Natural.mente” Vino: qualche traccia sui Vini Non Convenzionali
di Annito Abate
Vino Naturalmente Vino a Chiavari (Genova), il trittico del Veneto: VinNatur a Sarego (Vicenza), ViniVeri a Cerea (Verona), Vivit al Vinitaly di Verona, poi Vignaioli Naturali a Roma, In Vigna Veritas a Ferrara, Vinissage ad Asti, Naturale a Navelli (L’Aquila), Vinology (Expo del Vino Biodinamico) a Prato, Vini di Vignaioli a Fornovo (Parma), fino ad arrivare a Gustonudo (Fiera dei vignaioli eretici) a Bologna o addirittura a Enotica (Festival del vino e della sensualità) a Roma, sono solo alcuni degli eventi italiani che ruotano intorno al mondo dei Vini Naturali, Biologici e Biodinamici … ed ometto la sequenza del resto d’Europa (specialmente la Francia) e del Mondo.
So che ne ho saltati e/o dimenticati tanti ma si dovrà pur passare ad altro!
Condivido qualche “traccia” sui Vini Naturali prendendo “spunto” (non acetico) da una serata trascorsa a Benevento in compagnia di Vini e Vignaioli “alternativi”, uno di quegli incontri che fanno riflettere e che lasciano dentro delle emozioni, anche contrastanti tra loro.
Che fosse una strana serata lo dovevo capire subito: il navigatore satellitare della “prof.NCar” comincia a “veleggiare” per lidi sconosciuti, rimanendo in tema degustazione, il GPS inizia a “prendere fischi per fiaschi”, ogni tanto “rinsavisce” ma quando tenta di avvicinarmi alla meta perde completamente la bussola e proietta l’auto in zone vergini ed inesplorate, almeno a video.
In realtà giro attorno all’obiettivo che “giace”, ancora silente ed irraggiungibile, in una traversa del Corso di Benevento, ormai rigorosamente “ZTL”; la telefonata di Vincenzo (Patron della serata) sembra tranquillizzarmi ma, di li a poco, avrei scoperto che io andavo verso sud e lui nella direzione opposta (colpa mia visto che, qualche manciata di minuti addietro, preso dall’ansia del ritardo, gli avevo detto che stavo risalendo la Via Principale sull’altro asse geografico … i telefoni cellulari non prendono mai quando serve).
Ci riusciamo ad incontrare che da poco avevo superato una meridiana scolpita sulla facciata di uno degli edifici storici della Città Sannita, poi un Campanile in mezzo alla strada e finalmente, insieme, “inforchiamo” via Bartolomeo Cameraro dove, al civico 13, si palesa la nostra “meta” serale: l’EnotecaWineBar Jimbo, Benevento, Italia!
All’ingresso capisco subito che trattasi di una “serata non convenzionale” in compagnia di “vini naturali”, quelli come “mamma terra li fa”; mi consegnano un “pieghevole”, devo dire interessante, la cui immagine più significativa, che ho graficamente ritoccato e riproposta in apertura, propone un parallelo tra quattro modi differenti per fare e concepire il vino: convenzionale, biologico, biodinamico ed, appunto, naturale.
I vini naturali riescono ad andare più giù di tutti: si attestano molto sotto il “convenzionale” (che può presentare in etichetta tantissimi “ingredienti”, si contano fino a 100 sostanze additive), “scendono” al di sotto del “biologicoEU” (che può avere ancora tanti “ingredienti”, fino a 60 sostanze additive), si affiancano e poi vanno oltre anche il “biodinamicoDemeter” (si può usare qualche “ingrediente” ma le sostanze additive resterebbero comunque minori rispetto al biologico) ed arrivano, appunto, al “naturale” (con due soli “ingredienti”, forse uno ma il sogno resta “zero sostanze aggiunte”).
Per “ingredienti” si intende, appunto, ogni “sostanza” che è possibile aggiungere nel “nettare di dioniso” (o di “bacco”, che dir si voglia) in quanto consentite dalle rispettive regole di produzione, anche in autocertificazione.
Non mi considero affatto un integralista sull’argomento, anzi, a dire la verità, non credo di avere ancora un’idea precisa sull’argomento, cerco di capire ma, soprattutto, di “sentire” quello che, di volta in volta, mi versano nel bicchiere, senza farmi influenzare dai preconcetti oppure dal fascino del “diverso è bello”; mi fa piacere chiarire però una cosa: passi che i “Vini Naturali” si definiscano “Non Convenzionali” (può essere oggettivamente condivisibile sulla base di qualche indicatore), non riesco però comprendere chi considera i “Vini Convenzionali” come “Non Naturali” in quanto, penso, sia una “trasposizione” falsa, “furbesca” ed inutilmente tendenziosa.
Mi attesto, per un attimo, anche io al di sotto dell’insegna verde del Jimbo illuminata di bianco dalla luce verticale che la sovrasta, mi viene in mente una frase di Angiolino Maule sul “natural liquido idroalcolico”: «Vino naturale significa zero chimica in campagna e zero chimica in cantina». Insomma nessuna “sintesi” ne “tecnologie”, nessun “camice bianco” per correggere e/o aggiungere; la Vigna e la Cantina non sono dei laboratori.
«E’ importante mantenere le sostanze provenienti dall’uva; nulla si deve togliere, nulla si deve aggiungere» ci racconta il Produttore dell’Azienda Vitivinicola Sannita della quale, di lì a poco, avrei degustato i vini.
Nel produrre Vini Naturali sembra esserci un patto morale tra i Vignerons: due soli sono gli additivi e processi “ che si consentono” in cantina: la fermentazione alcolica spontanea e l’anidride solforosa (S02); volendo dare una definizione estrema si può dire che trattasi di “un vino fatto solo con l’uva” senza alcuna aggiunta di anidride solforosa. E’ facile dimostrare che, applicando questa restrittiva definizione, sarebbero al massimo una trentina, in Italia, le Cantine che potrebbero produrre vinosupernaturale con l’evidenza di non avere, praticamente, le quantità sufficienti da proporre al consumare finale.
Si è pensato, allora, di allargare un tantino il cerchio comprendendo nel discorso anche coloro che utilizzano una minima percentuale di anidride solforosa aggiunta (“l’enoico e natural patto solfitico” dice che “questo matrimonio non s’ha da fare” per più di 40 mg/litro (bianchi) e 30 mg/litro (rossi); giusto per la cronaca se nei vini la presenza di solfiti resta sotto i 10mg/l, in etichetta non vi è obbligo di dichiarazione (D.lgs. 114/2006, Reg. 753/2002 e norme sulla indicazione degli allergeni Reg. UE n. 1266/2010, Dir. 2007/68/CE), presenza che, nei Vini Convenzionali, è possibile nei limiti dei 200 mg/litro per i bianchi e 150 mg/litro per i rossi (in etichetta è E220 (Diossido di zolfo) e/o E224 (Metabisolfito di potassio).
Per i Vini Biologici, o meglio, per quelli ottenuti da uve da agricoltura biologica il limite è 150 mg/litro per i bianchi e 100 mg/litro per i rossi, mentre per i Biodinamici (Disciplinare Demeter) 90 mg/litro per i bianchi e 70 mg/litro per i rossi.
Sempre per la cronaca, il limite di sicurezza stabilito per l’assunzione di solfiti è di 0,7 g per ogni kg di peso corporeo.
Se il “10” non viene conteggiato e quindi si assume pari a “0”, il primato “antisolfiti” si gioca su un paio di decine di mg/litro.
A scanso di equivoci si parla di solforosa aggiunta in quanto questa sostanza si sviluppa naturalmente in fase di vinificazione ed ha un effetto molto “benefico” per le uve e la relativa conservazione dei suoi derivati, va ricordato anche che i lieviti producono comunque queste sostanze magari non proprio sufficienti a garantire la “protezione” richiesta per evitare spiacevoli rischi, soprattutto post-estivi.
Per chiudere la tematica si “vocifera” che è in arrivo il Progetto SO2SAY, finanziato dall’Unione Europea, per realizzare vini “senza solfiti”, per essere più preciso con quantità ridotta del 95%, forse una svolta epocale, o forse no, in ogni caso si assisterebbe ad una sorta di “omologazione altra” tra “Vino Convenzionale” e “Vino Non Convenzionale”, almeno su questo fronte.
La vera questione, in ogni caso, non si “gioca” ne sull’E220, ne sull’E224!
Sto per varcare l’ingresso, mi blocco per un attimo, il locale tanto piccolo quanto pieno di “bancone-scaffali-bicchieri-qualchebarrique-qualchesedia e di qualchepersona”, mi viene in mente il concetto posto tra due parentesi ed in calce all’invito speditomi per posta elettronica: “(max 12 partecipanti)” … forse non riusciamo a sederci, penso!
Armato di macchina fotografica, relativo fodero e “moleskine” per gli appunti già mi vedo in difficoltà logistica quando dovrò gestire anche i due calici (per i sette vini previsti) e le quattro preparazioni in abbinamento; Francesco, il titolare, intuisce la situazione e mi invita a sedere, con cortesia ed ospitalità, mi offre un posto con tanto di appoggio-barrique. Grazie, penso, e comincio a guardarmi intorno in attesa della degustazione a cui avrebbe partecipato anche il produttore (trovo sempre interessante avere spiegazioni dirette da chi ha fatto quello che devo bere).
Il Produttore è Raffaello Annicchiarico un agronomo, esperto anche in prodotti agroalimentari, sicurezza e microbiologia degli alimenti che nei primi anni del 2000 si innamora di un’antica masseria e la recupera con materiali locali per farla diventare la sua Cantina e la sua Casa; l’Azienda è “Podere Veneri Vecchio” di Castelvenere (BN), circa 18.000 bottiglie all’anno, 2 ettari in proprietà di cui circa 1 vitato e poco più di 1 in gestione, solo vitigni autoctoni del Sannio e “lavorazione naturale autocertificata” (le vigne tradizionali miste non sono state modificate e da ognuna si ricava uno dei vini prodotti in catalogo).
La filosofia in Azienda è semplice e si segue in vigna ed in cantina: diserbanti chimici banditi, nessun fertilizzante, quando c’è bisogno solo sovescio o prodotti che stimolano le difese naturali della vite, microflora e fauna selezionate nel tempo, lieviti naturali, 3 gr/hl di solforosa (in prima fermentazione), controllo naturale delle temperature di fermentazione (cantina fresca e ventilata), batonnage per rimettere in sospensione i futuri aromi.
Tutto pronto, si parte con la degustazione e gli abbinamenti studiati all’uopo; il Vigneron presenta le sue naturali creature con amore, senza risparmiare le parole, un confronto tra annate diverse per le prime tre batterie, una particolarità per l’ultimo:
1 e 2) Tempo Dopo Tempo 2011 e 2006 I.G.T. Beneventano Bianco, 50 % Grieco, 50% Cerreto (antichi vitigni autoctoni della zona); crostino con acciughe di Cetara;
3 e 4) Rutilum 2010 e 2001 I.G.T. Beneventano Rosso 50% Sangiovese e 50% Barbera del Sannio; caciocavallo podolico e marmellata di peperoni;
5 e 6) Nigrum 2010 e 2000 I.G.T Aglianico Beneventano 100% Aglianico; guanciale di maiale nero casertano;
7) Frammenti di Terra 2010 da uve Sciascinoso; cioccolatino con composta di pesca e aglianico.
Facilitato dal confronto tra le annate, diverse ed anche distanti tra loro, senza declinare colori, sentori ed aromi di bocca percepiti, devo dire che quello che mi ha colpito è l’evidente differenza nella risposta al tempo: il vino da “giovane” presenta una percettibile nota volatile che, “tempo dopo tempo”, sembra essere riuscita ad “avvolgere” e “conservare” il liquido, proteggendolo negli anni, facendogli così restituire un bouquet “intrigante” di sentori composti con una “indelebile” freschezza di acidità che nell’evoluzione diventa, a tratti, anche balsamica … interessante ma anche spiazzante!
“Perdersi e Ritrovarsi”, una delle etichette prodotte dalla Cantina, calza a pennello per esprimere le emozioni provate.
Ho avuto modo si seguire il Master AIS sulla Campania del Vino e, da quanto scritto, ho pensato di estrarre punti di vista “alternativi”, si può dire, l’opinione sul “naturale” di cinque grandi personaggi del mondo del vino:
Pierpaolo Sirch Agronomo
«Il vino naturale non si può fare ovunque, ci vogliono ambiente ideale e predisposizioni varietali che geneticamente sopportano gli attacchi fungini, il Fiano ad esempio».
Luigi Moio Enologo
«Trovo l’uso di questo termine improprio in quanto il vino è un prodotto innaturale, c’è malafede nella volontà di accattivarsi una fetta di consumatori. I disciplinari del biologico lo dimostrano. Si ricerca la natura in etichetta e si permette l’uso del polistirolo nel packaging che contiene stirene, un idrocarburo aromatico estremamente cancerogeno».
Manuela Piancastelli Giornalista
«E’ una tendenza trasversale che sta attraversando il mondo della comunicazione, le mode ci sono sempre, si creano e si autodistruggono anche in tempi brevi, tutto viene esasperato. Penso a questa tipologia come offensiva in quanto presuppone l’esistenza anche di “vini innaturali”. Come comunicatore aziendale non dico che faccio vini naturali ma vini che rispettano la natura. Un vino, infatti, è naturale quando è rispettoso del suo territorio, nelle piccole produzioni succede spesso anche se non si utilizza il “corno letame”» (n.d.r.: corni di vacca riempiti con deiezioni fresche che vengono interrati nelle produzioni in regime di viticoltura biodinamica).
Piero Mastroberardino Economista
«Ci sono più risposte del mercato, il tema della sostenibilità ha le sue fasi, in quella di “lancio” c’è una grande confusione, ognuno crede di avere lo slogan vincente, si pensi a “green economy” ad esempio. Considero “biologico” un vocabolo privo di significato e “biodinamico” una classica economia di nicchia per ridurre l’intensità competitiva. I disciplinari prevedono già dei controlli ed un’affermazione di qualità».
Armando Castagno Comunicatore
«Va delimitato l’ambito di indagine, bisogna chiedersi cosa sono questi prodotti; il mondo dei cosiddetti vini naturali dovrebbe depurarsi da coloro che vi “bivaccano” con ignoranza; quello dell’utilizzo della “solforosa” è un falso problema, la sua demonizzazione è strumentale e non è una tematica “centrale” per l’argomento».
Un aspetto portato in discussione, in favore dei Vini naturali è legato alla salute ma se poi il vino “non è buono” a che serve presumere “che non faccia male”?
Per scimmiottare il sagace Sherlock Holmes si potrebbe modificare la sua celebre frase in: «Naturale Watson!»