Riviera Ligure di Ponente Vermentino, Sansciaratto 2011 / Feola – Specchio di Vitae
di Fabrizio Scarpato
Il quadro è suddiviso in tre parti, il mare, la roccia, la terra. Tre colori, blu, bianco e verde che fotografano un tratto di costa ligure, le Cinque Terre, ma che potrebbero raccontare qualsiasi altro paesaggio costiero della regione. Il fatto singolare è che sembra non esistere una prospettiva, una percezione dello spazio: i tre elementi hanno uguale risalto, come visti dall’alto. Rappresentano, non descrivono.
Nel bicchiere un Vermentino della Riviera di Ponente: il giallo pallido venato di verde è immediato riferimento cromatico alla terra. E’ un manifestarsi non urlato, quasi timido, un ventaglio che stenta ad aprirsi completamente, lasciando pieghe di pompelmo dolce, forse rosa, e pesca, bianca, e una sventagliata di mimosa, gialla, come quando la respiri appena, sfrecciando lungo la Milano-Sanremo. Lontano, appena avvistata, una virgola d’anice, come un gancio nel cielo.
In Liguria la terra e la roccia tendono ad accatastarsi sul mare, a mettere rughe alla costa, ad affastellare lo spazio, che è scarso per tutto, tanto che non sai mai dove finisce il mare e dove comincia la campagna, quanto mare porti con sé il sasso sotto la terra. Troppo facile un bagnasciuga, gli scogli e il verde: qui entrano uno nell’altro, forse sono un tutt’uno in equilibrio, tanto da perdere l’orientamento, qualunque sia il punto di vista. Il mare, la roccia, la terra. Dal mare, dalla roccia, dalla terra. Dal cielo invece tutto si complica in un perpendicolo accartocciato, da srotolare simbolicamente, come nel quadro.
Ed eccolo il sorso dritto come una lama, una taglienza limata dal frutto, accompagnata da una nota di mandorla dolce, sopraffatta senza pentimenti dal finale amarognolo del minerale. Che sembra quello dell’acqua di fonte piuttosto che del mare, quello della beva di lunghe radici, piuttosto che del sale ventoso. Infatti non c’è vento in superficie, ma il velopendulo in fin di bocca ne è sfrizzolato tanto da chiederne ancora.
Cosa sia poi questa mineralità che i Vermentino si portano dentro, sembra la questione del bosone di Higgs: è dimostrato che c’è, ma raffigurarcelo rasenta l’asfissia amigdalica. Se ciò che avvertiamo sia solo mare, vento, pietra o tettonica a zolle, se dipenda dall’orogenesi piuttosto che da migrazioni naturali di ioni ferrosi e silicei lungo le vene della terra, non è dato sapere e forse poco importa ai nostri pigri palati. Né per questo dovremmo lanciare una bottiglia di Sansciaratto in un acceleratore di particelle del Cern.
Può bastare berlo così, sfrigolante nella sua pur dura timidezza. Quanto alla mineralità mi avvarrei del principio di Indeterminazione di Heisenberg.