Il Cirò è patrimonio di tutti gli amanti del vino, non dei mercanti o degli enologi


Grappoli di Gaglioppo

Questa settimana non ho voglia di proporre un vino. Sarà il rientro, sarà per quel che sarà, sono un po’ arrabbiato. Un po’? Un po’ tanto.

“Il cibo ed il vino secondo Carlo Macchi, Luciano Pignataro e Franco Ziliani.
Ogni lunedì, i tre blog di Vino Igp (I Giovani Promettenti) offrono ai loro lettori un post scritto a turno dai giornalisti
Carlo Macchi, Luciano Pignataro e Franco Ziliani”.

La doc Cirò è una delle più antiche d’Italia e le origini vitivinicole di questa stupenda area della Calabria si perdono nella notte dei tempi, tanto che qualcuno sostiene che proprio da qui venisse il vino offerto ai vincitori della Olimpiadi. Quelle dell’antica Grecia, intendo.

Ma a parte queste balle suggestive, il punto è un altro.

La maggioranza degli iscritti al consorzio ha proposto e ottenuto la modifica al disciplinare: d’ora in avanti il Cirò potrà essere fatto anche con uve internazionali, oppure con il sangiovese o qualsiasi uva a bacca rossa purché autorizzata. Se non ci saranno opposizioni alla bieca decisione del Comitato Nazionale Vini entro il 12 settembre

 

Vignetì a Cirò (Foto Franco Ziliani)

Sarebbe come dire che si può vendere come latte fresco anche quello con un’aggiunta di cioccolata o di caffè.

Nessuna legge vieta di lavorare a blend nei quali ci siano uve autoctone o internazionali, c’è il Calabria igt nel quale si può fare tutto in tranquillità.

Ma questo non basta agli enologi dalle troppe consulenze che non hanno il tempo di studiare bene come valorizzare il gaglioppo. Forse non lo sanno neanche fare.

E non basta a quelle aziende, a nostro giudizio folli, le quali inseguono modelli produttivi totalmente superati in Italia ormai da almeno cinque anni.
Vogliono, costoro, stravolgere il Cirò.

Con la motivazione che molti lo fanno già e non lo dichiarano. Oppure che il Gaglioppo è uva da quattro soldi

L’Italia dei condoni? L’Italia dell’illegalità: dovrebbe essere il Consorzio ad intervenire, se ha notizie precise con nomi e cognomi.

Noi sappiamo di vini straordinari ottenuti da solo Gaglioppo. Ci vuole tempo, passione, attenzione.

E poi, se davvero fosse così, perché quando fu scritta la doc gli stessi produttori vollero che l’unica uva usata fosse il Gaglioppo?

La nostra non è ripulsa ideologica conservatrice, ma vera e propria amarezza di fronte a tanta stupidità commerciale. In un mondo globale in cui è importante distinguersi, specializzarsi, ritagliarsi nicchie di pregio artigianale, la via di uscita alla crisi individuata consiste nel mettersi a fare concorrenza alle multinazionali del vino capaci di arrivare sul mercato a prezzi ben più concorrenziali.

Chiunque è libero di suicidarsi, ma non può costringere gli altri a farlo.

Ritengo che il Cirò appartenga a tutta l’Italia vitivinicola. Il Cirò è anche mio, deve essere dei giovani e delle future generazioni. Non abbiamo bisogno di altri vini-mostri, ma di vini espressione di territori ricchi di tradizioni non inventate dagli uffici marketing.

E non mi interessa se con il Gaglioppo non si può fare il vino più buono del mondo.
A me basta che sia unico.

Luciano Pignataro

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11 Commenti

  1. Caro Luciano , ma come si fa a non essere in accordo con quanto da te scritto! E’ semplicemente scandaloso e alla luce di questa”stupidità commerciale” , tutti gli amanti del buon bere dovrebbero privarsi di degustare questo “nettare”, che rappresenta un compendio di Storia,territorio,cultura e tradizione.Alla faccia dei vitigni autoctoni!! mi fermo perchè sono inc….to nero! Cordialità

  2. Ma come è possibile? Perché la gente è così ottusa. Mi ricordano quelli che levano le case antiche dai centri storici per mettere il cemento

  3. Condivido in pieno le tue osservazioni in merito!! Grazie al mercato globalizzato, veicolo del consumismo più becero, ormai assistiamo continuamente alla mercificazione della qualità (bassa) e della manipolazione (e spesso scomparsa) delle nostre tradizioni più peculiari. Il tutto avviene sotto i nostri occhi e con l’immobilismo (se non con la complicità) degli organi preposti alla tutela della nostra cultura ( …e ne abbiamo da vendere!). Ovviamente dovrei citare anche i successi ottenuti da molti ns prodotti grazie ad un marketing illuminato ed incisivo …ed allora una lungimiranza da una parte ed una cecità dall’altra….. cui prodest?

  4. 2 cose mi vengono in mente in questo momento di grande dibattito intorno al Cirò:

    – da una parte che i “vecchi” del Cirò, quelli che vogliono la modifica del disciplinare intendo, andrebbero aiutati a capire: se ad un calabrese gli dai di stupido lo autorizzi ad intestardirsi ancora di più. Siamo così: assurdi e difficili come il gaglioppo.
    Dovremmo infilare in una macchina 3 o 4 persone e portarli fisicamente a fare un giro dove sappiamo noi, dove le cose stanno andando nella direzione opposta e mostrargli che quella è l’unica strada percorribile.

    – dall’altra che se passa il nuovo disciplinare bisognerà incentivare la nascita di un gruppo di “conservatori” che gli fanno il mazzo tanto sul prodotto e soprattutto sulla commercializzazione (cosa che già avviene).

  5. Non conosco la situazione calabrese, mi tengo sul discorso generale: come non essere d’accordo con la difesa dell’identità di un vino, che è anche identità di una gente, di una regione. Ma attenzione ai perversi effetti della nostalgia: non è possibile che tutto resti fermo, anche il sistema vino deve muoversi, mutare, esporsi. Guai a ritagliarsi uno spazietto confortevole ma morto dentro la semplice tradizione.
    Credo che approvare quel disciplinare sia semplicemente stupido, degenerazione di chi non ha capito che il cambiamento non passa né dagli scimmiottamenti, né da scorciatoie culturali: ma un cambiamento, una visione dinamica anche del Cirò deve essere accettata, pena la sua fine.
    Quindi occorre guardare a tutti i mezzi, tutte le possibilità, tutte le fatiche culturali, tecniche, enologiche che consentano di far vivere un vino senza scorciatoie ormai appassite. Se come dice Gagliardi esistono dei conservatori, tra virgolette, che hanno intrapreso strade pià adatte ai tempi, immagino rispettose della tradizione ma che da lì si muovono per andare nel mondo prendendo ciò che serve e rinunciando a ciò che non serve, beh questi sono i veri contemporanei. Come sempre nei momenti di passaggio anche culturale, c’è sempre qualcuno che vede più in là, che pensa a salvaguardare il passato guardando al futuro.

  6. Sono amareggiato dalla vittoria della globalizzazione sulla tipicità territoriale. Ma me l’aspettavo. La prima è infinitamente (economicamente) più forte della seconda. E’ uno scontro impari. Possiamo solo augurarci che ci sarà sempre qualche vignaiolo (degno di questo nome) capace di andare controcorrente e di proporre un Cirò sempre fedele al suo lignaggio, rispettoso di quei sacrosanti e tradizionali canoni della qualità, che sono stati diabolicamente sacrificati sull’altare della insana globalizzazione.

  7. Estrapolo solo due punti del comunicato stampa pubblicato dal Consorzio Vino Cirò e Melissa :

    ” L’art. 5 prevede che l’imbottigliamento dei vini Cirò rosso, rosato e bianco debba essere effettuato all’interno delle zone di produzione. Ad oggi, è possibile trovare sugli scaffali dei vini Cirò imbottigliati in altre regioni d’Italia o addirittura all’estero, con marchi di fantasia a prezzi a dir poco offensivi per il nostro territorio e tutto il lavoro che sta dietro una bottiglia di Cirò. Limitare l’imbottigliamento alla zona di produzione non significa porre dei limiti al libero mercato bensì evitare pure speculazioni commerciali sul nome del Cirò, nonché garantire al consumatore finale una più probabile autenticità del vino in bottiglia.”

    ed ancora :
    È previsto un allargamento facoltativo, e sottolineiamo facoltativo, della base ampelografica dei vini Cirò rosso, rosato e bianco ad altri vitigni autorizzati e raccomandati per la regione Calabria per un massimo del 20%. Le uve dovranno pervenire esclusivamente da vigneti situati nell’area della doc e non da fuori regione come qualcuno in mala fede afferma. Ciò significa che una vigna del Cirò potrà, e solo se il viticultore vorrà, essere composta da minimo un 80% Gaglioppo e massimo un 20% di altri vitigni consentiti. Allargare la varietà dei vitigni a quelli raccomandati dalla regione Calabria non significa aprire le porte agli internazionali, bensì ad altri vitigni autoctoni (a bacca nera: Calabrese, Castiglione, Greco nero, Magliocco canino, Marsigliana nera, Nerello cappuccio, Nerello mascalese, Nocera, Prunesta e altri; a bacca bianca: Guardavalle, Guarnaccia, Incrocio Manzoni 6.0.13, Malvasia bianca, Montonico bianco, Moscato bianco, Pecorello e altri) già iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, e a tutti quei vitigni (Infarinata, Pedilongo ecc.) che verranno catalogati in seguito alle ricerche finanziate dalla regione Calabria svolte dall’azienda Librandi.”

    Se cosi’ dovesse essere mi sembra che tutto ciò ci debba far riflettere pacatamente, senza preclusioni di sorta. Mi chiedo e Vi chiedo :
    se quei vitigni calabresi, rigorosamente di territorio ed altrettanto autoctoni 100%, ora ammessi in aggiunta al gaglioppo, andassero a migliorarne la qualità finale, dove sarebbe lo scandalo ??

    1. Anche qui Gatti? Lei continua a spargere notizie senza avere cognizione di causa.

      Lei lo sa che nella famigerata assemblea del 26 Giugno 2009 (io c’ero) l’art. 5 e cioè l’imbottigliamento fuori zona è stato bocciato? Evidentemente non lo sa, ma ne scrive ugualmente.

      Lei lo sa che le analisi organolettiche allegate alla richiesta di modifica sono state fatte considerando tagli di gaglioppo e cabernet? Evidentemente non lo sa. ma ne scrive ugualmente.

      Ricordo benissimo il lapidario commento di Luciano Pignataro a quel comunicato stampa

      “Condividiamo il ragionamento del presidente Cianciaruso e lo sottoscriveremmo in pieno solo se ad esso si aggiunge una postilla, condivisa del resto anche da coloro che hanno lanciato l’appello: discutiamo pure delle modifiche, a patto che sia esclusa esplicitamente la possibilità di inserire nel Cirò qualsiasi vitigno internazionale (l.p.)”

      Quella postilla non è stata inserita. chissà perchè.

  8. Nessuno scandalo: basterebbe escludere esplicitamente i vitigni non calabresi.
    Ma il punto è che si vuole invece mettere merlot e cabernet pensando che così il vino migliora. Invece è destinato a peggiorare
    Quanto al restrimgimento nella sola area della doc. Era strano che prima non fosse così. Non c’è alcun nesso con l’allargamento dell’uva.
    Qua è una idea di vino che si afferma: la enorme presunzione di fare vini migliori a prezzi più bassi di multinazionali che hanno le vigne in romania o in Cile invece di coltivare l’ambizione di fare una cosa unica e irripetibile.
    Io berrò e scriverò solo di Cirò che esplicitamente dichiarano solo Gaglioppo.
    L’unico blend che per me vale la pena di raccontare in calabria è il Gravello di Librandi.

  9. Mmmm…. mettiamoci d’accordo. State dicendo due cose abbastanza diverse, mi sembra. Aggiungerei : non sarà che, se anche gli internazionali sono ammessi, alla fine, se costa meno coltivarli, saranno i soli a disposizione, con buona pace del nerello mascalese, per dire.
    Aggiungo anche che se veramente si parlasse solo di autoctoni, beh il loro uso, associato a tecniche di coltivazione e di cantina, nonchè ad una commercializzazione con idee nuove, potrebbe essere una di quelle vie dinamiche e fresche cui accennavo prima. Certo che tutto poi sarebbe all’ennesima potenza per un Cirò in purezza, eccetera eccetera.

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