Salerno, 13 Salumeria e Cucina con i piatti che solleticano palato e memoria | Chef Enrico Ruggiero
13 Salumeria e Cucina a Salerno
Corso Giuseppe Garibaldi, 214
Telefono:089 995 1350
13salumeriaecucina
Aggiornamento luglio 2019
Aggiornamento marzo 2019
Cambio della guardia nel bellissimo bistrot al centro di Salerno. Enrico Ruggiero, 29 anni, ha preso il posto di Gianni Mellone. Nonostante la sua giovane età, il cuoco ha alle spalle otto anni di San Pietro di Positano, esperienze in Inghilterra, Francia. Una gavetta lunga, cominciata proprio a Casa del Nonno 12 con Raffaele Vitale e proseguita al Nord, tra gli altri, con Terry Giacomello a Inkiostro d Parma.
Il mestiere si vede subito dalla voglia di non strafare, ma di rassicurare i clienti: cambia la mano ma patti intramontabili come lo scarpariello e la genovese restano come dolmen immbili e a disposizione degli appassionati. Così anche la scelta delle carni e la proposta complessiva, giocata. Le idee sono molto chiare: se non sei in una grande città, e soprattutto se sei al Sud, bisogna usare le tecniche apprese in giro e applicarle alla tradizione. Risultato, piatti di sostanza, bene eseguiti (in particolare le fritture e il risotto cotto in stile nordico e non spappolato come lo mangiamo qui al Sud), bene la concentrazione delle salse (ad esempio quella di papaccella). Sempre ampia la carta dei vini. Insomma, un porto sicuro per chi cerca sostanza e semplicità che confermiamo tra i nostri preferiti.
Questa è la scheda con il precedente chef del 2018
Nulla ci rende più contenti di avere la conferma che locali che puntano tutto sulla professionalità e la ricerca della materia prima vanno avanti con successo. E’ il caso di 13 Salumeria e Cucina a Salerno, ristorante dalla formula bistrot ormai consolidato, e da quasi un paio d’anni nelle mani esperte di Gianni Mellone. Il merito dello chef è stato senza dubbio quello di mettere a frutto l’esperienza e la tecnica maturate in diverse cucine stellate in giro per l’Italia, utilizzando al meglio la passione dei proprietari di rifornire “la bottega” con i migliori prodotti regionali a disposizione, a partire da una selezione di carni davvero sopra la media per varietà e qualità.
Poi, sia chiaro, Mellone ci mette del suo, dall’interpretare in maniera filologica classici della cucina napoletana come il baccalà fritto, la parmigiana di melanzane (che ama servire ‘in polpette’) oppure una maestosa Genovese, fino alle riletture moderne ed originali delle ricette più antiche.
Ecco allora una gradevole zuppetta di lenticchie con polpo e puntarelle, dove il sapore vellutato del legume è bilanciato dalla croccantezza del polpo e delle puntarelle in insalata; oppure l’idea indovinata di tradurre ‘pane, burro e alici’ in un primo piatto sfizioso ma ricco, con gnocchi di pane serviti in una salsa al burro, alici del Cantabrico, polvere di olive e scarola riccia a crudo.
Insomma, si solleticano con garbo e mestiere tanto il palato che la memoria, e si esce contenti e soddisfatti, anche perchè il servizio è sempre una garanzia, la ricca e aggiornata cantina è presentata con competenza e sorrisi e insieme ad una sala dai colori chiari e naturali tutto contribuisce a mettere a proprio agio l’ospite.
Infine, un conto in equilibrio tra prezzo e qualità invita a tornare.
Qui di seguito la nostra scheda dell’aprile 2017:
13 Salumeria e cucina. C’è musica rinnovata dopo la rottura tra la famiglia Angrisani e Raffaele Vitale di un paio di anni fa. C’era stato un periodo di appannamento ma adesso in pista c’è una coppia di ferro: in cucina Gianni Mellone (ex Cappuccini, a bottega a lungo da Norbert Niederkofler) e in sala Salvatore Maresca (ex Veritas). Entrambi con la stessa fissazione di Antonio Angrisani: no ai cibi imbustati, si al rapporto diretto con fornitori di qualità, no ai vini griffati che fanno anni ’90, ma ricerca di nuove etichette che abbiano storia e personalità.
Il locale è stato leggermente ampliato, a pranzo funziona sempre la formula 13, ossia 13 euro. La sera invece ci sono piatti dal sapore vero, precisi, che testimoniano tecnica e cultura del territorio. “Chi viene da noi mangia eccellenze -dice Antonio – per esempio per la carne ci appoggiamo alla famiglia Bifulco di Ottaviano che riteniamo il numero uno in Campania”
La cura della materia prima parte proprio dallo storico pastificio campano Vicidomini: un must per certi piatti come la genovese, una delle migliori di sempre perché realizzata con una cottura lenta e carni di sapore. Così buona che anche a Napoli è difficile trovarla di questo livello.
Grandi oli d’oliva, sempre del territorio, e carni di prima scelta.
CONCLUSIONI
Insomma c’è l’imbarazzo della scelta ormai per i salernitani che vedono crescere gli attori di una cucina non omologata e non inutimente ostentata. A sinistra di Corso Garibaldi c’èil mare di Pescheria, a destra la terra di 13 Salumeria e cucina. Alè!
7 Commenti
I commenti sono chiusi.
Gent.mo è un po’ di tempo che, seguendola, si legge questo costante richiamo all’omologazione, si è letto della polemica che ha coinvolto i distributori, addirittura, il presente articolo reca nel titolo “sommelier che non fa bere i marchi ma il vino”… Francamente non ne capisco il senso: il ristorante in questione, così come altri di cui ha parlato, si approvvigionano da distributori, a partire dallo strepitoso Boca di Barbaglia che ha fotografato… ma così come per tanti altri prodotti… quali tagli di carni specifici, prodotti ittici, passando per i fiori eduli, etc. etc.
Diversi dei prodotti di cui parla sul suo blog, che occupano la home nel momento in cui scrivo, vengono veicolati da distributori che sono gli unici a poter garantire all’esercente la possibilità di scelta, che l’acquisto diretto limiterebbe, a meno di non disporre di budget illimitati.
Se poi il problema è l’uso di materie prime non territoriali… bah… ma stiamo parlando della coldiretti o di ristoratori? A me, un famoso operatore cavese, di recente passato a miglior vita (purtroppo), insegnò che il ristoratore è colui che è abile nell’arte della trasformazione… nell’interpretazione, dunque, dell’ingrediente… questo dovrebbe essere, in ultima analisi, il mestiere di un cuoco… che poi usi gamberi blu della caledonia, se sono funzionali al risultato, dove sarebbe il problema?
Piuttosto, invece, questa storia della territorialità, troppo spesso, si tramuta in una triste giustificazione all’indolenza e alla scarsa professionalità di alcuni che si trincerano dietro il territorio, per nascondere una scarsa conoscenza del mondo in cui operano, una scarsa propensione alla ricerca ed un abbandono al mainstream enogastronomico di ciò che “si vende”… così, delle aziende vinicole locali, troverà solo e soltanto quelle 6/7 di grido (più spesso 3 o 4)… con il tagliere dei salumi e formaggi le verrà servita roba da supermercato o da “Metro” per provolone del monaco e soppressa di Gioi… I fagioli ormai sono immancabilmente di Controne (ma quanti ne fanno??????),i ceci di Cicerale e le alici parlano tutte il cetarese… Povero Cilento… nessuno, o quasi, conosce quelle pur eccezionali di menaica… E che dire delle millefoglie, parmigiane, etc. etc. di pesce bandiera? Fortunatamente la moda è passata, così che anche a casa siamo tornati a mangiarne un po’… qualcuno un po’ più illuminato, nella nostra provincia, si applicherà a vendere quasi esclusivamente prodotti “Targato SA”… ma non si va molto oltre… e lì sì che cadiamo nell’omologazione che si traduce, alla fine, in uno sfruttamento quasi violento del nome di alcuni imprenditori e territori che meriterebbero, invece, di essere inseriti in un contesto alla propria altezza…
Quanto al ristorante della recensione, di cui spesso sono cliente, vivadio, offre una ricerca approfondita, utilizzando materia nostrana e non solo, partendo dal territorio nazionale ed allargandosi, affidandosi alla professionalità e alla competenza che ha giustamente sottolineato, fra gli altri, di Gianni e Salvatore…
No, il cuoco del futuro è sempre più un attento selezionatore di materia prima e poi trasformatore. Il nostro mettere l’accento sull’omologazione riguarda l’atteggiamento di alcuni cuochi che incuranti di quello che tengono sotto caso, preferiscono acquistare o far acquistare prodotti costosi già porzionati e di facile gestione. Il che va anche bene per un banchetto di serie B o in una mensa aziendale, per carità. L’emozione della materia è invece un’altra cosa. C’è anche l’pmologazione della non omologazione, come no ma questo non significa che chi scrive deve poter orientare in un certo modo i propri lettori, fermo restando che ognuno è poi libero di fare quello che vuole.
Ci sono poi ulteriori distorsioni, con questi distributori di lusso che incidono nei congressi e nei piatti dal Nord al Sud tutti uguali. In questo mondo piccoli è importante distinguersi, lasciare un segno di qualità.
Io rimasi allibbito quando in un ristorante stellato che si era distinto sempre per qualità della carne, cambiato il patrone mi misero sotto il naso un agnello perfettamente eseguito che non sapeva di nulla.
Questa è la nostralinea, senza ideologismi, ma senza accomodamenti. Ci siamo accorti che abbiamo toccato un nervo scoperto di molti, ma proprio questo ci convince ad andare avanti. Non c’è altra strada e tutti i migliori fanno così. Pensi che persino Cracco nello spot Vodafone si fa inquadrare mentre sta al mercato…
Capisco il suo ragionamento e sarei anche parzialmente d’accordo.
Parzialmente perchè la maggior parte dei distributori veicolano prodotti di qualità molto elevata, spesso molto migliore del pescivendolo di quartiere o di quello del mercato che, altrettanto spesso, rivende ciò che viene dai mercati internazionali, passa per quelli generali e finisce sui banconi. Basti pensare alla mozzarella di Barlotti venduta da Longino… Non credo potrebbe mai essere d’accordo se un suo collega marchigiano, pugliese o lombardo sostenesse che un ristoratore suo conterraneo, vendendo la mozzarella di Barlotti, proponga un prodotto omologato e scadente…
Parzialmente perchè ho difficoltà ad immaginare banchetti di serie b o mense aziendali a base di gamberi blu, ostriche, formaggi francesi, culatelli, jamon vari o anche solo di mozzarelle di bufala pestane, etc. Non foss’altro che i costi non sarebbero sotenibili.
Parzialmente perchè i vari “cash” sono frequentati da un po’ tutti i ristoratori, molto più dei banchi della coldiretti… eppure, nonostante questo ci sono ristoratori in grado di valorizzare quanto acquistato e altri che hanno come limite ciò che hanno comprato…
Poi, forse ai suoi occhi questo mi renderà poco attendibile, ma una degustazione di ostriche, magari scegliendo i giusti vini in abbinamento, etc. mi emoziona altrettanto che un piatto di fusilli di felitto al ferretto (anche se la tradizione familiare mi riporta alla tradizione gregoriana/buccinese) con sugo di castrato. Dipende dai momenti… e mi reputo fortunato a poter scegliere, fra le attività campane, in un raggio di 50/60km, se scegliere la cucina territoriale dell’alto cilento o quella modernista di alcune attività del napoletano (e/o del salernitano).
Per me la differenza sta nell’uso degli ingredienti, nella competenza a disposizione di chi li usa e li propone, nell’idea di ristorazione complessiva che l’attività che visito mi può offrire, etc. etc.
Mi perdoni, infine, ma non mi è chiaro l’ultimo passaggio, quello del nervo scoperto…
La tv ha distrutto l’enogastronomia. La prova del cuoco, master chef, lo chef rubbio etc.
Non esiste un po’ di semplicità sia nel descrivere un vino, sia nel decidere per stagionalità quale piatto farà la parte dei menù.
Tutto è più complesso. Lo chef è bombardato dall’imprenditore che pur non capendone nulla di ristorazione, e oggi tutti, avvocati commercialisti, dentisti e medici sono appassionati di cucina. Aprono il loro ristorante immaginando di farlo meglio di colui che li ha serviti per anni. Solo per la passione. pretende di avere il meglio, spendendo pochissimo senza investire nulla. Con la fantasia di raggiungere le stelle con nessuna pretesa. Però poi si affida allo chef, il quale ancor più confuso tra incudine e martello, accetta di rassegnarsi al primo agente di grandi marchi che conosciamo.
Non accade nulla di nuovo. Ecco allora Napoli una città ricca di ristorazione, ma quando decidi dove andare a cena, non sai dove orientarti.
È la pura omologazione. Ecco perché il successo è fuori dalle mura. C’è più cura nella selezione, più orto, più carni locali, formaggi. Sentivo parlare di un piccolo ristorante di provincia che ci servì formaggio tra i quali ” pecorino del pastore di Agerola” straordinario, mai assaggiato. Mai noto ai Partenopei. Ma in questo piccolo luogo, è stato fatto il sacrificio dell’antiomologazione. Tanto, mi creda, sono pochi quelli che ne capiscono di cibo e di vino. Mentre sono la maggioranza coloro che si improvvisano conoscitori della enogastronomia. Lo diceva Totó ” viva l’ignoranza”.
Antonio Basile
Mi perdoni ma omologazione, dal Treccani, vuol dire: <>
Scegliere ingredienti diversi da quelli imperanti è, stando alla definizione, l’esatto contrario dell’omologazione… Contiamo i ristoranti, le osterie, trattorie, taverne, etc etc, che si fregiano del km0, della cucina territoriale, della tradizione etc etc e verifichiamo chi è omologato a cosa… Soprattutto quando la qualità è di basso livello… È moda la manzetta prussiana, tanto quanto pezzogne, fagioli di controne e provoloni del monaco… Pensi che il più delle volte il termine “podolico” viene spiegato luogo di provenienza… E allora, l’unica discriminante, oltre alla capacità dell’avventore di valutare, sta nella competenza della scelta e nella sapienza della trasformazione…
Il resto è polemica…
P.s. Lo chef di Salumeria13 si chiama Giovanni, non Gaetano.
Saluti
Grazie mille per la fiducia e la stima.
Ad majora