Al via il progetto R.O.M.A. degli osti imprenditori romani per la Fase 2
di Virginia Di Falco
Essere ancora legati, imbrigliati, attenti ai numeri e alle statistiche del Covid19 che vengono macinati ogni giorno su tutto il pianeta Terra non impedisce a ciascuno di noi, ormai già da un paio di settimane, di cercare un punto di riferimento, un appiglio, una luce che possa darci un’idea concreta della cosiddetta Fase 2. Della quale è chiaro ben poco, se non che il rassicurante slogan «tutto tornerà come prima» ha perso di significato e intensità.
E se c’è un settore produttivo che da subito ha espresso perplessità e paure sulla fase successiva al lockdown, questo è senza dubbio quello della ristorazione.
Dalla televisione ai quotidiani, ma soprattutto sui social, siamo sommersi da lettere, dichiarazioni, post, persino qualche accenno a ricette sul dopo. Con le paure, i dubbi, e – per molti – le drammatiche certezze che già “il durante” abbia i lineamenti di una catastrofe.
Bando alle sole lamentele, molti – in qualche città e provincia moltissimi – si sono dati da fare, riconvertendo in qualche modo la propria attività, o semplicemente adattandola, alle consegne a domicilio.
Anche a Roma, all’inizio con qualche incertezza, in certi casi con degli stop-and-go, ma poi, via via, molti hanno scelto di fare delivery, con piglio sempre più deciso e organizzato. Dalla rosticceria alle pizzerie, dalla trattoria agli stellati, senza distinzione. Tanto che, per fare un esempio, un portale web autogestito, #deliveryroma.it, senza scopo di lucro, con l’obiettivo di mettere in rete gli operatori del food & beverage romani che offrono servizi a domicilio ha raccolto quasi 500 adesioni in pochi giorni e migliaia di contatti. Segno questo che il bisogno di fare rete, di agire con le modalità di una comunità per affrontare una crisi senza precedenti è un’esigenza di molti.
Mai come adesso, è chiaro che da soli non si va da nessuna parte.
L’iniziativa della quale parliamo qui, partita ben più di un mese fa, da un confronto tra osti imprenditori romani, si chiama R.O.M.A, acronimo che sta per Ristoratori Ostinati Maestri e Artigiani.
I primi ad incontrarsi, con l’obiettivo di condividere visione e possibili sviluppi, sono stati Arcangelo Dandini, Nicoletta Baiani, Pasquale Livieri, Fabio Antoccia e Maria Antonietta Lucchesi, ognuno con la propria pluridecennale esperienza di oste, di chef, di selezionatore di prodotti, di esperto di comunicazione. Ma molti, moltissimi, sono stati contattati e la rete si sta allargando velocemente.
Sin dall’inizio il motore è stato la consapevolezza collettiva che il dopo – quando e quale che fosse – richiede una reinvenzione dei modelli ristorativi esistenti, con una vera e propria nuova visione complessiva. Bene il delivery, senza dubbio, ma di certo non potrà essere per sempre la soluzione tampone, tantomeno il clone del proprio ristorante. E non solo perché in molti casi il piatto non può essere replicato a casa del cliente, ma soprattutto perché tutto ciò che quel piatto rappresenta, e dunque la sua descrizione, il suo racconto, l’atmosfera e il calore del servizio, la presentazione, non possono essere messo dentro il pacco del rider che dovrà fare la consegna.
Una visione del dopo, dunque, da oste ma, allo stesso tempo, da imprenditore, provando sin da subito a disegnare il futuro, cercando di non subirlo, in una fase così difficile e complessa.
Partendo dagli stimoli della riflessione che Ferran Adrià faceva qualche settimana fa, l’obiettivo degli “Osti Volenterosi” (come vogliono definirsi) di R.O.M.A è passare dalla creatività del piatto alla creatività imprenditoriale. «È il momento della pianificazione, dell’imprenditorialità responsabile e consapevole ma – sostengono gli ideatori di R.O.M.A. – è anche il momento dell’ideazione e della creatività di ciascuno nel battere nuove strade, ripensare il mercato e l’offerta, finanche le proprie ricette allo scopo di realizzare alternative ad alcuni dei piatti dei propri menu, alle ricette che sinora si basavano sulla vicinanza e sui pochi secondi per portarli al cliente, sulla fragilità delle composizioni e sull’equilibrio magico: un piatto impiegherà nel migliore dei casi 15 minuti per giungere al cliente, non pochi secondi. Non verrà illustrato e portato da noi, dai nostri valenti collaboratori: non si giocherà “in casa”. Non avremo riscontri diretti, sorrisi e commenti che tanto costituiscono del nostro lavoro e ripagano gli sforzi che ciascuno di noi pone in quello che fa».
Una impostazione imprenditoriale, con una nuova visione, impone dunque di guardare alla soluzione del delivery non come ad un fine, ma come a uno dei mezzi possibili. Servono, per percorrere questa nuova strada: collaborazione e competizione leali, customer care e offerta di cucina ad hoc, innovazione di prodotto.
E, in questo quadro più generale, implementare soluzioni originali di distanziamento per il ritorno in sicurezza dei clienti nei locali, e – allo stesso tempo – un servizio a distanza che contempli, ad esempio:
- Take Away della ristorazione di prossimità: vicina al quartiere, prevedendo lo sforzo di venire a prendere le buone cose pensate e realizzate per loro; riprendere il contatto, anche se a debita distanza;
- “Kit” della ristorazione di qualità, con procedimenti semplici e descrizioni. Si diventa un po’ chef, per chi desidera sentirsi parte della preparazione, della soddisfazione del piatto ben riuscito, ben composto e gustoso. Divertendosi.
- Linea espressa: attentamente pensata e prodotta, spesso attraverso soluzioni inedite e originali;
- Linea del freddo: da far rinvenire, anche in ufficio e anche attraverso piatti immaginati e realizzati ad hoc.
Azioni concrete all’interno di una visione condivisa, dentro e fuori le attività di ristorazione. Può essere l’occasione, per la città di Roma, di essere la prima a mettersi in rete, a rimboccarsi le maniche, diventando un modello replicabile in altre città.
Noi da parte nostra, restiamo sintonizzati su R.O.M.A., per aggiornarvi sui prossimi passi.
Un commento
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Ottima iniziativa. Grazie