Alle origini dell’Aglianico: VCR421 Antonio Mastroberardino |Un viaggio nel tempo, percorrendo a ritroso il corso della storia
È una storia che parte da lontano, ha origini a tratti ignote, si dipana tra fatti, narrazione, mito. Racconta del più nobile tra i vitigni campani e del Sud Italia tutto, tra i più antichi e pregiati dell’intera penisola. È la storia dell’Aglianico. Secondo una delle tesi più accreditate (risalente ad un’opera del Della Porta data alle stampe nel 1592) si tratta di un vitigno di origine greca (il nome, dunque, deriverebbe da Vitis Hellenica), già presente nel celebre capitolo XIV della Naturalis Historia di Plinio il vecchio, risalente al 75 dopo Cristo.
“Famose ormai per il colore che varia assai spesso fra il rosso ed il nero le elvole, chiamate perciò da alcuni variane. Di esse è preferita la varietà più scura; ambedue abbondanti ad anni alterni, ma migliori per il vino quando il raccolto è più scarso”.
È la storia di un essere vivente – quale è la vite – che ha saputo superare, nel corso dei secoli e grazie all’aiuto dell’uomo, mille avversità. Tra queste, il flagello della fillossera, un insetto di origine americana che arrivò in Europa nella seconda metà dell’800 e si diffuse rapidamente in tutti i vigneti. L’azione distruttiva del parassita – devastante sia a livello radicale che fogliare – ebbe come conseguenza la necessità di ricostruire completamente il patrimonio viticolo del continente.
In maniera ancor più incisiva dei grandi cambiamenti climatici che investirono il bacino del Mediterraneo tra il V e l’VIII secolo d.C., il diffondersi dell’epidemia di fillossera provocò danni enormi all’intero patrimonio viticolo del Sud Italia. Nel 1931, l’insetto era presente in 89 delle 92 province italiane e circa un quarto dei 4 milioni di ettari vitati italiani erano stati già distrutti. La soluzione più efficace a questo dramma impiegò anni ad essere accettata anche in Italia: si trattava di innestare le viti italiane su un piede americano, immune all’insetto. Il prezzo da pagare per dare un futuro alla vite era l’accettazione di una cesura, una frattura con il suo passato
Scrive Grandori nel 1937: “Era un vanto dei nostri padri e nonni possedere ceppi secolari, ormai quasi tutti scomparsi, sostituiti dai giovani impianti di viti innestate per colpa del terribile insetto”.
E mentre la lotta, agronomica e culturale, alla fillossera era ancora nel vivo, arrivò il secondo conflitto mondiale a mettere definitivamente in ginocchio il Paese e con esso la sua viticoltura millenaria. Le priorità mutarono e quella della salvaguardia degli antichi e nobili vitigni greci e latini fu sostanzialmente derubricata.
Antonio Mastroberardino, classe 1928, poco più che adolescente, si trova a prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia dopo l’improvvisa e prematura morte del papà, Michele, avvenuta proprio in quel 1945 che segna la fine del conflitto.
Egli, esponente della nona generazione di una famiglia che dal Settecento ha legato la sua storia a quella del vino e dell’Irpinia, da quel momento, e per i successivi settant’anni, si dedicherà al recupero e alla valorizzazione di quel patrimonio ampelografico rappresentato dal Greco, dal Fiano e, naturalmente, dall’Aglianico.
Ed è proprio da uno dei tanti progetti di recupero intrapresi da colui che passerà alla storia come “l’Archeologo della viticoltura” che trova compimento, in questo 2021, l’inserimento di un clone di Aglianico d’origine prefillosserica, derivante da alcuni ceppi secolari di questo vitigno, nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 20 febbraio scorso, denominato “VCR421 Antonio Mastroberardino”.
Ma procediamo con ordine: è una storia che merita di essere raccontata.
È Antonio Mastroberardino che dà impulso al progetto, animato dalla pressante preoccupazione che l’opera dell’uomo, nel corso di svariati decenni di selezione di cloni produttivi più rispondenti alle aspettative di resa in campo manifestate dalla maggior parte dei viticoltori, avesse generato una selezione avversa in grado di emarginare i biotipi più espressivi e caratteristici e produrre una lenta diluizione di alcuni caratteri distintivi originari dell’Aglianico. Unica via per ripristinare il patrimonio stilistico del vitigno, così come Antonio lo ricordava sin dalla sua travagliata adolescenza dell’Italia degli anni ’30 e ’40, era il ritorno al periodo anteriore al dilagare della fillossera.
Questa, pur nel suo portato di devastazione universale, non era in grado di attecchire in certi particolari suoli. Così, a partire dal 2000 la famiglia Mastroberardino avvia, in collaborazione con Vivai Cooperativi Rauscedo, un progetto di ricerca il cui obiettivo è individuare, classificare e registrare antichi cloni di Aglianico sopravvissuti al cataclisma fillosserico. Un viaggio nel tempo, lungo una strada finora mai solcata, per risalire il corso della storia, alla ricerca delle origini dell’Aglianico. Per prima cosa si seleziona una vigna centenaria, a piede franco, sopravvissuta alla fillossera, situata su terreno sciolto, sabbioso e circondata da boschi di querce e castagni. L’attività di ricerca si sviluppa nel corso degli anni a seguire, prestando la massima attenzione agli aspetti agronomici e fitosanitari. Nulla è lasciato al caso. La selezione è rigorosissima e dei 30 cloni selezionati all’interno del vigneto centenario solo due superano tutti i test, risultando perfettamente sani e dotati di caratteri di particolare pregio: grappolo medio-piccolo, cilindrico, spesso alato, spargolo, acino medio, buccia spessa, fertilità contenuta. In fase di maturazione si raggiunge un elevato grado zuccherino, buon tenore in acidità totale e ottima resistenza alla botrite. Nel 2004 parte l’impianto delle barbatelle in un’area individuata nella collina centrale della tenuta di Mirabella Eclano.
Nel 2007 l’azienda avvia le prime micro-vinificazioni frutto del programma di selezione clonale, riscontrando caratteri di estremo interesse anche dal punto di vista enologico.
A partire dal 2008, prende vita il vino frutto di un Aglianico che arriva dal passato, che trae origine da quelle vigne prefillosseriche.
Un vino di notevole corpo, buona struttura, composizione equilibrata in tannini e polifenoli, elevato tenore in antociani e profumi dominanti di piccoli frutti rossi e neri (in particolare mora, lampone e fragoline di bosco) alla valutazione sensoriale. “Redimore” è il suo nome. È un Irpinia Aglianico DOC.
Tra i due cloni che hanno superato tutte le fasi della sperimentazione, entrambi avviati all’omologazione, uno ha completato l’iter ed è stato inserito nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 20 febbraio 2021 con l’identificazione di clone “VCR421 Antonio Mastroberardino”
Si riporta di seguito il grafico che sintetizza i risultati dell’analisi sensoriale di questo specifico clone rispetto allo standard di Aglianico.