I Taurasi e il Grecomusc’ di Cantine Lonardo a Cap’alice
di Luca Miraglia
Anteprima del nuovo cru di grecomusc’
Il ricco calendario di incontri tematici organizzati con cura e passione da Marina Alaimo presso l’enosteria “Cap’alice” di Mario Lombardi nell’ambito della rassegna “Storie di vini e vigne” si è arricchito di un altro evento di rilievo assoluto, che si è rivelato imperdibile per gli appassionati enofili ed ha quindi fatto registrare un meritato tutto esaurito. Sono stati presentati i vini di “Cantine Lonardo”, piccola ma ormai famosa azienda a conduzione strettamente familiare facente capo al professore Sandro Lonardo, ben coadiuvato dalla figlia Antonella – che con coraggio e lungimiranza ha deciso di lasciare Napoli per seguire, insieme al marito, l’attività vitivinicola nel piccolo borgo di Taurasi – e da uno staff tecnico di grande levatura professionale.
Sin dagli esordi, nei primi anni duemila, i vini della famiglia Lonardo hanno raccolto un lusinghiero successo, strettamente legato ad alcuni fattori immediatamente percepibili e da apprezzare incondizionatamente: innanzitutto la passione sconfinata, che ha privilegiato le scelte di valorizzazione e rispetto del territorio e dell’uva a dispetto di ogni compromesso commerciale, poi la convinzione che il vino – con particolare riferimento all’Aglianico da Taurasi – dovesse essere posto in vendita dopo un affinamento più lungo rispetto a quanto previsto dal disciplinare, al fine di favorirne un più equilibrato sviluppo evolutivo. Ancora, la scommessa – più volte rimarcata dal professore Lonardo nel corso della serata – di puntare, in un territorio famoso per i vini rossi, anche su un bianco, il Grecomusc’, frutto del recupero di un vitigno autoctono ormai pressoché abbandonato, il Roviello, riportato a nuova luce con un paziente lavoro di ricerca delle vecchie viti, selezione dei cloni e reimpianto dei vigneti, svolto non in maniera empirica bensì in collaborazione con importanti strutture scientifiche, anche universitarie.
Il risultato si è rivelato una delle sorprese enologiche degli ultimi anni, un vino che si è immediatamente imposto all’attenzione di esperti e consumatori per la sue peculiari caratteristiche organolettiche e gustative, stimolando perciò curiosità ed interesse. Nel panorama regionale – già ricco di vini dalla spiccata acidità e conseguente longevità – il Grecomusc’ esalta in sé tali doti amplificandole e proponendosi quindi come un campione di versatilità anche negli abbinamenti con il cibo.
La serata di Cap’alice ha pertanto stimolato, da un lato, la curiosità per l’assaggio di questo bianco, di cui sono state presentate le due annate più recenti, 2013 e 2014, nonché un “campione di botte”, anch’esso del 2014, frutto di una sperimentazione ancora più spinta, connessa all’utilizzo in via esclusiva di uve provenienti da viti non innestate e del legno per l’intero ciclo fermentativo e di affinamento; dall’altro, il desiderio di provare svariati millesimi del Taurasi, da anni ai vertici nelle valutazioni della tipologia ed ormai apprezzato anche in ambito internazionale (il famoso critico americano Robert Parker lo definisce “sontuoso”).
L’articolazione dell’incontro, che Marina Alaimo ha curato in modo particolarmente attento e con l’occhio della vera appassionata nei confronti dei vini presentati, ha visto in primo luogo l’assaggio dei millesimi 2013 e 2014 del Grecomusc’, seguiti, come detto, dall’anteprima del medesimo vino in versione sperimentale.
I primi due hanno regalato sensazioni molto differenti tra loro: il 2013 evidenzia già una grande eleganza, con un largo spettro aromatico dall’agrumato ai frutti gialli (pesca), per scorrere poi – sostenuto da una consistente vena minerale – verso tonalità speziate e di erbe mediterranee; il palato è sì acido, ma nel contempo sapido e, nel finale, addirittura setoso.
Il 2014, nonostante la giovanissima età, non appare scomposto né al naso – in cui sono assolutamente prevalenti le note agrumate, seguite da quelle minerali e di cenere (tipiche, queste ultime, del territorio taurasino, raggiunto a più riprese nel corso della storia dalle nubi eruttive del Vesuvio), né al sorso, snello ma forse palesante un’eccessiva acidità, peraltro giustificata, lo ripetiamo, dalla giovane età.
La neonata interpretazione del 2014 (per la quale non è stato ancora scelto un nome!), da vigne vecchie a piede franco (cioè non innestate) ed assoggettata ad un’integrale lavorazione in legno, parla un linguaggio tutto suo e rappresenta una sfida sensoriale sia al naso che al palato: la lunghissima permanenza sulle fecce (ben sei mesi!) ha conferito al prodotto finale alcune sfaccettature del tutto spiazzanti, ad iniziare dalle note di torba e poi, in sequenza, quelle agrumate, di cenere e di anice stellato; al palato l’acidità, pur molto spiccata, non appare scissa ma già integrata con una sottile pungenza e conduce ad un bel finale salato.
Non meno emozionanti sono stati gli assaggi del Taurasi, l’altro fiore all’occhiello della produzione aziendale: sono stati presentati il millesimo 2010 (nella versione “base”, l’unica prodotta quell’anno) ed i due cru “Vigne d’Alto” e “Coste”, entrambi del 2011.
Il primo, figlio di un’annata climaticamente non molto fortunata, evidenzia – grazie all’attenta cura di cantina – peculiarità di grande spessore: il naso è una sequenza di marasca, pepe e cenere, cui si accompagnano note di spezie e buccia d’arancia; al gusto appare esuberante, pur mantenendo una certa snellezza.
I due “cru” (primo esempio, nell’areale di Taurasi, di menzione in etichetta della vigna, e quindi della zona specifica da cui provengono le uve) mostrano una profondità di espressione che li accomuna ai più grandi rossi nazionali: tuttavia è proprio la differente ubicazione dei vigneti (e la conseguente diversità di composizione dei suoli) a conferire a ciascuno una propria personalità ben definita. Il “Coste” evidenzia sentori olfattivi di frutta rossa matura e spezie fini, sostenuti da una viva balsamicità, ed al palato una decisa acidità – derivante dalla giovane età – che non offusca, tuttavia, il calore e l’avvolgenza del sorso, di grande corposità.
Il “Vigne d’Alto” è risultato, a mio avviso, il vero campione di una serata d’eccellenza, ed in questa affermazione trovo il conforto del professore Lonardo, che lo predilige su tutti gli altri rossi aziendali, in quanto è un vino che rappresenta il compendio di molteplici elementi, tutti collegati all’idea di “passione” che ha rappresentato il principale stimolo all’inizio della sua avventura nel mondo del vino: uve provenienti esclusivamente da vigne vecchie (alcune quasi centenarie!), allevate con l’antico metodo dello “starseto”, ovverosia a raggiera; fermentazione con i soli lieviti indigeni; lungo affinamento (24 mesi) in legno medio-grande e breve sosta finale in acciaio prima dell’imbottigliamento, che avviene senza alcuna filtratura.
Che dire? Il risultato è un vino di grandissimo impatto emotivo anche su chi può vantare molteplici esperienze di assaggi, grazie ad una non comune complessità gusto-olfattiva, che in questo caso risente in misura impercettibile della giovane età. Eleganza, finezza, austerità ed un equilibrio già sorprendentemente definito si fondono in un caleidoscopio di profumi e sapori davvero difficili da enumerare: vino già apprezzabile ora, ma non osiamo pensare alle emozioni che sarà in grado di offrire col passare degli anni!
Un simile “parterre” di vini meritava un adeguato accompagnamento culinario, che infatti – nella migliore tradizione di Cap’alice – non ha deluso i numerosi (e, in qualche momento, fin troppo rumorosi) partecipanti alla serata: lo chef Claudio De Castris ha dapprima proposto una versione saporita ed equilibrata della classica lasagna napoletana, cui chi ha voluto divertirsi ha abbinato sia il ricco e complesso Grecomusc’ 2013 che il Taurasi “base”.
Ha fatto seguito l’agnello laticauda, in versione al forno con duplice contorno di patate e friarielli, sposatosi in modo ottimale con i cru di Taurasi; da ultimo è stato servito un dessert di crema di mascarpone con crumble di pistacchi ed amaretti.
Non è mancata una gradita sorpresa, dovuta all’impagabile generosità di Sandro ed Antonella Lonardo: nel corso della cena abbiamo assaggiato anche il Taurasi “base” del 2011, che ha colpito tutti per il corpo affilato e tagliente, quasi atipico per questa tipologia di vino ma gradevole e versatile: un ideale compagno della tavola!
2 Commenti
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Che piacere leggere Luca e che piacere leggere delle conferme al lavoro dei Lonardo’s, che da 10 anni a questa parte hanno dovuto affrontare molti cambiamenti. Cambiamenti che per una cantina piccolissima hanno significato un impatto duro che ha causato scelte e sacrificio. Onore a loro….Che amo e lo sanno.
Ciao Mimmo. I Lonardo sono nel momento della maturità e della sicurezza. Adesso i vini sono straordinari.