A Natale non solo Zampone e Cotechino: provate la Sassolina di Sassuolo!
di Laura Franchini
L’atmosfera natalizia è palpabile, sono sempre più vicine le festività e le relative incombenze, a partire dall’organizzazione culinaria di pranzi e cene augurali. Ci ritroviamo così presi dall’ansiosa ricerca di strenne e regali, dalla pianificazione di menù e inviti, in un crescendo di aspettative.
Tra le tante tradizioni legate alle feste, zamponi e cotechini non possono mancare sulle tavole delle famiglie, accompagnati dalle benaugurali lenticchie, che non si sa mai.
Entrambi originari del modenese, ma ormai diffusissimi in tutta la Penisola e non solo, hanno però alcuni prodotti “fratelli”, simili, meno conosciuti ma altrettanto tipici e gustosi, come la Bondiola del ferrarese, prodotta con lo stesso impasto del cotechino, conciato però diversamente e insaccato nella vescica di pecora o il Cappello da Prete, che non va confuso con l’omonimo taglio di carne bovina. Questo è prodotto con la cotenna del suino tagliata a tricorno, a ricordare, appunto, la forma dei cappelli indossati un tempo dai sacerdoti, mentre il ripieno è quello dello zampone, ma con una concia più delicata.
Accanto a questi insaccati della tradizione natalizia, troviamo anche un prodotto poco conosciuto ma altrettanto tipico e soprattutto gustosissimo, nato in quel di Sassuolo: il Sassolino, altresì chiamato al femminile, la Sassolina, o Sassola, per non confonderlo con l’omonimo liquore a base di anice, sassolese anch’esso.
Prima del fortunato avvento della ceramica, Sassuolo vantava infatti una tradizione salumiera radicata: si ha memoria che già nel 1800 esistessero diverse realtà in paese, come i salumifici Bellentani e Sighicelli e il Salumificio Agnani. Quest’ultimo, la cui produzione era sita in pieno centro storico, già allora esportava mortadella in Svizzera, Germania e anche nel Regno Unito, tramite la famiglia Florio di Sicilia. Tale esercizio venne poi rilevato da imprenditori locali, ma pochi anni dopo chiuse la produzione.
Alcuni dei migliori operai del salumificio Agnani decisero di continuare in proprio l’attività, avviando alcuni piccoli laboratori dove, negli anni Cinquanta, nacque l’idea di creare un insaccato nuovo, partendo dall’impasto dello zampone, ma cercando un gusto più delicato. Si fecero così alcune prove, creando piccoli cilindri di impasto foderati di cotenna. Il prodotto “sperimentale” veniva poi cotto e portato in assaggio ad amici e parenti, per raccogliere opinioni e suggerimenti. La ricetta originale prevedeva che l’impasto fosse prodotto con la gola, la pancetta, il guanciale e la parte nervosa della spalla del suino, a cui venivano aggiunte spezie e sale. Allora si coprivano le due estremità con la pelle di sugna, quella pellicina che tiene unita la parte grassa del maiale e che copre il rene. Più avanti verrà sostituita da cellophane alimentare. Per avvolgerla si utilizzava la cotenna di lardello o di pancetta cucita a mano (fino al 1970, successivamente a macchina) e infine si legava con uno spago.
Poiché non esiste un disciplinare preciso e le ricette tramandate negli anni sono spesso ammantante da un velo di omertà e confusione, definire con precisione millimentrica la ricetta appare arduo, anche perché i piccoli laboratori di allora hanno, sfortunatamente, chiuso i battenti.
Si trovano però rari baluardi di produzione di questo squisito insaccato, come il salumificio Franceschini Gino di Spilamberto (Mo), che serve anche diverse botteghe specializzate anche al di fuori del territorio regionale, nonché alcuni punti vendita della GDO di alto livello.
Franceschini lo commercializza con il nome di “Guancialino” (nome che veniva già utilizzato in passato da alcuni artigiani) e lo produce utilizzando l’impasto dello zampone, a cui va aggiunta parte della cotenna della gola. Ha una concia più decisa, essendo destinato ad una cottura ben più lunga di quella dello zampone. Viene insaccato esclusivamente nella cotenna della gola e chiuso “a caramella”, il che lo rende, assieme alla tipologia del ripieno, particolarmente morbido. Per questa ragione è commercializzato esclusivamente fresco, non sopporterebbe infatti un confezionamento preceduto da una precottura, data la decisa quantità di grasso.
Essendo appunto un prodotto fresco, necessità di una lunga cottura, dalle 6 alle 10 ore, secondo il peso. Tradizionalmente servito con puré di patate, lenticchie e fagioli in umido, si presta anche ad essere accompagnato da mostarde, marmellate, purea di zucca, salsa verde.
Il tutto innaffiato dall’immancabile Lambrusco.
Via dei Marmorari, 38, 41057 Spilamberto (MO)Tel.
Tel. 059 784037
Aperto dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 17
Chiuso sabato e domenica
https://franceschinigino.it