“Vini tra mito e realtà” con Andrea Scanzi all’Enoteca la Botte di Caserta


Andrea Scanzi

di Tonia Credendino

Due anni e mezzo dopo Elogio dell’invecchiamento”, Andrea Scanzi, giornalista de La Stampa e scrittore d’altri libri, torna sullo scaffale con Il vino degli altri”, sempre Mondadori editore.
Il secondo libro che il poliedrico autore, aretino, biografo di Roberto Baggio, con all’attivo libri su Beppe Grillo, Ivano Fossati e altri, dedica, da sommelier e degustatore ufficiale A.I.S., al tema vino.

Brillante, eclettico, spazia dal tennis al vino passando per la politica, ha uno stile incalzante che non annoia mai.

Ieri  ho terminato di leggere il suo ultimo libro, aspettavo con ansia di conoscerlo.

Il linguaggio è semplice, diretto, ammantato di un’ironia necessaria. Per i sommelier che non vogliono diventare parodia di se stessi, per i bevitori che vogliono conoscere un po’ di più di quel che hanno davanti.

Mi ha colpito il libro di Andrea, per la freschezza del linguaggio e lo stupore.

Di Andrea mi piace, oltre la pulizia e la franchezza, il metodo, la serietà, la capacità di attingere alle fonti sicure, meglio se sono uomini con storie importanti; è una persona pulita, franca che sa esprimere idee e concetti chiari, senza ricorrere a sotterfugi, perifrasi, eufemismi.

Cornice, la storica Enoteca La Botte, sede dell’Ais Caserta, al microfono Andrea Scanzi, divertito, disponibile, ironico,  scioglie il ghiaccio dicendo – “mi sento La Angiolini a Non è la Rai”.

Il pubblico nella sala dell'enoteca

Andrea introduce la presentazione, chiarisce prontamente-“ non sono uno specialista nel mondo del vino scrivo per divertimento”.

Ci dice- “Il vino degli altri è un viaggio tra produttori, territori e singoli vini, italiani e stranieri. Un girovagare raccontato con ironia e profondità al tempo stesso. Un libro da cui tirar giù numerosi spunti: per viaggiare (e anche per evitare certi posti), per bere (spesso bene), per chiacchiere (e anche discutere)”.

Il mio libro- “un resumé, molto più saggio, anche se sempre costellato di trovate fulminanti e di battute, dove si legge che “i vini migliori del mondo non esistono”, che i vini “più buoni” sono soggettivi, ma non saranno mai solo e soltanto rossi, che lo Champagne, se ben fatto, è una delle dimostrazioni dell’esistenza di Dio”-dice Scanzi- “le affinità ho voluto cercarle nel carattere dei vini, in quelle dei loro vignerons, non nella semplice corrispondenza del vitigno.

Lo scopo non è quello di stabilire graduatorie ma di conoscere meglio i vini degli altri attraverso il confronto con i nostri.

É un racconto per tutti, eno–appassionati e non serve conoscere il vino in profondità , semmai proprio la lettura indurrà a incentivare il desiderio di conoscenza enoica , perché sarà la prosa a teletrasportare tra filari e alberelli, tra grandi botti e moderne barriques, tra i vini unici di Borgogna e la Champagne (la Francia la fa da padrone – è ovvio – anche se il quattordicesimo capitolo ci vede – forse – vincitori 4–3), per arrivare in California e Argentina. Personalmente, lo devo ammettere, ho trovato più coinvolgenti i capitoli sul vino italiano e più asettici quelli esterofili, magari più dittatrici- divulgativi, ma sia chiaro la mia è una questione di sfumature.

Andrea Scanzi con Tonia Credendino

Stavolta nel libro, confessa divertito- “ho inserito anche una sorta di backstage. Una trovata adorabilmente infantile per raccontare retroscena, ammantare di presunta saggezza la propria “demenza” e sentirsi rockstar”. Andrea Scanzi ci racconta gli intermezzi che rappresentano il vero cuore del libro. Cento domande, che son le cento cose da sapere sul vino degli altri (con domanda-risposta dall’ironia travolgente, che però insegna e fa riflettere), il vino “outtake”, come funziona un concorso, ed il mitico capitolo “Bignami di un Consumatore Iconoclasta” dove potremo imparare come ci sono vini molto simili ad alcuni luoghi comuni della nostra società fatta di vip: il vino Jovanotti, per fare un esempio, un “vino con la zeppa, che ride sempre, soprattutto senza motivo, vinificato nell’ombelico del mondo…”, o un vino Giusyferreri che “quando lo bevi ti fa venire voglia di gargarismi.

Un libro cross–mediale, infatti, come già per Elogio, è partito il nuovo blog che, ricalcando il titolo, diventa un contenitore di idee, quelle dell’autore, di commenti, quelli dei lettori, e, stavolta, anche di polemiche.

Scanzi conclude la sua presentazione, dicendo- “Credo, ora e sempre, al vino come compagno di viaggio, come tramite per la conversazione, la conoscenza, il sapere. Credo  che il vino sia uno dei pochi vaccini al nichilismo. Un viaggio sull’altalena. Un miraggio conosciuto. Quasi sempre un bel bere»

Scanzi introduce alla degustazione- riportando un concetto rubato all’amico Roberto Cipresso sull’evoluzione del gusto, che tanto mi piace e ritrovo in tanti aspetti della vita. Ci dice, appunto, come per la musica, è un percorso lungo e tortuoso, dove magari si parte dai Beatles per arrivare a Ornette Coleman, allo stesso modo per il vino, inizialmente l’amore è per il Vino-Sveltina, immagine non elegantissima per alludere al vino senza tannini, morbidone: il Morellino di Scansano, lo Shyraz australiano. Poi si passerà al Vino-Amplesso, già più difficile: il Cabernet Franc, per dirne uno, o la Barbera, per dirne un’altra. Quindi lo stadio massimo: il Vino-Armonia, cioè il Pinot Nero, esile e apparentemente facile (quindi complicatissimo), o l’intenso Nebbiolo.

Mi perdonerà Scanzi, ma i veri protagonisti della serata sono stati loro, i vini tra mito e realtà:

I vini protagonisti della serata

-Barolo 2004 docg di Elio Altare

-Elio Grasso Barolo docg  2006 Ginestra Casa Matè

-Dolcetto D’Alba doc Superiore di Flavio Roddolo

-Verduno Pelaverga doc 2009 Comm. G. B. Burlotto

Sicuramente a rappresentare la realtà, Il Verduno Pelaverga, raro ed unico vino rosso ottenuto dalla vinificazione di uve Pelaverga piccolo, storica varietà coltivata esclusivamente nel Paese di Verduno, assolutamente, da considerare una primizia, autoctono delle Langhe, un vino che cresce solo lì, vino definito delle “merende signore”. Scanzi, ammette-“ ho scelto questo vino perché ho la fissa per le Langhe, il commendator Bullotto, il miglio produttore. Spezie e piccoli frutti rossi rappresentano le note basilari del profilo organolettico di questo vino dalla bevibilità spontanea e godibile. Un vino che potremmo definire “outtake”-dice, e che magari come accade per certe canzoni eliminate dai cd perché ritenute scarse, potrebbe  diventare un  famoso incompreso.

Il Dolcetto, di Flavio Roddolo, meglio noto in Langa come “il naif delle Langhe” è un vero vigneron piemontese, ma è soprattutto un personaggio molto particolare.

Schivo, diffidente, riservato. Queste le prime impressioni quando arrivi a Bricco- ci racconta, questo vino porta con sè il concetto di somiglianza tra il vino e chi lo fa, si perché Scanzi che ha incontrato personalmente il produttore- racconta che è un po’ burbero, lento ad aprirsi ma che come il suo vino nasconde un potenziale incredibile, una forza vibrante.

Al naso sentori terrosi, di sottobosco che riportano a quelle note “ematiche” –ferrose-, la fortuna del dolcetto , una morbidezza naturale, unita al finale amaricante.

Barolo di Elio Grasso, i vigneti in località Monforte d’Alba, zona molto virile, quattordici ettari vitati in produzione e utilizzano  solo uve di proprietà da vitigni tradizionalmente coltivati, con eccellenti risultati, nella Langa Albese. Stiamo per commettere un piccolo infanticidio- dice Scanzi-“questo vino sarà pronto tra 3/ 4 anni, per ora, ancora, giovane. il Ginestra Vigna Casa Maté, di stampo modernamente tradizionale, fa affinamento in botti di rovere di Slavonia.

Questo vino, nonostante la giovane età, ha riscosso maggior successo durante la degustazione, se ne colgono le potenzialità-  sembra quasi un’altare- dice il delegato Marco Ricciardi- “il vero Grasso non è questo, i terziari che raggiungerà questo vino tra 3 anni sono estremi”.

Da sinistra: Marco Ricciardi e Andrea Scanzi

Continuando Scanzi sostenendo RIcciardi conferma-“ lo abbiamo bevuto da Erode”.

Quarto vino, località La Morra, il Barolo di Elio Altare, “barolista” per eccezione, considerato da molti l’ispiratore di quelli che sono stati definiti i “Barolo boys”, una dozzina di produttori che hanno deciso di cercare una propria strada che porti a vini più fruttati, morbidi, piacevoli anche nella loro gioventù.

Il tutto con macerazioni brevi (prima di loro sconosciute da queste parti), per non parlare di barrique o di attrezzature per il controllo delle temperature in tutto il processo. Diciamola tutta dice Scanzi-“ Elio Altare è un mito, una specie di monumento ai vini di Langa; la sua piccola cantina è come il santuario della Madonna del Ghisallo per i ciclisti, i suoi vini sono osannati in tutto il mondo e la sua carriera è costellata di “tre bicchieri” (sì, quelli della Guida del “Gambero rosso”: il “nostro” – a tutt’oggi – ne ha meritati ben 16, alla pari con Cà del Bosco e preceduto solo dal suo amico Angelo Gaja, che è a quota 25)”. Due Baroli d’eccezione a rappresentare i vini mito per autenticità e percchè no, anche per prezzo.

Elemento lampante alla conclusione della serata,  è lo stile di Andrea Scanzi, nell’approcciare un tema che, per sua natura, sarebbe destinato a una ristretta cerchia di enodipendenti, e che invece assurge a libro “per tutti i palati”.

Consiglio, Il libro  Il vino degli altri”, merita di essere assorbito quasi come un Picolit…da meditazione.

Un libro, per me,  da rileggere tra qualche tempo, dopo averlo fatto decantare un po’.

Le foto sono di Agostino Vanore

2 Commenti

  1. Che personaggio Andrea, che prima di giovedì non conoscevo ne come scrittore ne come uomo del vino. Mi incuriosiva conoscerlo di persona dopo che sono venuto a conoscenza che aveva scritto le biografie di Baggio, Villneuve e Fossati per me tre miti e quindi immaginavo che in lui ci fosse quella sostanza poi riscontratasi nei fatti anche se coperta da molta auto ironia.
    Per quanto riguarda i vini ottima scelta, il Pelaverga ovviamente paragonato agli altri e’ stato definito vino da merenda, ma secondo la mia modesta opinione ha tanto da dire, e poi chi ha detto che i vini rossi devono, per esser buoni vini, per forza prestarsi all’invecchiamento?
    Anche il Dolcetto mi e’ piaciuto all’inizio criptico, ermetico ma a fine serata piacevole.
    Elio Grasso 2006? Se si sapeva che era un infanticidio perché lo si e’ compiuto?
    Elio Altare 2004 invece in piena godibilita’. Comunque come ultimamente spesso mi capita sono sempre gli sconosciuti a d’estate interesse.

    Complimenti a Tonia per l’articolo ed al dottor Scanzi per avermi risvegliato dal torpore dell’odierno mondo del vino

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