A scuola di pizza con Salvatore Salvo
di Giulia Gavagnin
Se parli con Salvatore Salvo, sulla pizza impari tante cose; se da Salvatore Salvo ci vai a scuola, anche solo per un’ora giocosa, ne impari ancora di più.
Sapevamo, ad esempio, dell’importanza dell’acqua, del resto anche i bambini hanno sentito che a Napoli il caffè e la pizza vengono meglio che ad Abbiategrasso per via dell’acqua, in ispecie provenienti da sorgenti irpine, ma oggi dette sorgenti sarebbero oltremodo affaticate a servir tutti gli impasti in circolazione, e forse oltre all’acqua c’è di più.
Certo, c’è la farina, in principio è il grano tenero, poi si diffondono le farine di forza, ad esempio la Manitoba, che permette di rendere l’impasto vieppiù elastico e resistente alle alte temperature, e alla fine i favolosi fratelli Salvo hanno creato un loro blend, un po’ come i musicisti si fanno apprestare strumenti custom.
Fin qui, i terreni sono conosciuti.
Poi, succede che Salvatore ti parla dell’importanza assoluta del forno e del fornaio, che è un artigiano a se, che deve avere la sensibilità di introdurre, roteare con la pala, calcolare il tempo esatto di permanenza dell’impasto, tra i cinquanta e i sessanta secondi nella cupola che viaggia tra i cinquecento e i seicento gradi.
Poi, succede che Salvatore nella sede di Riviera di Chiaia ti dice di farlo tu quell’impasto, settecento grammi di farina (nella fattispecie: “Nuvola” di Molino Caputo per grandi alveolature), mezzo litro d’acqua (non santificata, ci risulta), un pizzicone di sale, un pizzichino di lievito di birra (si, non lievito madre), acqua aggiunta un poco alla volta e la farina pure, si forma una palla cui devi dare uno strano pizzicotto per reimpastarla ed evitare di formare grumi, ispessimenti, callosità a un impasto che deve essere elastico e carezzevole.
“La pizza napoletana non deve essere croccante” dice a bruciapelo Salvatore. “La pizza napoletana deve essere fondente”, come un cioccolatino. Lì comprendiamo di essere stati ciuchi, somarelli, perché pensavamo che almeno il cornicione dovesse essere croccante. Nein, niet.
Perché, peraltro, la pizza dei Salvo non è né la popolare a ruota ‘e carretto con i bordi che eccedono il piatto né la famosa pizza a canotto, bensì appartiene più propriamente al terzum genus della pizza ad alta idratazione, anche se i fratelli non amano le categorie, le definizioni.
Certamente, ciò che stupisce nel loro lavoro è l’assoluta conoscenza e padronanza della merceologia degli ingredienti, delle reazioni chimiche, e la capacità fuori dal comune di scegliere olii, formaggi e qualità diverse di pomodoro per ogni pizza. Nella tecnica, evidentemente gli studi da ingegnere di Francesco si sono fatti sentire, ma il “faro”, il punto di riferimento dei fratelli è sempre stato l’insegnamento del padre, venuto a mancare prematuramente, spingendo Francesco a lasciare il posto di lavoro da laureato per continuare l’attività di famiglia (la storia dei Salvo la racconta bene Luciano Pignataro nel suo volume “La Pizza. Una storia contemporanea”).
Dopo l’esibizione dei discenti nell’infornare le margherite, è andata in scena la degustazione di pizze, ognuna con un abbinamento a bicchiere, dove abbiamo pregiato la conoscenza e la curiosità di Salvatore nella scelta dei vini, quasi tutti campani.
L’assoluto punto di forza nella loro arte bianca, si diceva, è la scelta di ingredienti diversi della stessa specie per ogni tipologia, che rende le pizze classiche a loro modo “gourmet” per la varietà inedita dei sapori.
Ad esempio, la cosacca presenta il pomodoro corbarino e il pecorino bagnolese.
La Montanara, il pomodoro caramella.
La “Margherita Flegrea”, il pomodoro Cannellino Flegreo e l’olio di Madonna dell’Olivo, mentre la “Margherita Caramella” il medesimo pomodoro della Montanara, così abbiamo due versioni dello stesso classico.
Pomodoro caramella anche per lo Scarpariello, che aggiunge Tuma siciliana e pecorino grattugiato, e pomodoro marinato agli agrumi e zenzero per la Marinara 4.0 che presenta anche una deliziosa maionese di alici.
Dunque, almeno sei tipi diversi di pomodoro e dieci di olio d’oliva, ognuno per colorare le pizze con diverse sfumature.
Non sono mancate le bianche, fiore di zucca e zucchine alla scapece e la “Oshirase” con filetto di manzo marinato alla soia e ripassato al cannello.
Questi sono i Salvo, autori contemporanei di pizza napoletana.
RIVIERA DI CHIAIA 271
NAPOLI
LARGO ARSO 10
SAN GIORGIO A CREMANO (NA)