L’Aglianicone cilentano al debutto
di Enrico Malgi
Serata delle grandi occasioni quella vissuta il primo febbraio u.s. a Salerno per un duplice rendez-vous, che ha visto recitare nelle vesti di attore principale un vitigno vecchio e nuovo allo stesso tempo ma ancora semisconosciuto, negletto e sottostimato, eppure raro, pregiato e ricercato: l’Aglianicone. Ancorché il grappolo produca effettivamente acini più grandi rispetto al suo quasi omonimo Aglianico, l’Aglianicone è un vitigno a sé stante che è coltivato minimalisticamente in Puglia e in Basilicata. Semmai è stata acclarata una sua affinità col Ciliegiolo toscano e vanta anche una qualche parentela col Montepulciano abruzzese. E’ un vitigno che viene allevato anche in Campania in moderata quantità, laddove viene utilizzato quasi esclusivamente in uvaggio. Anche la Provincia di Salerno è interessata a questo fenomeno e precisamente il territorio dei monti Alburni, ove si coltivano non più di tre ettari di Aglianicone dalla fine degli anni Novanta. E’ comunque un vitigno che ha origini molto antiche se si pensa che, parimenti a quanto accaduto con altre varietà, sia stato portato in Italia meridionale dai Greci.
Accennavo prima al doppio appuntamento con questo vitigno. Ebbene, il primo incontro si è tenuto presso la Camera di Commercio di Salerno, dove sono convenuti alcuni esperti del comparto vitivinicolo per assistere al convegno denominato “E’ tempo di Aglianicone. E’ tempo di degustazione”. I relatori sono stati il prof. Giuseppe Celano dell’Unibas, Università della Basilicata; l’enologo Sergio Pappalardo; il Presidente della Cantina Tenuta del Fasanella Michele Clavelli; Paola De Conciliis dell’azienda Viticoltori De Conciliis e Maria Sarnataro responsabile della delegazione Ais Cilento. Ne è scaturito un dibattito molto interessante e propedeutico, in cui si è posto l’accento sull’ancora scarsa produzione di questo vitigno; sulla sua duttilità; sulle metodologie di lavoro; sulla zonazione; sulle sue ancora inesplorate potenzialità; sulla differenza che intercorre con l’Aglianico; sulle prospettive future; ed infine sulle sue specifiche proprietà organolettiche. In questo contesto, quindi, si è proceduto a degustare tre campioni di Aglianicone in purezza del Salernitano, sotto le direttive di Maria Sarnataro.
La prima bottiglia è stata quella dell’azienda biologica Tenuta del Fasanella con il Paestum Igp Alburno rosso selection 2011. Dopo la fermentazione, il vino ha sostato in acciaio per otto mesi e poi è stato imbottigliato. La gradazione alcolica è arrivata a 13° C. Non contiene solfiti. Il colore risente della giovane età: rubino con bordo venato di violaceo. I profumi sono accattivanti e sanno di frutta matura, gelso rosso, more e ribes. In bocca risulta vinoso e lievemente speziato di pepe nero; è poi secco, morbido e caldo, con tannini piacevolmente suadenti. Chiude con un finale leggermente amaricante.
La seconda bottiglia è il Monteforte 2008 dei Viticoltori De Conciliis. Il vino non è in commercio, perché si tratta di una microvinificazione ancora in fase sperimentale e senza denominazione. Raggiunge i 14 gradi, dopo la sosta in acciaio e due anni di permanenza in barriques di secondo passaggio. Il colore qui già vira verso un rubino più scuro, quasi granata. Al naso salgono intriganti effluvi di marasca e di confettura di prugne. L’attacco in bocca è morbido e caldo con buona acidità che rinfresca il palato. I tannini sono carezzevoli e giudiziosi. Buona spinta finale.
La terza bottiglia è il Canto della Vigna Igt Paestum 2007 dell’Azienda Cantina Rizzo di Felitto, che è stata la prima a mettere in commercio un’etichetta di Aglianicone nel 2004. L’uva è stata raccolta surmatura all’inizio di novembre. Il vino, dopo la fermentazione in acciaio, viene affinato in botti di rovere per due anni. Qui il tasso alcolico arriva fino a 15 gradi C. L’effetto cromatico nel bicchiere è tipicamente rubino, con riflessi purpurei. All’olfatto si presentano schierati per la rivista profumi di violetta, more e ribes. In bocca risaltano modulazioni fruttate e speziate molto persistenti e con accenni alquanto rustici. Il retrogusto è piacevole.
Subito dopo la degustazione tecnica, il secondo happening ha riguardato la visita all’Enoteca Provinciale di Salerno. Qui ad attendere il folto gruppo di esperti ed appassionati, pronti per l’assaggio dei tre vini di Aglianicone, sono stati il Presidente Ferdinando Cappuccio e il produttore ed enologo Bruno De Conciliis. Quest’ultimo, con estrema competenza e semplicità, ha svelato all’uditorio le cognizioni tecniche e sensoriali dei vini in esame.
In conclusione posso affermare che si è trattato di un’ottima manifestazione, che ha suscitato l’interesse e la curiosità di tutti i partecipanti. Alla fine di tutto questo, vorrei provare a porgere alcune domande agli esperti: alla luce di quanto emerso nel convegno, quale futuro attende questo vitigno? E’ conveniente insistere a volerlo coltivare, nonostante le molteplici ed oggettive difficoltà? L’Aglianicone può essere considerato una valida alternativa ai vitigni già insistenti sul territorio provinciale, così com’è successo col Casavecchia ed il Pallagrello nel Casertano nei confronti dell’Aglianico, del Piedirosso e del Primitivo? Per una buona qualità del vino è preferibile vinificarlo sempre in purezza o piuttosto cercare di utilizzarlo come supporto ad altri vitigni? Spero che qualcuno sappia fornire esaurienti risposte…
8 Commenti
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Sicuramente è un fatto positivo avere a disposizione (in commercio) un altro vitigno autoctono per differenziare l’offerta enologica ma non ci dobbiamo aspettare grandissimi vini se è vero che, per i vini rossi di qualità, il rapporto buccia/polpa deve essere a favore della buccia, per l’ Aglianicone succede il contrario.
Mi dispiace che si continui a far confusione… ma di cosa abbiamo parlato allora venerdì?
Il “nostro” Aglianicone vive un caso di omonimia con l’ Aglianicone coltivato in Basilicata e che a sua volta vive un caso di sinonimia con il Ciliegiolo. Dunque l’Aglianicone degli Alburni e del Calore Salernitano è una varietà a se ed imparentata con l’ Aglianico. Nonostante abbia un rapporto buccia/polpa più basso rispetto a quest’ultimo, nei vini a parità di condizioni si riscontrano più antociani, polifenoli ed estratto. Non ho dubbi che sia il vitigno bandiera del futuro Cilento-Alburni enoico e non a caso da anni stimolo a piantarlo. Peccato che nel territorio della DOP Castel San Lorenzo, dove esiste l’unica specifica ad Aglianicone, non sia considerato dai produttori.
SE fosse vero, e non ne dubito perche’ questi testoni dei produttori lo hanno tralasciato sin quasi all’oblio?
La vicenda della doc Castel San Lorenzo non è altro che l’unica sconfitta subita dalla viticoltura campana in questi venti anni, l’unica zona che non ha progredito ma arretrato.
Il motivo è nella scelta del vitigno, la Barbera. Neanche la Barbera del Sannio che non è Barbera, ma proprio la Barbera. Quindi ogni volta che si doveva parlare di questo vino bisogna prima spiegare che cosa non si era.
La enorme presunzione era sostenuta da finanziamenti pubblici a pioggia che hanno dopato la Cantina sociale vino a farla implodere, ma ormai il danno era fatto
Su un settimanale locale anni fa mi permisi appunto di scrivere che bisogna puntare sull’Aglianicone e il presidente della Cantina poi fallita mi rispose via legale dicendo che la Barbera la facevano meglio dei piemontesi e che io attaccavo il territorio offendendo la bravura dei viticoltori.
Cosa dire? Oggi piccoli viticoltori provano la rinascita di questo vitigno e noi li seguiamo con passione ma sarà molto difficile recuperare il ritardo.
Però chi paga per i danni fatti ad un territorio bellissimo, incontaminato, dove vite e olivo avrebbero potuto dare tanta ricchezza a tutti?
Davvero triste il ricordo della cantina sociale.Tanti anni fa, ma tanti, da neopatentati andavamo a fare pic nic nelle gole del Calore e la tappa fissa era alla cantina per prendere il lambiccato che messo nel fiume raggiungeva la temperatura perfetta…..un brutto giorno trovammo chiuso….e se ne è andato un altro ricordo gastronomicamente felice.La rabbia che provo dinanzi all’ottusità di certi produttori cilentani è indescrivibile….uno dei territori più ricchi d’Italia arranca mentre potrebbe essere d’esempio.
ahimè ho un brutto presentimento rispetto al cilento.ogni anno che passa vedo più cemento e meno terra,più yacht e meno mare!!!il boom turistico scoppiato dopo il film di bisio/siani ha fatto muovere i soliti avvoltoi
Vgliamo ricordare anche il nome e i nomi ?
Cosi’, tanto per ricordarci qualche “memorabile” barbera del Cilento che gelosamente ognuno di noi custodisce i cantina’ (le mie devono ancora evolvere,sto aspettando il momento giusto).Prosit.
Grazie a luciano per essere stato dal primo istante ambasciatore dell` aglianicone….cogliendone anche la sfida a vinificarlo….e` stato l` unico a formulare anche l`ipotesi di una ri- conversione di un terrotorio , la Val Calore, che viveva un declino….il suo appello non fu compreso….e’la chiave giusta per ripartire……
Grazie luciano…..di aver svolto il ruolo di promotore quando c’era appena un solo vigneto sperimentale….Grazie x averci creduto…..!!
A te il ruolo di ambasciatore, a gianvito e a bruno de concilis e cantine del fasanella la sfida imprenditoriale di continuare a vinificarlo con dedizione e amore per il territorio…..
Mrosaria Capozzoli