‘A menesta mmaretata nella tradizione pasquale di Marcianise
di Antonella D’Avanzo
Per cogliere l’essenza della tradizione pasquale marcianisana, realmente semplice, di memoria rurale, senza ridondanze, recuperiamo i racconti su un animale che fino a qualche anno fa era sempre presente nei cortili delle famiglie contadine di Marcianise, le cui carni rappresentavano una scorta alimentare insostituibile, presenti sulle tavole nei giorni di festa: il maiale; apprezziamo i sapori di una tradizione antichissima legata alla lavorazione ed alla conservazione delle sue carni in varie forme. Ed è proprio la tradizione a raccontarci che i maiali erano allevati dalle famiglie contadine in porcilaie familiari presenti nelle corti, dove erano alimentati con prodotti naturali e con tutti i residui della cucina familiare, riciclando l’organico e trasformandolo in grassi e proteine pregiate. Il maiale, che solo raramente superava un anno di vita, “o’ puorc camp n’ann” si diceva, veniva macellato nel cortile di casa nei mesi più freddi dell’anno, con vecchi metodi totalmente artigianali: un coltello affilato affidato nelle mani di una persona esperta, ’o accira puorc, che con cruente sapienza, uccideva l’animale e procedeva alla macellazione delle carni.
Del maiale non si butta nulla, suonava un vecchio detto che dava chiaro un messaggio sull’utilizzo di tutte le parti di questo animale, dal sangue alle interiora; e proprio il sangue ancora caldo dal taglio della carotide, veniva raccolto in una pentola di rame, rimescolato con una mano nuda per non farlo coagulare e conservato in bottiglie per farne, da lì a poco, il sanguinaccio, una crema al cioccolato dal sapore unico, che resta nei ricordi dei meno giovani in quanto non più prodotto perché vietato da norme sanitarie. La macellazione era un momento di aiuto reciproco fra parenti e vicini di casa. Appena completato il depezzamento del maiale, si offrivano delle cene o dei pranzi come segno di gratitudine verso le persone che avevano collaborato. Il maiale rappresentava una larga fonte di sostentamento per un anno intero e la conservazione delle carni avveniva in vari modi: salata, conciata, essiccata, affumicata, insaccata, sott’olio, sotto sugna.
Ci soffermiamo su alcuni prodotti tipici del territorio, dove resta la tradizione della lavorazione, preparazione e conservazione della carne suina, come la “nnoglia” (o doglia di maiale), un salume tipico che si ottiene dai sottoprodotti della lavorazione del maiale, dove si utilizzano parti grosse e spesse dello stomaco e dell’intestino sottoposti a concia con sale, peperoncino piccante e semi di finocchio selvatico, pressatura, affumicatura e stagionatura. Altro prodotto tipico è la sugna, ottenuto dalla lavorazione del grasso del suino dove è d’uso conservarla nella vescica del maiale. Non si possono tralasciare i cicoli, panetti solidi residuali, ottenuti dalla spremitura della sugna, la salsiccia di carne suina prodotta sia dalle macellerie che in casa a punta di coltello e la salsiccia di polmone ottenuta dai secondi e terzi tagli del maiale: polmone, milza, cuore, fegato, rognone, con aggiunta di cotiche scaldate, conciate con sale, peperoncino, finocchio selvatico.
È attraverso i ricordi ed i racconti di Cecchinella, una donna marcianisana verace, che lavorava la canapa quando questa coltivazione era dominante nell’agro, con le antiche tradizioni nel sangue e con un piacevole humor ai livelli professionali, che riusciamo a riportare un piatto povero della tradizione: a’ menesta mmaretata che un tempo si preparava il lunedì dell’Angelo, ma oggi è presente a tavola il giorno di Pasqua.
Gli ingredienti del maiale vanno tutti posti sotto sale per 40 giorni.
Foto di Antonella D’Avanzo
- Tempo di preparazione 40 minuti
- Tempo di cottura 1 ora
Ingredienti per 6 persone
- Salsiccia di polmone
- Nnoglia di maiale
- Costine di maiale
- Lingua di maiale
- Orecchio di maiale
- Cotiche di maiale
- Un pezzo di pancetta di maiale
- Muso di maiale
- Aglio
- Minestra (spuntarelle locali)
- Cicoria
- 2 uova
- formaggio pecorino grattugiato
- pepe
Preparazione
Prendere gli ingredienti sotto sale, lavarli e versarli in una pentola, ricoperti di acqua, e portare ad ebollizione schiumando con una schiumarola.
A fine bollitura eliminare il brodo di cottura, le parti del maiale risulteranno meno grasse.
Versare altra acqua sulla carne, aggiungere l’aglio intero, le verdure precedentemente lavate e mondate, e far cuocere.
Negli ultimi 5 minuti di cottura si aggiungono 2 uova sbattute, il pecorino grattugiato, il pepe e si serve ben caldo.
11 Commenti
I commenti sono chiusi.
Grazie a te, Antonella, avrò modo di catalogare l’ennesima versione di Minestra Maritata in Campania…questa con le uova mi mancava!!!;-))
mi spiace dirlo ma la minestra maritata non è questa descritta .preciso si chiama cosi perchè la minestra sposa tutti i tipi di carne ,pollo ,maiale ,vaccino ,e cosi via –
rispondo al mio omonimo: essendo la minestra maritata un piatto povero, credo che la versione di Antonella sia quella più vicina all’originale mentre l’utilizzo di carni diverse dal maiale è sicuramente una rivisitazione patrizia.
Interessante l’utilizzo delle uova, che non conoscevo. Brava Antonella.
Bruno Macrì, grazie!
il merito della ricetta è della signora Francesca detta ‘Cecchinella’, donna verace di Marcianise, che gentilmente ha prestato la sua collaborazione per la realizzazione di questo articolo.
Comunque questa versione di minestra maritata bisogna provarla: è amore al primo boccone!
Ricetta interessante ma passarla come tradizione pasquale di Marcianise non ne capisco il signioficato !
Nella salsiccia di polmone non va assolutamente messo il fegato, le massaie del tempo la salsiccia di polmone la stagionavano e il fegato e’ un organo un po’ delicato.
Spero che nel prossimo libro quest’errore si riesca ad eliminarlo.
Da noi signor bruno si marita con l’uovo e non con altri tipi di carne, paese che vai tradizioni che trovi, questo e’ un gran piatto dove la nnoglia (e non la doglia che non esiste) rende questo piatto unico e insostituibile a Pasqua…..
Amo senza vergogna la minestra maritata con la nnoglia col pezzente con le torzelle,ed anche questa della Signora Antonella merita .Ho solo una curiosità:da piccolo ricordo questa salsiccia brutta secca e nera che si metteva nella minestra,ne ricordo il profumo e l’aroma,e se non c’era la minestra non aveva sapore.Cotta la minestra mia mamma diceva che quella salsiccia o salame non era più mangiabile perchè aveva scaricato tutto il sapore.Era nnoglia e ci dicevano la bugia per mangiarsela solo loro?
La minestra ammaretata e’ di una bontà unica ed e’ un piatto tradizionale di Marcianise grazie alla nnoglia, che e’ un insaccato come descritto nell’artico ma sicuramente non affumicato.Anche io non riesco a dare un senso al termine doglia di maiale che nel vocabolario italiano significa dolore,quindi nessun senso logico con l’ingrediente in questione.
Anche da marcianisana ho vissuto la tradizione della trasformazione del maiale, il fegato di maiale non andava messo nella salsiccia di polmone, perchè anche essa subiva un po’ di stagionatura, ma fritto con la “rezza” la sera stessa che veniva macellato in casa.
Vi ringrazio per il vostro contributo e, senza voler polemizzare con nessuno nel dubbio di aver riportato qualcosa di errato ho scritto sul motore di ricerca di google il termine “doglia di maiale”.
Google mi porta a diversi siti, primo fra tutti quello della Regione Campania, dove viene riportato: “la nnoglia o doglia di maiale è un salume tipico del territorio…”
Circa l’utilizzo del fegato di maiale insieme ad altre interiora nella salsiccia di polmone una ulteriore ricerca mi conferma la delicatezza del fegato di maiale. Tuttavia sempre nel sito della Regione Campania, ma anche in altri siti, alla voce salsiccia di polmone si legge: i secondi ed i terzi tagli del maiale, residui della manifattura degli altri salumi, vengono utilizzati nelle zone di Avellino, Caserta, Benevento, Salerno, per la produzione di salsiccia di polmone detta anche “pzzentu”, pezzente proprio per la sua vocazione povera. Oltre al polmone, da cui prende il nome, per confezionarla si utilizzano anche altre interiora, milza, sanguicci, fegato, rognone, cuore, con aggiunta di cotiche lavate, pulite e scaldate in acqua.
Paese che vai ricetta che trovi…anzi, “famiglia che vai ricetta che trovi” ciascuna famiglia segue le proprie tradizioni nella preparazione di piatti tipici e, questo è il bello di questo blog: la possibilità di scoprire le diversità di ricette nella preparazione di uno stesso piatto della tradizione in una stessa città.
Buona Pasqua a tutti e buon pranzo di Pasqua…
Nessuna polemica Sig.ina D’avanzo , confrontarsi e’ sempre una cosa utile.
Alcune precisazione su prodotti e usanze che a noi marcianisani stanno molto a cuore, nascono da una ricerca fatta in varie famiglie dove sono rimaste queste antiche usanze. Confrontandole fra di loro abbiamo riscontrato una linearità in tutte queste usanze e tradizioni, sto parlando di persone che ancora oggi fanno pagnotte con farina di “raurignoli” mais, o l’antichissimo “migliaccio o chingh”.Sono persone semplici che si nutrono di tradizioni e lo testimoniano con grande gioia e amore.
Non so chi abbia dato il termine doglia di maiale, sapevo invece del termine perché anche io avevo ricercato sui motori di ricerca, il sito dalle regione campania lo attribuisce alla ‘’nnoglia di Bagnoli Irpino che e’ simile alla nostra. E’ un insaccato chiuso con budella tipo salsiccia con ventre e altre parti di intestino ,mentre quella marcianisana e’ un insaccato di tipo aperto , molto più logico e capite bene il perché, per far stemperare quell’odore forte e deciso.
La ‘nnoglia Marcianisana, rispetto a quella di Bagnoli irpino non viene messa a pressatura e affumicatura in quanto insaccato tipo aperto.
a questo punto mi sorge un dubbio ma stiamo parlando dello stesso prodotto???
io intendo questo :
http://www.isaporidelmediterraneo.it/p/blog-page_24.html
la cosa che dispiace di più che non e’ inserito tra i prodotti tradizionali della regione campania, questo merito di chi negli anni passati se ne’ fregato del nostro territorio.
Buona Pasqua e buona menestra ammaretata che non puo’ assolutamente mancare !!!!!!
Da marcianisano, appassionato della tradizione e delle tipologie gastronomiche del nostro territorio, non soltanto come fatto di cultura, ma sopratutto nella preparazione culinaria, che eseguo spesso e volentieri, entro nel merito della salsiccia di polmone, proprio a specificare e sottolineare quanto già espresso da “I sapori del mediterraneo” circa l’inesistenza del “fegato” in tale insaccato. L’esperienza dei nostri padri è quanto c’insegna a seguitare la strada da loro intrapresa nel corso dei tempi. Tale esperienza scaturisce anche da prove fatte e ripetute anche nella chimica o biologia naturale del prodotto animale (di qualsiasi tipo) che ha fatto giungere allo stato finale un manufatto consolidato come quello che tuttora consumiamo. Nello specifico, il fegato può essere consumato solo fresco e senza essere accostato ad altri alimenti destinati alla conservazione perchè tende naturalmente a diventare amaro, quindi inquinerebbe gli altri elementi gastronomici che dovrebbero accompagnarlo. Provare per credere. Tanto per amore ed arricchimento della conoscenza che non deve mai esulare dalla reciprocità. Buona Pasqua a tutti!