S. Andrea di Conza (Av), Ristorante L’Incanto
Erano ormai alcuni mesi che tentavamo di andare a gustare la cucina di Pompeo Limongiello, titolare, insieme alla moglie Angela, del ristorante L’Incanto di S. Andrea di Conza. Non eravamo mai riusciti a “quagliare”, spesso a causa delle cervellotiche ottimizzazioni del Pigna, qualche volta anche per la momentanea indisponibilità di Pompeo. Ma stavolta, a cavallo della Fiera Enologica di Taurasi, complice la rilassatezza ferragostana, finalmente abbiamo realizzato il nostro desiderio deviando il percorso, udite udite, di ben 30 chilometri!
Ho conosciuto Pompeo Limongiello in occasione della presentazione della guida dei mesali al Country Sport di Avellino, ma già eravamo “amici” su FB, e interagivamo spesso in merito alla tradizione enogastronomica Irpina. Pur essendo un talebano di questa materia, il nostro, grazie alla sua poliedrica formazione ottenuta in giro per il mondo ( nato in Venezuela, trasferitosi a Napoli a perseguire gli studi in architettura, e infine, dopo aver maturato la passione per la cucina, in Francia e Canada) ama rivisitarla secondo le moderne tecniche dei grandi della ristorazione Heinz Beck, Davide Scabin, Alfonso Iaccarino, Alaimo e Cannavacciuolo, con i quali ha avuto spesso rapporti.
Ma il condensato del pensiero filosofico-culinario di Pompeo Limongiello è in queste sue parole : ” La mia cucina nasce dal desiderio di interpretare in modo personale il mio territorio con antiche ricette, ma partendo da un prodotto di base di qualità, perché il rispetto di chi lavora la terra e custodisce gli animali, non ha valore. Vorrei che i miei piatti non siano semplicemente fotografati, ma che piuttosto al loro posto ci fossero le facce di chi produce quello che mi serve per poterli realizzare.
Un piatto è un foglio di carta bianco, sul quale io cerco di descrivere quello che mi accade tutti i giorni sul territorio che percorro di lungo e in largo, cercando di restituire questo viaggio attraverso un gusto, un odore, una sensazione, non cucino quello che i miei ospiti vogliono, ma cucino quello che la mia terra mi dà”. E con uno chef che la pensa così, mettendo al centro i prodotti e le persone che li realizzano, soprattutto per me, contadino fino alla punta dei capelli, come si fa a non entrare subito in empatia? Ci siamo trovati subito a nostro agio, in un ambiente elegante ma rassicurante, di tono ma familiare, ricercato ma di territorio. Le danze si aprono all’insegna, vista la filosofia del soggetto, del ” Pompeo, fai tu”!!!
Il benvenuto consiste in una pallina di ricotta di podolica, avvolta in una fettina di prosciutto di maiale allevato allo stato semi-brado sulle colline del Formicoso e stagionato in grotta, con cialda di pasta croccante e miele d’acacia…In bocca tutta la rarefazione delle alture irpine, un retrogusto di selvatico e stranamente per un prodotto artigianale, nessun eccesso di sale. Lo accompagnamo con un’ottimo prosecchino.
Passiamo all’antipasto…già siamo solleticati dal gioco di parole insito nella denominazione del piatto: “Carmasciana di melenzane in salsa di pomodorini di Montecalvo e olio di Ravece”. Una rivisitazione della parmigiana di melenzane, dove al posto del parmigiano c’è il Carmasciano, la melenzana tagliata il giorno precedente viene salata e messa in frigo con un peso sulla superficie per scaricare l’acqua in eccesso, altri ingredienti il gustosissimo pomodorino di “seccagno”(non irrigato) di Montecalvo Irpino e fiordilatte più asciutto “del giorno dopo” dello storico caseificio Granese di Montella.
Sorprendentemente saporita ma leggera, pecorino di Carmascano nonostante!!! E qui c’è un graditissimo incontro, il Greco Pietrarosa 2010 di Pasqualino Di Prisco. Un colore superbo, quasi giallo dorato, un naso ancora più bello del colore che dispensa note floreali alternate a frutta gialla matura e minerale, pietra focaia.
La bocca poi, è un’amalgama perfetta tra il cibo ed il vino, ce la fa anche sul Carmasciano che è nella preparazione. Ed è la volta di una zuppa:
Provocazione al porcino congelato, sottotitolo Patata alla cenere e uovo fritto…la provocazione, dice Pompeo, vuole essere per chi utilizza in modo innappropriato il porcino congelato.
La preparazione consiste in una patata cotta alla cenere e passata con tutta la buccia in modo da restituire il gusto di affumicato, e nasconde un uovo fritto da allevamenti di contadini della campagna circostante, un pò di sale affumicato ed una generosa grattata di porcino congelato che rilascia immediatamente i suoi profumi.
E anche qui siamo al tripudio della materia prima e dei sapori ancestrali. Innaffiamo con Joaquin 203(il produttore dice che il numero è la sigla del progetto, non replicabile)da vitigno Fiano di Avellino annata 2007 Lapio, contrada Campore. Un vino ottenuto con criomacerazione fatta e dichiarata(quindi non c’è trippa per gatti), fermentato in legno d’acacia austriaca, due mesi di affinamento sulle fecce fini, e via in bottiglia. Pensato per abbinamenti su piatti strutturati, con dolcezza e morbidezza, da contrastare con la sapidità e l’acidità che certo non difettano in questo vino. Fa proprio al nostro caso!!! Per primo piatto ci arriva ” Lu Trieddo”.
Pasta “fattizza” così si definisce in alta Irpinia la pasta fatta a mano. In questo caso incavata con tre dita (perciò Trieddo) dalle abili mani della suocera di Pompeo, Carmelina Savino…ad avercele di queste suocere ( poi in privato, magari potrei anche venire a fare uno stage da te, mi dirai come si fa a far lavorare moglie e suocera al posto proprio :-))!!! Ricetta, questa, riscoperta in un vecchio testo di cucina di una biblioteca di …Milano. Piatto di origini lucane e che nasce dall’esigenza di risparmiare il formaggio sostituendolo con delle mollichine di pane rosolate con poco olio insieme ai famosi peperoni dolci cruschi dell’Irpinia. La coniugazione perfetta dell’essenzialità con il gusto…E qui continuiamo con l’ esercitazione stilistica di Joaquin Raffaele Pagano, complice Maurizio De Simone ;-)). Ancora un altro primo: Paccheri del Pastificio dei Campi, baccalà e pomodorini.
L’intenzione dello chef è quella di contribuire alla valorizzazione di un grande formato di pasta artigianale coniugandolo all’unica tradizione ittica possibile sulle colline dell’Irpinia, il baccalà. I pomodorini sono quelli della montagna a ridosso di S. Andrea, prodotti da una vecchietta di 70 anni senza trattamenti e senza irrigazioni. La pasta la conoscevamo già, una grande conferma. Per gli altri ingredienti un forte plauso a Pompeo, non solo per l’esecuzione, ma anche per la scelta del prodotto. Angela Frino, moglie di Pompeo, nonchè “angelo della sala”, per questo piatto ci ha cambiato vino. Furore Rosso 2005 Marisa Cuomo.
Uvaggio piedirosso e aglianico, bel colore rosso rubino, ormai tendente al granato, al naso frutta rossa matura, ciliegie e lamponi, un accenno di speziato ed il “geranioso ” caratteristico del piedirosso. In bocca è pieno, avvolgente, ancora possiede una sostenuta acidità ben bilanciata dalla morbidezza dell’alcool a 13,5°. Potremo deliziarcene ancora, almeno per altri tre o quattro anni. Oddiomio… ancora un primo!!! Marina ha già gettato la spugna da un pezzo, il Pigna ed io, da grandi maratoneti della tavola, veniamo fuori alla distanza… E ci pappiamo i “Ravioli di ricotta caramellati”.
Qui per la salsa viene usato San Marzano fresco appena scottato e poi passato, con pesto di basilico, e aglio semplicemente strofinato nel piatto. I ravioli sono ripieni di ricotta fornita da uno dei tanti amici allevatori di Guardia dei Lombardi. Sono passati al forno con lo zucchero per bilanciare la stabile acidità del pomodoro sommata a quella incipiente della ricotta più asciutta che è di qualche giorno prima. Il passaggio al forno conferisce contestualmente, anche una croccantezza che si fa sentire più all’orecchio che al palato.
Ccontinuiamo prendendo a pretesto per la necessità dell’assaggio la diversa composizione dei ” Migliatielli” di S. Andrea rispetto ai “Mugliatielli di Montemarano e di Montemiletto” e a loro volta in confronto a quelli del Cilento…
Ci sarebbe da stendere un trattato, ma per ovvi motivi di spazio, di tempo e anche per evitare appallamenti, soprattutto a chi non ama il quinto quarto, ci limitiamo a sottolineare che quelli di S. Andrea di Conza prevedono la sola trippa d’agnello e qualche sporadico pezzettino d’intestino, quelli di Montemarano tutte le interiora escluso la trippa, quelli di Montemiletto alle interiora includono anche la trippa. Un capitolo a parte va per quelli del Cilento, territorio nel quale sono presenti solo pecore bagnolesi di scarto che vengono buttate giù da Montella dagli allevatori irpini che vogliono disfarsene e rotolando per le falde dei monti Picentini raggiungono il Cilento, ormai senza più nè fegato nè cuore e quindi ob torto collo la preparazione tipica che adorna le tavole ferragostane di Malgi e del Pigna è composta esclusivamente da intestini…;-)) Avevamo deciso di chiuderla qui, anche perchè sapevamo già cosa ci aspettava a Taurasi la sera stessa, ma all’arrivo del “Maiale con zucca secca e peperoni in conserva”, ci siamo dichiarati prigionieri politici di Pompeo e abbiamo obbedito disciplinatamente alle sue sollecitazioni. Questa è una antica ricetta dell’ Irpinia più alta. La base degli ingredienti, naturalmente è la zucca essiccata, prima al sole e poi davanti al forno tiepido, questo metodo di conservazione era adottato dalle popolazioni del posto per disporre di ortaggi anche nei lunghi e rigidi inverni, da abbinare alla carne di maiale. Il peperone aveva solo la funzione di sgrassare la carne. Piatto eccelso, abbiamo mangiato maiale a ferragosto senza sentire grassezza e pesantezza alcuna. E poi, mi sono sentito almeno trent’anni di meno sulle spalle, quando vivevo un giorno si e l’altro pure a casa dei miei nonni, d’ autunno a preparare la zucca in anelli da essiccare e in inverno a degustare tutti gli innumerevoli piatti della tradizione contadina, a base di zucca e carne di maiale.
Grazie Pompeo!!! Ebbè, a questo punto, essendo “prigionieri”, siamo obbligati a gustare anche il pre-dessert, uno yogurt lucano proveniente dall’azienda Marco Saraceno (quanti amici che ha questo chef, malauguratamente dovesse scoppiare una guerra, avrebbe sopravvivenza assicurata…e che sopravvivenza)!!!
Ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati ai dessert…
Tortino di pane con confettura di arance. Il tortino di pane è una rivisitazione delle antica zuppa di pane raffermo e latte fresco, con l’aggiunta dell’uva passa e la confettura di arance self-made, la tecnica è quella della pastiera di grano. Ottimo il risultato, meglio ancora l’idea!!! In abbinamento, Angela ci coccola con un passito proveniente da uno dei cinque gioielli della famiglia Tasca D’almerita, dalla Tenuta Capofaro il Malvasia 2008 IGT prodotto nell’isola Salina dell’arcipelago delle Lipari.
Solo 5 ettari vitati, allevamento a spalliera, resa 20 qli per ettaro, insomma veramente un gioiellino di dolcezza per niente stucchevole, grazie all’attenta copertura delle uve attraverso la folta vegetazione che preserva bene le bucce dalla “cottura”, si sente tutta l’aromaticità del vitigno e tutto ciò senza che ci sia un elevato titolo alcolometrico, solo 11°…Beh, siamo proprio arrivati alla fine della corsa!!!
Neanche sotto tortura riusciremmo ad ingurgitare alcunchè, ma più che essere pieni, proviamo un senso di appagamento , del corpo, ma soprattutto dell’anima…Aver trascorso tre ore con persone vere, come Pompeo Limongiello e la sua splendida famiglia (ormai anche la bravissima collaboratrice Najia ne fa parte), che si danno tanto da fare per interpretare il territorio, i prodotti e le persone in maniera quanto più possibile fedele alla realtà, ci regala una positività insperata rispetto al definitivo riscatto del territorio altirpino.
Parafrasando la famosa frase di Enrico IV, che per ottenere il trono di Francia si convertì al cattolicesimo, io dico “S.Andrea di Conza val bene… una scorpacciata di chilometri”…aggiungerebbe Pompeo…anche se “non siamo in culo al mondo” !!! ;-))
Ristorante L’Incanto
via Del Municipio,30 S. Andrea di Conza tel. +39 0827 35021
www.ristorantelincanto.it e-mail [email protected]
Sempre aperto
16 Commenti
I commenti sono chiusi.
Nulla da eccepire Lello ma..consentimi, non lo definirei cosi “talebano” visto che con il benvenuto offre il solito maledetto “prosecchino”. Perchè non suggerirgli di accompagnare l’invitante benvenuto con un calice di spumante “nostro”????
Hai ragione Claudio: è stato l’unico punto in cui il buon Pompeo ha toppato
Colpito ed affondato dal Tornatore: e che mi sono perso… :-(((
Complimenti, questa non è una recensione ma un trattato… e mi sa che è proprio il caso di trovarsi a passare per S. Andrea di Conza!
Certo, quel prosecchino grida vendetta ma bisogna pur sempre avere qualcosa in cui migliorare…
Ecco, abbiamo due nuovi iscritti al campionato di “tintori di unghie alle formiche”…;-))
Siano tre
compagnia molto confortante! :-)
Lello, tu mi caschi sul prosecchINO ?
;-)
Caro Lello, anche le formiche, nel loro piccolo, amano il manicure.
Perché prendersela col Prosecco? E con la scelta di servirlo a un tavolo irpino? E’ il raccapricciante diminutivo che pesa, è l’anonimato rispetto agli altri vini che lo penalizza. Forse se si fosse saputo che l’uva da cui è nato è stata raccolta da mani destre di vergini della marca trevigiana in una notte di plenilunio e pigiato dai piedi di infanti di Trevisello di Sopra, visto che le estremità degli imberbi di Trevisello di Sotto son più congeniali per l’appallottolamento del torrone di Trevisello, noto nel mondo per la morbidezza dovuta alla masticazione fine delle vecchiette di Trevisello di Mezzo ebbre del Prosecco maturato nelle botti di castagno della foresta dei Liocorni, che non si vedono perché ci son sempre i tre coccodrilli di razza podolica rigorosamente dell’irpinia, quella subito dietro la curva della casa della zia del cugino di una di quelle bambine emigrate nel lontano Veneto che per prima ha raccolto il primo grappolo di prosecco in quella notte fatata. Ecco, non so perché ho scritto ‘sta stronzata, ma il rischio c’è, il rischio c’è, oh se c’è. Nonostante la stima e l’affetto sconfinato nei confronti di Lello, della sua sapienza e della sua anima irpina: quella dietro la curva, a sinistra del casaro, compare del macellaio che ha sposato in secondo letto la cugina di…. ;-)
Bocca amara stamattina?
No, Fabrizio, nessuno ha nulla contro il Prosecco, ci mancherebbe altro. Quello che viene criticato, bonariamente si intende, è l’uso in molti ristoranti di offrirlo a prescindere, dalla richiesta del cliente, dal gusto e soprattutto dalla possibilità scegliere altro.
Come quando nei bar chiedi l’acqua è ti danno quella frizzante a prescindere
Andare in automatico su questa cosa è un po’ una vecchia eredità degli anni ’80
Questo è tutto
Sicuramente il diminutivo non rende giustizia al Prosecco: non posso farci niente, l’orticaria scatta automatica a sentir parlare di prosecchino o di bollicine… se poi sono addirittura di serie, senza alternativa, poi…
Due piatti fantastici, innovativi nella tradizione: la Carmasciana di melenzane e Lu trieddu, ambedue li conosco bene. Ma la zuppa e’ di un altro pianeta, non di questa Terra, denota profonda sapienza e moderno senso della misura: e’ semplice e perfettamente combinata. Poche volte ho visto la semplicita’ elevarsi a questo livello. “L’Incanto” e’ il nome giusto per questo Ristorante; appena in Italia ci saro’.
Ohhhh…finalmente la discussione è stata riportata sul binario giusto!!! Complimenti per la praticità, greg…,-))
Volevo pubblicamente ringraziare Lello Tornatore, enorme, se mi consentite, voce Irpina.
Pompeo lo conosco personalmente (essendo conterranei). Io amo la cucina e mi diletto, e se abitassi anche a 30, ma anche a 40 Km di distanza andrei da Pompeo almeno una volta al mese con tutta la mia famiglia. Purtoppo vivo a Milano, e mi rendo conto che qui di Km se ne fanno tanti per andare alla ricerca di posti incantevoli come S.Andrea di Conza e ristoranti pregievoli come L’Incanto. La cultura della ricerca del bello (o del buono in questo caso) deve ancora permeare abbastanza in quelle terre fantastiche. Io ho già in programma di andare nel monferratese ad ottobre per una scorpacciata di porcini in un agriturismo scoperto di recente. Sono un’ora e un quarto in macchina da Milano. E con un’ora e un quarto vi spaventate? Per far godere il palato di sapori smarriti va fatto. Altrimenti di che parliamo?