Alimata e Ventidue, due cru di Fiano di Avellino 2009
Questa volta dobbiamo parlare di due vini. Per forza. Villa Raiano riesce a dare esempio su una cosa che in Irpinia dovrebbbe essere scontata come in una qualsiasi zona vitivinicola degna di questo nome. Mi riferisco ai cru, ossia ai vini prodotti con l’uva proveniente dallo stesso vigneto.
Ai non addetti ai lavori spieghiamo che produrre uva da un solo vigneto invece di fare assemblamenti di diverse zone è molto più difficile perché deve fare i conti con la variabilità del clima. Solo zone veramente vocate possono avere la forza colturale e culturale di produrre cru.
Finora in Irpinia pochissimi lo hanno fatto, la stragrande maggioranza delle aziende si limita a fare i bianchi anno per anno cercando di venderli tutti per fare cassa. Di guisa che vini da invecchiamento e di grande pregio entrano in competizione con i vinelli d’annata e sono costretti a deprezzarsi. Come se la Ferrari pensasse al mercato delle 500 per capirci.
La potenza dell’Irpinia si esprime attraverso il Fiano, c’è poco da fare. Meravigliosi viaggi olfattivi sono resi possibili grazie a chi ha conservato bottiglie negli anni, e, vi assicuro non è campanilismo, questi bianchi dai cinque anni in poi non temono confronti con alcuna realtà italiana.
Per avere contezza di quanto il suolo incida, si diceva, Villa Raiano pubblica due cru dalla stessa uva, il fiano appunto. Alimata viene da Montefredane, Ventidue da Lapio, precisamente contrada Arianello. Ed è qui che anche un non esperto coglie la differenza: il primo è fresco, sapido, quasi ferroso, di buon corpo, vibrante. Il secondo è più fruttato (mela verde, pera), leggermente più diluito del precedente. Due strade completamente diverse per affrontare lo stesso millesimo e la stessa uva. Difficile prevedere l’evoluzione di Ventidue, Alimata ha begli anni da raccontare.
Nasce così la svolta di Villa Raiano, nuova azienda avveniristica in collina, tra le più belle del Sud, con un nuovo enologo, Fortunato Sebastiano.
San Michele di Serino
Irpinia
Località Cerretto
Via Bosco Satrano 1
www.villaraiano.com
Enologo: Fortunato Sebastiano
Vitigni: aglianico, fiano,greco
Ettari: 17 di proprietà
Prezzo: 13,50 euro
10 Commenti
I commenti sono chiusi.
Finalmente!!! Dico finalmente perchè è una vita che la stampa specializzata, l’AIS e gli enologi più avveduti stanno predicando la “zonazione” per questi vini bianchi strutturati e complessi quali il Greco di tufo, ma soprattutto il Fiano di Avellino che ha un’areale più vasto e quindi delle caratterizzazioni ancora più numerose. Onore al merito di questa azienda e di questo enologo, che per primi, eccetto qualche altro timido tentativo precedente, con coraggio affrontano questa sfida. Chiederei un ulteriore sforzo al bravissimo Sebastiano Fortunato , l’uso dei lieviti selezionati in vigna. Questa scelta lungimirante è ancora più apprezzabile per il fatto che è messa in campo non da una piccola cantina, ma da una realtà proiettata verso grandi numeri e quindi lo sforzo per tale scelta di vinificazione è maggiore. Prendano esempio, soprattutto i piccoli produttori che gravitano su più areali (” ‘sta canzone vene a te”, Ciro Picariello), che già fanno dei prodotti eccellenti, figurarsi in vinificazioni separate!!! Questa è la strada maestra dei vini dell’Irpinia per il futuro…
Permettetemi solo una riflessione. Nella lettura di fiano provenienti da singoli vigneti, dobbiamo stare molto attenti. Non abbiamo i migliori fiano ma quelli di quella vigna, unici e irripetibili ma non i migliori possibili che un’azienda potrebbe produrre. Quindi, i parametri di riferimento cambiano. Non sono più i fiano ma i fiano di quella zona. La lettura di questi vini deve essere molto differente da quella alla quale siamo abituati. Ciro Picariello produce un vino strepitoso, sono anche io affascinato dalla separazione delle vinificazioni di Montefredane e Summonte, ma siamo sicuri che arriverebbe allo stesso risultato del Blend? E se il risultato fosse inferiore noi saremo capaci di dire: “è meno buono ma è strepitoso lo stesso perchè viene da una vigna sola?”
Io credo che tutto quanto di buono si sta facendo debba essere indirizzato, e mi riallaccio anche alla osservazione che fa Luciano poco più in basso, all’esaltazione del cru – del comune – piuttosto che del vitigno.
Ci pensate di qui a 1 o 2 anni (leggi 20!) quando si leggerà sulle bottiglie “Lapio” piuttosto che ” Montefredane” invece che Fiano di Avellino? Non è questo forse quello che accade in Francia con, per esempio, Chablis e simili?
Se poi, vorrai bere un “village” di bevi un Fiano di Avellino, ma se vuoi berti il Fiano di questo o quel comune dovrai andartene a cercare quello che meglio si confà alla tue esigenze…
Non credo che sia così complicato, forse lo siamo noi pur di non darla vinta ai francesi… ;-)
Spero di vederlo prima di morire. Solo quando sarà accaduto l’Irpinia potrà essere definita territorio vitivinicolo.
Al momento è solo zona altamente vocata
Si, capisco la tua preoccupazione, seguendo la “filosofia” della zonazione si va verso il conseguimento di prodotti più “difficili”, magari spesso da intenditori. Ma il blend, successivo alla vinificazione di diversi areali separatamente, potrebbe eventualmente “aggiustare”, volendo, eccessivi squilibri che potrebbero verificarsi. La differenza sta nel fatto che, seguendo il criterio delle microzone o crus, o come le vogliamo chiamare, ci siamo capiti, anzitutto incominciamo a focalizzare (alcune cose già le sappiamo) le caratteristiche di ogni areale, e successivamente le rispettive capacità di “andare a vivere da solo”. Insomma, come tu mi insegni, un pò come si fa in alcune zone della Francia, per alcuni vini. Sicuramente tale concezione porterà, innanzitutto una ventata di freschezza nella stagnazione odierna, e successivamente una crescita qualitativa dei prodotti ed inevitabilmente dei loro produttori. Ribadisco ancora, per quello che conta, il mio plauso per Villa Raiano per questa nuova iniziativa, adottata con grande sensibilità verso le numerose sollecitazioni venute in questi anni dagli addetti ai lavori, tra cui forse anche le tue! ;-))
Lello io ho avuto esempio di quello che dici proprio con un vino che Marina consigliava lo scorso anno: ho provato quest’estate l’Ariddhru 2009, fatto in purezza con sola uva grillo del territorio trapanese, un vino che “ti parla” e che rappresenta la terra a cui appartiene.
Io sono daccordissimo sul discorso Cru, ci mancherebbe altro! La mia era solo una riflessione sulla diversa lettura che bisognerà fare di questi vini. Una disamina ancora più approfondita e specifica. Cioè, quando assaggio un vino da vigna, non potrò più dire, ” è un vino debole o troppo alcolico” in assoluto, bisogna vedere da quale vigna viene e vedere se le caratteristiche ritrovate sono aderenti a quel territorio. Sempre se queste differenze esistono, perchè noi ci giochiamo ma la scienza non ha ancora posto basi solide a quello che andiamo predicando in giro. Dovremmo imparare a considerare un vino strepitoso, anche se ha qualcosa in meno dei blend ma che è la fotografia più nitida possibile di quella zona. Non so se sono stato chiaro!
Chiarissimo! Ed il bello è proprio questo. Non so se ti è mai capitato di fare questa considerazione : però, quella ragazza non è bellissima, ma mi ” attizza ” molto ! Ecco, facendo una trasposizione in un campo diverso, più o meno lo stesso concetto…
Discorso chiarissimo Lello. Il blend aiuta e tutti lo preferiscono. Ma le eccellenze assolute, se il territorio c’è, nascono proprio dai cru altrimenti quei figli di puttana dei francesi non lo avrebbero inventato come concetto per distinguere vigne di assoluta eccellenza da vini di cantina, magari anch’essi buonissimi.
Dunque, detto fra noi, può darsi che Montefredane possa ambire a fare cru e Lapio no.
Bisogna sperimentare.
Ecco perché questo discorso Villa Raiano mi è piaciuto.
Il Greco di cui non ho parlato poi è da sballo
Speriamo che i “Francesi non s’incazzino” (Paolo Conte)