoto. A Napoli la maggior parte dei bar fa fuori 15 kg di caffè a settimana..o è rancido alla torrefazione o a Napoli il tempo di irrancidimento è velocizzato. Sarà l’aria… :D
    Alludevo anche a Bosco che pare sia molto richiesto fuori Italia. Ma di questo ne so quanto mi è stato riferito e pertanto annoto per più che valida la usa precisazione Ettore F.
    Un sereno weekend.

  12. Non ho esperienze professionali in merito, ho esperienze da bevitore di caffè, a prescindere dal fatto che da un po’ di anni, diciamo 3 a Napoli il caffè lo fanno ottimo quasi tutti, la mia regola è molto semplice, aldilà delle miscele che non mi è dato sapere, guardo se la macchina ha le leve, se non le ha bypasso ad altro bar. Ho degustato il caffè al bar Prencipe, vicino al municipio per un decennio, avevano due macchine da 10 tazze cadauna, con un consumo di circa 3000 caffè al giorno, ma che ne sa Godina, gli potrei fare una mappa dei bar che fanno un caffè eccezionale a Napoli, ma se uno è abituato a bere le ciofek, deve dire al massimo “non mi piace”. Io no amo il kebab, ma mica dico che fa schifo.

    1. Vincenzo Iannone..”Io non amo il kebab ma mica dico che fa schifo”…questa è la grandezza dei meridionali. L’accoglienza del diverso.
      Complimenti per il mantenimento in vita della nostra cultura levantina.

  13. E’ forse il caso di rimarcare una banalità: se il sig. Comesichiama avesse affermato che il caffé di Napoli è buonissimo, nessuno si sarebbe mai ricordato il suo nome, né avrebbe visitato il suo blog. Mi pare evidente che si tratta di facile autopromozione. Purtroppo, la comprensibile isteria suscitata dai recentissimi feroci attacchi settentrionali all’agricoltura e all’industria alimentare campana ha giocato a favore della strategia pubblicitaria del soggetto in questione.

  14. Molto bello l’articolo ed il modo di criticare elegantemente questo degustatore che si e’ dimostrato scorretto per vari motivi (penso, se non e’ in mala fede, abbia pensato di essere un degustatore talmente sopraffino e coraggioso, da poter esprimere,il suo personale giudizio fregandosene delle piu’ elementari regole di un vero esperto di. caffe’).Di sicuro ai suoi corsi, se ancora glieli faranno fare , parlera’ col tutor.
    Poi allargando il discorso a centinaia di caffetterie, devo ammettere che troppi, specie in altri capoluoghi campani per un po di anni con la s usa della crisi,(non voglio aprire altre polemiche), stanno usando delle miscele troppo economiche, unite questo a chi si improvvisa barista, e la ciofeca e’ servita.
    Questo solo per non appafire di parte nella difesa a priori.

  15. Una sola piccola nota: il rancido, oltre che da un caffè mal conservato o “vecchio”, può derivare da macchinari mal puliti. La macchina espresso e il macinadosatore necessitano di pulizia, altrimenti al loro interno si depositano i grassi di cui il caffè e ricco, che col tempo irrancidiscono e trasmettono questo sgradevole sapore al prodotto in tazza. Ho letto da parte di alcuni – anche addetti ai lavori – che “l’acqua bollente lava la macchina”. Chi, avendo una pentola sporca di olio, si limita a passarla sotto un getto di acqua bollente? Sappiamo tutti che non basta. Lo stesso avviene per la macchina…

  16. post molto bello, molto complesso, molto divertente.
    sulla differenza tra oggettivo e soggettivo ci sarebbe un dibattito sociologico da aprire, oltre che enogastronomico.
    direi solo che le certificazioni e gli enti che sovrintendono i processi sono nati per mantenere fisse delle oggettività e quindi, visto che per la maggior parte si sono discostate dal critico che non voglio nominare, direi che l’oggettività non c’è.
    quanto alla soggettività e alla regionalità, mi pare non ci siano dubbi che siano dovute anche al contesto, visto che “Il cibo risente del gusto. Il gusto è un’espressione sociale” (Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Il Mulino, 2001).
    poi, comunque, il 7 aprile guarderemo report e ne riparleremo: ci scommetto!

  17. Preg.mo Sig. Catalano,
    credo che il sig. Andrej Godina, oltre ad essere uno studioso, sia anche un lavoratore del settore con un’invidiabile esperienza!
    E’ certo che tutto quello che lei ha scritto è conosciuto da Godina ed è stato sperimentato professionalmente.
    Purtroppo siamo un po’ lontani in Italia da un discorso sulla qualità e sulla consapevolezza di quello che assumiamo.
    Il nostro palato è come un corpo che può essere allenato o meno… Se io ho sempre bevuto soltanto ciò che la tradizione mi trasmette come buono la mia memoria organolettica risulterà forgiata sulle mie esperienze, ovviamente.
    Anch’io avrei svolto l’indagine in modo diverso. Ma quello che voi state facendo però è distogliere l’attenzione sul concetto di qualità.
    Qualità del prodotto non è tradizione. STIAMO SCHERZANDO? Qualità non è tradizione e lo ribadirei altre mille volte ancora. Le tradizioni vanno conosciute e rispettate ma non c’entrano assolutamente nulla quando si deve valutare la qualità del prodotto! Che discorsi sono?
    Qualità non è dire “la robusta ce la beviamo perché a noi piace così”.
    Infine…ci sono anche dei parametri oggettivi per valutare la qualità di un prodotto…

    1. Egregia signora Silvia,
      personalmente non credo di aver spostato l’argomento dalla qualità alla tradizione. Non ne sarei stato in grado. Non ne ho le debite conoscenze e manco di esperienza nel settore del caffè.
      Ne ho tempo per scherzare (il maiuscolo nella cd. netiquette equivale ad ad ulrare….).
      Piuttosto credo di aver incentrato la mia disamina, corroborata da un’intervista che desse indicazioni tecniche, sul metodo.
      Che la qualità sia un concetto ben specificabile non ci piove ma che vada appurato con metodo inequivocabile è, di suo, altrettanto un fatto certo.
      Nel mio settore specifico di certo riferimento (tra tutti i tè in testa) procedo ad assaggi che abbiano crisma di professionalità in ambienti adeguati, con colleghi di pari livello o con pari professionalità e, sopratutto ben lontano dalle telecamere.
      E’ una degustazione professionale e non uno show.
      Se lo riducessi ad uno show darei adito a pensare che non sono un professionista ma un quisque de populo.
      Professionalità, come concorderà con me, è altra cosa da una bevutella in piedi in un bar.
      Ma su tale binario non volevo essere “trascinato” per quella premessa che ho fatto nel post. Non intendo screditare nessuno.
      In merito agli allenamenti del palato posso garantirle che giocano altri fattori che in una degustazione professionale che sia degna di chiamarsi tale concorrono.
      Una su tutte l’anonimato del campione degustato.
      La tradizione è anche uno degli elementi di valutazione della qualità di un prodotto. Pensi ad un salume come le Ciuighe del banale nel cui interno ci sono le rape ma apparentemente sono come delle normali salsicce.
      Direbbe mai che sono buone se gliele proponessi come salsicce? O meglio, rectius, resterebbe delusa dal segnale che il suo palato lancia al suo cervello a causa del differente sapore? Sono certo di si. Come vede la tradizione ha un ruolo nella degustazione. E di esempi così ve ne sono svariati in tutti i campi. Caffè incluso.
      Lei confonde con il gusto che è altra cosa.
      Ma l’argomento è troppo lungo per essere trattato in tale sede e mi sembra che la stessa Associazione di riferimento abbia preso in tal senso le distanze dalla degustazione del sig. Godina.
      Quindi….

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