Alla ricerca del vino perduto. Un viaggio nel mondo sfaccettato e mutevole di Bruno De Conciliis
di Maurizio Paolillo
Fotografie originali di Renato Siani
Premessa
Bruno è un uomo alla perenne ricerca della sua dimensione. Esistenziale e produttiva. Un movimento incessante e vorticoso per effetto del quale ha rischiato più volte di deragliare. Ha sempre tenuto la rotta, guidato dall’amore. Per la sua terra, il Cilento, per il suo lavoro; amore per la vigna e per il vino, e rispetto per il destinatario finale, colui che berrà il suo vino.
Classe 1962, proveniente da una famiglia di imprenditori agricoli, si laurea all’Università di Bologna in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (DAMS). Nei primi anni Ottanta ritorna all’agricoltura, collaborando con una cooperativa che pratica la biodinamica. Nel 1989 si affaccia al mondo del vino, frequentando il corso per sommelier AIS (Associazione Italiana Sommelier). Nei primi anni Novanta fonda, con i fratelli Paola e Luigi, l’azienda Viticoltori De Conciliis.
Da allora continua a fare vino, avvalendosi, fino al 2000, dei consigli Saverio Petrilli, poi affrancandosi per seguire solo la sua strada.
Nel 2018 lascia anche la Viticoltori De Conciliis per assecondare pienamente la sua ispirazione.
Abbiamo inseguito Bruno in questo incessante errare nel tentativo di dare forma alla sua continua sperimentazione. Alla ricerca del vino perduto insomma.
Per fare questo abbiamo esplorato insieme i suoi tanti progetti: luoghi diversi, scopi diversi, risultati diversi, ma un’unica anima.
- Qual è il principio ispiratore del tuo modo di fare vino?
La disciplina, il controllo che è necessario per qualsiasi aspetto della produzione.
Nel mio lavoro ho sempre avuto una stella polare: produrre un vino buono, onesto e pulito, che tenga in debito conto colui a cui il vino è destinato. Il vino ha un valore d’uso che nasce dal confronto con il fruitore finale. Non si può ignorare colui che lo berrà, le sue aspettative, i suoi orientamenti.
Vigneti Tardis
Il primo focus è su Vigneti Tardis, un progetto di Bruno De Conciliis e Jack Lewens, sommelier e ristoratore a Londra.
- Vuoi dirci qualcosa di questa iniziativa?
Si tratta di un’attività svolta su vigneti in affitto affacciati sul mare: 1,5 ettari a Casalvelino, 3 ettari ad Acciaroli e 1,8 ad Agnone coltivati a Fiano, Aglianico e Primitivo.
L’intenzione era di produrre 6 vini diversi, uno col nome di ciascun giorno della settimana; vini corretti ma semplici, onesti: vigne condotte in biologico, fermentazioni spontanee, macerazioni brevi, dosi minime di solforosa solo all’imbottigliamento. Insomma vini poco impegnativi, di facile beva. Alla fine, però, la vigna ha preso il sopravvento. L’uva è risultata molto più buona del previsto e il vino più impegnativo, più complesso e potente rispetto alle intenzioni.
I vini
· Lunedì Paestum IGT 2021
- Come inizia la settimana?
Con un Primitivo in purezza. Fermentazione in presenza delle bucce del fiano. Facciamo macerazione, ma con le vinacce di un’altra uva.
L’assaggio – Qui troviamo l’espressione più pura dell’estro di Bruno: all’assaggio è elegante, con bei sentori di spezie, di zenzero. Manca un po’ di lunghezza, ma è molto giovane: ha bisogno di tempo per esprimere il suo carattere.
· Martedì Paestum IGT 2020
- Ci racconti questo vino, Bruno?
È un Aglianico prodotto in maniera estremamente semplice. Non utilizziamo starter. La fermentazione spontanea impiega due o tre giorni a partire e quindi si instaura una breve macerazione prefermentativa che, in assenza di alcol, estrae prevalentemente gli antociani idrosolubili. La macerazione è breve, al massimo sei giorni, per contenere l’estrazione dei tannini. L’obiettivo resta quello di alleggerire l’Aglianico riducendo al minimo gli interventi in cantina.
L’assaggio – Il naso è balsamico; al palato è fresco, beverino, poco tannico, con bei ritorni di frutta, dotato di buona complessità. Perfettamente in linea con le intenzioni.
· Mercoledì Paestum IGT 2021
- Questo è un fiano?
In purezza. Le vigne sono in pianura, a Casalvelino, con viti di 15 anni, allevate a guyot.
- E in cantina?
Il 50% delle uve è vinificato a grappolo intero con una breve macerazione carbonica. La malolattica è completamente svolta. 40-45 g/L di solforosa totale; affinamento in bottiglia per circa 8 mesi.
L’assaggio – Il vino fornisce stimoli cangianti. Il naso è inizialmente introverso, poi si apre, diviene espressivo, rivelando belle note di mandorla tostata. Il sorso è sapido e al tempo stesso grasso, opulento, largo. Sicuramente un fiano non convenzionale.
· Giovedì Paestum IGT 2018
- Ancora un Aglianico?
Sì, proveniente dalle vigne di Acciaroli, a 50 m del mare. Fa macerazione per 40 giorni, fino a completo esaurimento degli zuccheri. Affinamento in barrique.
L’assaggio – L’approccio richiede pazienza: all’inizio è chiuso, poi piano piano rivela belle note ematiche. Al palato è minerale, salino; i tannini sono vivi, presenti ma gentili. Il finale è risvegliato da una nota amara che ne incrementa la complessità. Un Aglianico più convenzionale, ma sicuramente interessante.
Cairano
- Un’altra iniziativa che sembra davvero stimolante è quella legata a Cairano1: l’Ateneo dei Vini Erranti – La Fabrica del Vino. Mi risulta che tu ne sia uno dei principali animatori. Ce ne parli?
Nasce da un’idea del professor Pasquale Persico2 a cui partecipano tanti soggetti diversi, dall’amministrazione comunale di Cairano all’associazione Irpinia 7X. È una sorta di laboratorio creativo permanente che mira a recuperare una tradizione enoica arcaica, ultra millenaria.
Cairano è davvero un luogo speciale, dove ci sono un centinaio di cantine ipogee; grotte naturali di origine vulcanica, dove le temperature sono praticamente costanti per tutto l’anno. La struttura è permeabile all’umidità che penetra attraverso le pareti rocciose, garantendo sempre un equilibrio termoigrometrico ideale. Non c’è elettricità, quindi non ci sono campi elettromagnetici. L’unica forma di energia utilizzata è quella umana. L’idea è che il luogo possa connotare il prodotto finale al di sopra di ogni altro aspetto.
Non è un’iniziativa commerciale ma un’azione di utilità sociale. I vini, prodotti e affinati nelle cantine ipogee cairanesi, non sono destinati al mercato, ma rappresentano le diverse tesi di un grande progetto di ricerca portato avanti con la collaborazione di molti vignaioli campani e meridionali allo scopo di verificare che il luogo possa avere la prevalenza sia sulle vigne che sulla tecnica di cantina. Una strada complicata che, con molta fatica, stiamo ancora percorrendo.
I vini
· Figlio di tutti, figlio di nessuno 2020
- Perché questo nome?
Perché è il vino più strano e improbabile di tutti. È prodotto da una piccola vigna di Trebbiano a valle del paese, in pratica nel greto di un fiume. Uve ottenute da un vitigno neutro privo di caratteristiche peculiari e da un luogo molto umido, incompatibile con la produzione di uve da vino. Alla vendemmia c’era talmente tanta nebbia che abbiamo dovuto attendere le 11,00 perché si diradasse.
- Com’è vinificato?
In maniera rudimentale. Pigiatura con i piedi, diraspatura a mano, macerazione per 10 giorni con poche follature leggere.
L’assaggio – Naso particolare, con note erbacee, di fiori appassiti. Buona sapidità, ma un po’ scarico, calante. Vino interessante, proprio tenendo conto delle condizioni di partenza veramente improbabili. Qui la macerazione ha senso perché dà più di quanto toglie.
· Marranico 2019
- Partiamo anche qui dal nome
Vuole essere una crasi tra Montemarano e Aglianico. È infatti un Aglianico ottenuto dalle uve delle vigne dell’azienda La Cantina di Enza di Montemarano; tutte vigne a raggiera, condizione che, a mio parere, consente all’Aglianico di dare il meglio di sè.
È vinificato in maniera minimale: uve sgranellate a mano e pigiate con i piedi; un mese di macerazione, poche follature, effettuate delicatamente.
L’assaggio – Il naso ricorda l’Aglianico di Taurasi: speziato, balsamico. In bocca si percepisce un’acidità fantastica, frutta fragrante, tannini evoluti. Un’uva di grande qualità, un territorio importante, un vino straordinario da un contesto ambientale che merita scicuramente di essere approfondito.
· John Casavecchias 2019
- Ancora un nome da raccontare.
Ho voluto giocare con l’assonanza tra il nome del vitigno Casavecchia e quello del regista John Cassavetes, in modo da dare spazio anche alla mia passione per il cinema. È Casavecchia in purezza. Le uve provengono da Pontelatone, dall’azienda Alois.
È vinificato in maniera simile al vino precedente: sgranellatura a mano e pigiatura coi piedi; circa 30 giorni di macerazione, affinamento in tonneau per poco 13-14 mesi.
L’assaggio – Fresco, acidità spiccata, frutta croccante, bella beva. Ancora un vino interessante, di spessore e piacevolezza.
Morigerati s.r.l.
- Un’altra operazione che ti coinvolge emotivamente è Morigerati S.r.l. Società Agricola.
È una storia lunga e movimentata, piena di alti e bassi. L’attività è stata avviata appunto nel comune di Morigerati3 su terreni demaniali gravati da usi civici4. Le vigne sono state piantate nel 2011, ma la vicenda è stata da subito segnata da mille vicissitudini. Nel 2015 c’è stata una grandinata che ha distrutto tutto. Le vigne sono state ricostruite con la trasformazione dell’alberello in guyot. Poi c’è stata l’invasione dei cinghiali. Per effetto dei vincoli presenti all’interno del Parco5, non ci è stato possibile realizzare le recinsioni; di conseguenza i cinghiali hanno fatto altre devastazioni. Quindi è stata realizzata una profondissima potatura di ricostruzione; su ogni pianta sono stati lasciati solo due speroni, con l’obiettivo di “congelare”, per così dire, la vigna in attesa di tempi più propizi. In seguito, reperite nuove risorse finanziarie, gli impianti sono stati recuperati alla piena produttività: vigne a guyot e reti antigrandine. La prima vendemmia parziale è stata effettua nel 2020.
- Il luogo è molto complesso, ricco di stimoli e di potenzialità.
La superficie totale è di 4 ettari suddivisi in tre diverse vigne, a un’altitudine compresa tra 7 e 800 metri. I suoli sono tutti caratterizzati da una quota di sabbia rilevante, compresa tra 30 e 40%. I caratteri pedoclimatici, però, sono sensibilmente diversi:
- Vigna Serena, con superficie di circa 1,5 ettari, è aperta verso il mare e risente degli effetti delle brezze marine. Il suolo, originato da scisto6 bianco, è costituito da sabbia al 35% e da argilla al 65%; la reazione è tendenzialmente subacida.
- Vigna Nuova, di 1 ettaro circa, è completamente chiusa dal bosco. Il suolo presenta una frazione argillosa più cospicua; è, inoltre, subalcalino per la presenza abbondante di calcare. L’ambiente più freddo, con temperature notturne più rigide e maggiore escursione, rende più complesso il profilo olfattivo del vino.
- Vigna Nuova Alta è la più piccola, circa 0,8 ettari, ricavata in una radura del bosco, che però non la chiude completamente. La granulometria è tendenzialmente sabbiosa, con calcare abbondante, il che conferisce toni minerali, gessosi particolarmente accentuati.
- E la tecnica colturale?
Pratichiamo la biodinamica sin dall’impianto, somministrando il preparato 5007 regolarmente due volte l’anno. Probabilmente da quest’anno cominceremo a utilizzare anche il preparato 5018. La difesa dalle avversità si effettua ricorrendo esclusivamente a rame e zolfo, con risultati più che soddisfacenti.
- E la vinificazione?
Potremmo definirla convenzionale. L’azienda non dispone ancora di una cantina propria; vinifichiamo presso Viticoltori De Conciliis. Usiamo lieviti selezionati, in prevalenza Saccharomyces bayanus; fermentazione a bassa temperatura, tra 14 e 16°C; affinamento sulle fecce per circa 9 mesi; pochissima solforosa solo all’imbottigliamento. Proprio la permanenza sulle fecce consente di evitare l’uso della solforosa in vinificazione: le fecce assorbono ossigeno e proteggono dall’ossidazione creando un ambiente riducente. Poi facciamo un paio di travasi per separare le fecce grosse e restituire un po’ di ossigeno.
- Come dicevamo, sembri molto coinvolto, convinto di fare qualcosa di importante.
Da qualche tempo a questa parte non mi innamoro più delle mie storie; amo quel che faccio ma non subisco più le infatuazioni. C’è meno coinvolgimento, meno trasporto e quindi meno sofferenza. È l’atteggiamento della maturità.
Questo progetto, malgrado le difficoltà, mi dà molta soddisfazione. Dal 2022 tutte le vigne sono in produzione. Vinificheremo le 3 vigne separatamente e, magari, faremo tre vini diversi. A quel punto, ritengo che potremo avere tutte le risposte.
- In effetti penso che questo, tra i tanti, sia il progetto che meglio ti rappresenta.
I vini
· L’Invitta Fiano Mediterraneo Paestum IGT 2020
L’assaggio – Il naso è molto bello, minerale, evoluto, senza concessioni a sentori banali. In bocca è elegante, lungo, con acidità importante, tanta sapidità, corpo, presenza. Un vino che esprime a pieno le enormi potenzialità del vitigno.
- Possiamo dire che questo vino incarna pienamente la tua concezione del Fiano del Cilento?
Si avvicina molto da presso. In particolare, abbiamo cercato di superare la tendenza all’aromaticità del vitigno, di andare al di là dell’immediatezza e di esaltarne l’anima minerale. Devo dire che con quest’uva è stato facile.
· L’Invitta Fiano Mediterraneo Paestum IGT 2021
- Che differenze rispetto all’annata precedente?
Molto poche. La vendemmia è stata effettuata un po’ più tardi.
L’assaggio – Al naso è inizialmente più chiuso; poi rivela una fantastica mineralità, di pietra calcarea. Al palato, l’impatto è importante, sapido, ricco di corpo e personalità.
La Costiera Amalfitana
- Se non ricordo male, nella tua vita c’è anche un momento di infatuazione per la Costiera Amalfitana?
Un sentimento che è ancora vivo. Ho avviato, per esempio, la produzione nell’azienda Reale di Tramonti. È stato parecchio tempo fa ed è durato solo 3 o 4 anni. Allora mi piaceva l’idea di trasferire ad altri le mie conoscenze e poi lasciarli camminare con le proprie gambe. La morale potrebbe essere: «Che muoiano gli enologi!»
- Ovviamente scherziamo?
Ovviamente…
- E oggi?
In questo momento, ho in piedi un piccolissimo progetto, che mi diverte molto. Una piccola vigna a Raito9, posta al di sopra del paese, con esposizione a sud, molto ventilata e con una bella escursione termica. È poco più di 1 ettaro ad Aglianico, tutta terrazzata. Ho avviato il lavoro da circa sei mesi; al momento sto sistemando la vigna. L’impianto è in produzione già da qualche anno. All’inizio li seguiva il compianto Nicola Trabucco10. Oggi abbiamo tre annate in cantina, prodotte da Nicola che stanno affinando in cemento e sono ancora da imbottigliare.
I proprietari sono persone con cui ho piacere di stare e quindi di lavorare: per me è l’aspetto più importante.
- Qual è il tuo programma a Raito?
L’idea è di fare qualcosa di simile a un solera11, un blend delle tre annate. L’intenzione è di imbottigliare ogni anno, una quantità pari all’ultima produzione e rabboccare con l’ultima vendemmia. Per ora sto realizzando il 2022; vorrei realizzare un vino che sia funzionale al blend che ho in mente, lavorando in sottrazione, per alleggerirlo, renderlo più agile. Ci vorrà almeno un altro anno. Probabilmente faremo anche un rosato.
I Parieti
- In che direzione stai guardando oggi?
Prima o poi mi piacerebbe confrontarmi con altre realtà, andare a fare un vino in un territorio completamente diverso, lontano da qui.
- Mi risulta che tu stia realizzando proposte anche fuori dalla Campania.
Sto seguendo un’iniziativa in Puglia, a Gioia del Colle, nella Murgia barese. Si chiama I Parieti, nasce da un’idea di Matteo Santoiemma, che, dopo aver lavorato per anni come commerciale con Antinori e poi con Feudi di San Gregorio, a un certo punto ha deciso di cambiare tutto. Ha mollato il suo vecchio lavoro e si è buttato in quest’avventura. Per iniziare ha chiesto il mio aiuto.
- I Parieti?
È il nome con cui chiamano i muri a secco in quella parte della Puglia. È un’azienda di 7 ettari in totale di cui circa 4 di vigneto investiti in prevalenza a Primitivo, oltre a Minutolo, Verdeca e Fiano. Ci troviamo su un altopiano carsico, a circa 400 metri di quota. I terreni sono calcarei, ricchi di argilla e di scheletro.
- In quale direzione vi state muovendo?
Stiamo lavorando per lo più sul Primitivo, alla ricerca dell’espressione più autentica del vitigno. Le vigne sono condotte in biologico, col supporto dei preparati biodinamici; interveniamo il meno possibile in cantina: fermentazione spontanea, malolattica completamente svolta, nessuna filtrazione.
- Il Primitivo di Gioia è un vitigno diverso da quello di Manduria?
Non posso affermarlo con certezza. Però posso dire che, nelle tre vendemmie che ho seguito a Gioia del Colle non ho mai trovato la dimensione esasperata, con la potenza, l’eccesso di concentrazione tipici del Primitivo di Manduria. I vini che abbiamo realizzato a Gioia, al contrario, sono sempre caratterizzati dall’eleganza. Il più interessante è un rosato, ottenuto vinificando le uve di Primitivo in bianco: nessun contatto con le bucce e raspi aggiunti in fermentazione.
- Questo uso dei raspi mi sembra la cifra della tua ricerca di oggi.
È un aspetto tecnologico che trovo molto interessante. Al contrario di ciò che comunemente si ritiene, i raspi non cedono tannini verdi. Non come accade con i vinaccioli, per esempio. L’importante, per me, è usarli con moderazione, in piccole quantità. Dalla mia esperienza, posso dire che addirittura asportano un po’ di colore dal mosto e conferiscono note fresche, floreali; infine danno grinta, complessità, profondità. L’importante è che siano integri, non frantumati dalla pigia-diraspatrice; in quel caso, cedono acqua di vegetazione con conseguenze molto negative.
I vini
· Corvello Puglia IGT Primitivo Rosato 2021
- Ci riassumi il procedimento?
È molto semplice: prima diraspiamo e poi facciamo la pigiatura; quindi aggiungiamo una quota dei raspi prima che parta la fermentazione.
L’assaggio – Vino notevole: sentori di agrumi, leggera nota tannica, salinità straordinaria, grande freschezza. Sorso agile, lungo. Vino piacevole ma complesso.
· Ceppi Sparsi Puglia IGT Primitivo 2020
- Le uve hanno la stessa provenienza del vino precedente?
Queste sono vigne più vecchie, di oltre 60 anni, a 500 metri di altitudine su terreni gessosi. Le viti sono allevate ad alberello.
- E in cantina?
È sempre Primitivo in purezza. Fermenta parzialmente in cemento; affina tutto in legno esausto.
L’assaggio – Il naso rispetta le attese: frutta matura, spezie. In bocca è rotondo, grasso, opulento, ma ricco di nerbo, con buona acidità. La lunghezza non è eccezionale. Nel complesso molto varietale, ma stimolante.
Malaspina
- I Parieti è l’unica situazione che segui fuori dalla Campania?
Un’altra esperienza interessante l’ho fatta in Calabria, con l’azienda Malaspina, nei pressi di Reggio. Una volta il mio importatore californiano mi disse che cercava un produttore calabrese. Ho assunto informazioni e ho individuato quest’azienda. Sono andato fin laggiù, mi sono arrampicato a 700 metri di quota e ho trovato una realtà sorprendente: un sito di natura vulcanica, con la terra nera, vicino a una sorgente di acqua sulfurea.
- E le vigne?
Bellissime, ad alberello, con sesto 1 metro per 1 metro: un’uva straordinaria! Ho proposto loro di comprarne 10 quintali e vinificarla presso la loro cantina, su mie indicazioni. Abbiamo lavorato a distanza: lui mi inviava le foto dei grappoli, dei vinaccioli man mano che maturavano, io gli davo indicazioni sulla vendemmia. In pratica abbiamo fatto il vino al telefono. Un rosso a fermentazione spontanea, un vino incredibile a mio parere. Però siamo riusciti a farlo una sola volta. Non abbiamo trovato sbocchi commerciali e alla fine mi sono arreso, ho lasciato perdere.
Vitigni minori
Affrontiamo ora una questione diversa. A Bruno va riconosciuto il merito di aver tracciato la strada su cui si è incamminata da qualche decennio tutta la vitivinicoltura del Cilento: puntare sui due vitigni principali, Fiano e Aglianico. Ha contribuito a definire uno stile che in molti hanno seguito: alleggerire l’Aglianico puntando sulla freschezza e sull’acidità, limitare l’estrazione e ridurre l’impronta tannica; per il Fiano puntare sulla struttura, sulla potenza, superare l’immediatezza che limita l’espressione dei Fiano del Cilento.
- Non pensi che ci sia un rovescio della medaglia? Che in questo modo si sia determinato l’impoverimento del patrimonio ampelografico locale? In poche parole, che concentrandosi su due soli vitigni si sia innescato un processo di eccessiva semplificazione?
Per un territorio vasto, complesso e con profonde differenze come il nostro, quella è per me la strada per definire un’identità. Io sono partito ovviamente dalla situazione che ho trovato: tra le uve che avevamo in azienda, Aglianico e Fiano erano sicuramente le più buone, quelle che mi consentivano di poter lavorare sull’espressione, sulla qualità. Il resto era Barbera, Sangiovese, Malvasia. Quindi non è che ci fossero tante alternative. La questione potrebbe essere anche ribaltata: cosa c’è d’altro?
- Una volta in Cilento c’erano il Mangiaguerra, l’Olivella, la Malvasia Nera. Ne parlano gli autori classici, fino a Luigi Veronelli nel suo fondamentale “I vini d’Italia” 12. Perché non provare con questi?
Facile a dirsi, ma molto difficile a farsi. Dove lo trovi il materiale genetico per realizzare i nuovi impianti. Nei primi anni della De Conciliis abbiamo provato a realizzare vigneti sperimentali prelevando le marze delle uve antiche dai coltivatori locali. Sono venute fuori le cose più incredibili: doveva essere Malvasia e risultava Primitivo di Gioia o Barbera. Ci siamo riuscito solo con l’Aglianicone, di cui abbiamo oggi una vigna in produzione.
- Un’altra questione riguarda la Santa Sofia. È stato chiarito che si tratta di un vitigno autonomo e non un clone del fiano, è stato recentemente iscritto nel registro nazionale delle varietà di vite da vino. Non ritieni che possa avere potenzialità interessanti?
Ha un grande limite: è un aromatico. L’aromaticità rappresenta una gabbia per la vinificazione. L’unica via è puntare sulla concentrazione zuccherina. Ma, in quel caso, c’è bisogno di tanta acidità. Se il clima è freddo questo è possibile, ma qui da noi è molto difficile, il vino sviluppa note amare fastidiosissime. Si potrebbe tentare piantando in zone interne, a quote più alte, dove il clima è più freddo. Ma la viticoltura attuale si sta concentrando sempre di più verso la costa.
- Ci sarebbe anche il Piedirosso?
Secondo la mia esperienza il Piedirosso, per esprimere le sue indubbie qualità, necessita di un substrato ricco di sabbie vulcaniche, com’è, per esempio, quello dei Campi Flegrei. Neanche nell’area del Vesuvio esprime il meglio di sé, pur essendo l’unico vitigno a bacca nera plausibile in quel territorio. Però qui si apre una questione di compatibilità con le attuali norme sulla viticoltura.
- Spiegati meglio.
Secondo un principio logico, i vigneti andrebbero impostati in maniera da assecondare la spinta vegetativa di alcuni vitigni. Sarebbe necessario abbassare le densità d’impianto e, magari, adottare anche forme di allevamento espanse. Quest’esigenza, però, è inconciliabile con le attuali norme sulla viticoltura. In particolare con le disposizioni europee, nazionali e regionali che regolano la riconversione e ristrutturazione dei vigneti13. Disposizioni che, se violate, non consentono di accedere ai benefici previsti dalla normativa comunitaria.
- Quali sarebbero questi limiti imposti?
I sesti d’impianto sono definiti a prescindere, in spregio a qualunque considerazione relativa alle caratteristiche e all’attitudine vegetativa di un vitigno. In Campania ti impongono una densità minima di 3000 ceppi per ettaro. La situazione in altre regioni d’Italia non è diversa.
- Mi risulta che un problema simile si presenti anche per il Fiano.
Il Fiano è un vitigno molto vigoroso. Per rispettare le densità di impianto imposte, il suo sviluppo deve essere continuamente contenuto; il che significa forzarne la natura.
- Dicevamo che c’è anche un problema legato alle forme d’allevamento.
Dalle stesse norme è prescritta l’adozione delle forme a spalliera, escludendo la pergola, la raggiera, le forme espanse, che non si possono più praticare. Siamo alla follia: la pergola è stata bandita in quanto ritenuta contraria ai principi della viticoltura moderna. Invece le forme espanse consentirebbero di una serie di vantaggi che potrebbero contribuire a contrastare gli effetti dell’attuale andamento climatico e conseguire il miglioramento della qualità.
- Vogliamo provare a riassumerne questi vantaggi?
La pergola svolge una efficace funzione ombreggiante e consente, quindi, di ovviare all’eccessiva insolazione dei grappoli che determina spesso il decadimento degli aromi e soprattutto dell’acidità del frutto. Inoltre, i grappoli sarebbero distanziati dalla copertura fogliare e dal suolo, con la conseguenza di una migliore aerazione e maggiore sanità degli acini.
- Direi che siamo alle solite: nei programmi di sviluppo agricolo, oramai da anni, manca proprio l’intelligenza agronomica. Non si considerano adeguatamente le esigenze della pianta e soprattutto l’equilibrio del sistema pianta-terreno-clima che è il concetto chiave.
Tempa di Zoè
Da ultimo, soffermiamoci su quello che resta il progetto principale di Bruno da quando, nel 2018 lascia la Viticoltori De Conciliis: Tempa di Zoè, con vigne tra Agropoli, Torchiara e Aquara e la cantina ad Agropoli.
- Come si colloca Tempa di Zoè all’interno del tuo percorso, della tua storia?
I vini di Tempa sono lineari, onesti. In vigna facciamo biologico e biodinamico dappertutto, in cantina non usiamo additivi. Sono vini destinati soprattutto al mercato locale: devono essere giusti, non estremi. Devono tener conto della domanda.
- Non ti assale il dubbio che l’operazione sia frutto di troppe mediazioni, troppi compromessi?
Non direi. È solo un’altra sfaccettatura della mia personalità. Tempa rappresenta una sorta di mainstream. Il principio imprescindibile è stare sul mercato senza offendere le persone. Per offesa intendo l’aggressività nei confronti del consumatore.
Sono comunque vini di forte personalità. Lo conferma il fatto che alcuni importatori non li hanno comprati perché, secondo loro, sono troppo sopra le righe, poco convenzionali, destinati solo a chi li potesse capire.
- Evidentemente il mercato del mainstream, nonostante tutto, non è ancora pronto a vini che esprimano una forte identità.
Per me è stata rivelatrice l’esperienza del Donnaluna 2011, un Fiano parzialmente macerato. È stato il vino più buono che abbia mai fatto. Alcuni clienti storici me l’hanno mandato indietro e da quel momento non hanno più comprato da noi. Però quei pochi che hanno ancora qualche bottiglia mi continuano a dire che è straordinario.
- Cosa ti insegna questa storia?
Che non posso comportarmi come un artista, una superstar che fa quello che vuole. Non devo mai dimenticare che quando faccio il vino sono al servizio delle persone. Il vino è un alimento: può esprimere una personalità più o meno accentuata ma resta vino. Chi fa il vino è al servizio della vigna, dell’uva, del vino stesso, ma, in ultima analisi, delle persone che devono berlo, del piacere, della convivialità. Non sono aspetti marginali.
Conclusioni
- C’è ancora una domanda da rivolgere a chi ha sempre amato sperimentare, cercato soluzioni diverse: esistono ancora nuove strade da battere che possano esaltare le peculiarità del territorio e raccontarne la storia?
A mio avviso l’impostazione della viticoltura va rivista alla luce dell’attuale assetto del clima, della frequenza delle siccità di questi ultimi anni. Valutando anche le esperienze di molti colleghi, mi sono convinto che le lavorazioni del suolo, vangatura e fresatura, vadano effettuate regolarmente. È necessario favorire la penetrazione delle acque piovane e il loro immagazzinamento. Altrimenti per la pianta è impossibile sostenere la produzione.
- Hai in serbo qualche altra idea sorprendente?
Un’altra ci sarebbe. Sto piantando Cannonau ad Aquara. Sono convinto che le potenzialità del vitigno siano straordinarie, ma non so ancora quanto questa operazione possa effettivamente costituire una nuova linea di sviluppo per il territorio o piuttosto resti una mia ricerca personale sul vitigno.
- Tirando le somme…
L’obiettivo del mio lavoro è sempre di fare un vino di qualità, a un prezzo compatibile col mercato. Restando coi piedi per terra, senza voli pindarici.
Note
1 Cairano è un piccolo comune dell’Alta Irpinia, al confine con la Basilicata. Conta oggi 274 abitanti.
2 Pasquale Persico è stato ordinario di Economia Politica e Scienze della Comunicazione presso l’Università di Salerno di Economia Politica ed Econometria nelle Università Aldo Moro di Bari, Orientale e Parthenope di Napoli, delle Calabrie e Roma La Sapienza.
3 Morigerati è un comune di 610 abitanti della provincia di Salerno, il cui territorio è compreso nel territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
4 Gli usi civici sono diritti perpetui spettanti ai membri di una collettività su beni appartenenti al demanio. Si collegano all’antichissimo istituto della proprietà collettiva sulla terra.
5 Il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, istituito nel 1991, ha superficie di oltre 181.000 ettari interamente compresa nella provincia di Salerno.
6 Lo scisto è una roccia metamorfica originata della trasformazione di argilla sottoposta ad alte pressioni, caratterizzata da una tessitura tendente a sfaldarsi facilmente in lastre sottili. Lo scisto bianco presenta colorazione chiara per la presenza abbondante di talco e calcite.
7 Il 500 o Cornoletame è il preparato base nella pratica biodinamica. Si ottiene a partire dalle deiezioni solide bovine; questo materiale viene introdotto in corni di vacca interrati e lasciati maturare per un inverno. Il Cornoletame può essere definito un bioattivatore delle microflora del suolo.
8 Il 501 o Cornosilice è costituito di polvere di silice (ossido di silicio) tritata finemente. Anche la silice viene posta nei corni, addizionata di acqua pura e poi interrata dalla primavera all’autunno successivo. Il Cornosilice in sospensione acquosa viene somministrata per aspersione soprachioma; esercita un’azione di stimolo sul processo di fotosintesi.
9 Raito è una frazione del Comune di Vietri sul Mare. È collocata su un’altura a circa 250 metri di altitudine e prospetta il Golfo di Salerno e la Costiera Amalfitana.
10 Nicola Trabucco è stato un agronomo ed enologo che ha operato a lungo e con sapienza con diverse cantine campane. Ci ha lasciato nel 2017, a soli 51 anni, dopo lunga malattia.
11 Il metodo Solera y criaderas o semplicemente Solera è il più famoso metodo di maturazione per i vini fortificati. Nasce nell’area di Jerez de la Frontera, in Spagna, ma viene utilizzato anche per altri vini fortificati, come ad esempio il Marsala. Consiste nel disporre le botti a piramide; ogni fila, detta criadera, contiene il vino di una particolare annata; quella di base, la solera, il vino più vecchio, quella apicale il più giovane. Per l’imbottigliamento il vino viene prelevato dalla solera, che viene colmata con il vino della prima criadera, questa con quella della seconda e così via. La solera, di conseguenza, contiene una miscela di un numero imprecisato di annate diverse.
12 Luigi Veronelli, I Vini d’Italia, Canesi Editore, Roma, 1961.
13 Cfr. Regolamento delegato (UE) 2016/1149 della commissione del 15 aprile 2016; Decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali n. 1411 del 3/3/2017; Regione Campania, Decreto Dirigenziale n. 56 dell’11/06/2021
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Vino come il jazz:ritmo e improvvisazione FRANCESCO