I segreti della caprese
Dalla insalata caprese alla torta caprese, una metafora circolare vichiana. L’inizio e la fine di un pasto oppure, con i tempi che corrono, il grande successo di uno spuntino a pranzo e di un piacevole intermezzo pomeridiano in piazzetta. Il giorno e la sera, il mare e il bosco, la velocità e la lentezza, la semplicità e la complessità, l’estate e l’inverno. Tutto nell’Isola.
Mozzarella e pomodoro sono un perfetto effetto di fusion ma dopo secoli di indifferenza hanno potuto celebrare il loro matrimonio solo all’ombra del Vesuvio, terra di commerci frenetici strillati, imbrogli, scambi e piccoli colpi messi a segno per guadagnarsi la giornata. Terra di bufali e di pomodoro.
In verità l’amore a tavola li vede insieme in tutte le stagioni, quando sono consumati freschi, appena scottati sulla pizza, oppure con la pasta alla sorrentina. Ma persino le grandi multinazionali del gusto piallato e indecente giocano spesso ad abbinare quel che resta di un pomodoro trattato alla loro maniera e l’idea di mozzarella dalle origini industriali misteriose. E questo abbinamento prosegue fino alla fine, quando un pomodoro secco ben si abbina nelle ricette ad un formaggio stagionato.
Il motivo di questo amore a prima vista è molto semplice, l’acido del pomodoro venuto dalla lontana America, inizialmente considerato velenoso e poi usato come pianta ornamentale, ben contrasta con il grasso del formaggio e della mozzarella in particolare. Infine il basilico, anche grazie al suo effetto mediterraneo, rilassante, soddisfa il naso, lo distrae e pulisce il palato. Mangiati separatamente, la mozzarella e il pomodoro possono stancare, arriva il momento di dire basta. Insieme invece sono un piatto da manuale, rotondo, ed è in questa autoreferenzialità anche la difficoltà di abbinamento col bicchiere: qualsiasi vino rompe infatti l’equilibrio perfetto raggiunto da questa fusion artigianale, vera e non cerebrale.
Difficile immaginare l’Italia senza la Toscana, ma la cucina italiana senza la tradizione partenopea sarebbe un insieme di gastronomie regionali. Dalla fame metropolitana lunga cinque secoli e dalla grandezza di una aristocrazia abituata a scialare sono nati i piatti nazionali e la margherita con i tre colori del cuore risorgimentale ne è l’esempio plastico.
Si diceva del matrimonio. All’inizio del ‘900 proprio a Capri l’insalata di pomodoro e cacio, non possiamo parlare ancora di mozzarella, sale alla ribalta mediatica grazie alla circolazione nei vicoli dell’Isola di un gran numero di intellettuali, sfaccendati, ricchi e curiosi sfornati da tutto il mondo occidentale e giunti qui in cerca di azzurro per sfuggire alla depressione delle loro città moderne e grigie. Nasce così la caprese, uno stile esistenziale di vita a tavola quando ancora non c’era l’ossessione moderna delle calorie, piaceva anche agli inventori della cucina futurista in guerra con la pasta. Il piatto, un crudo ante litteram, stacca dalle cotture lunghe, il sapore è semplice ma complesso, intenso, persistente, ed è sicuramente una delle scoperte del Ventesimo secolo, semplice e importante come quella della ruota, talmente naturale da pensarla eterna, creata dal Signore assieme a tutto il resto.
Passano i decenni e con il turismo di massa la caprese cessa di essere un piatto cru di Capri e della Campania per diventare patrimonio di tutti, un modo per sognare il Mediterraneo anche quando si è costretti ad un panino rapido nelle strade. Il boom nella ristorazione pubblica, persino negli infernali grill autostradali e aeroportuali dove la biodiversità è bandita in nome dell’asetticità e del profitto, arriva così negli ultimi quindici anni quando al pomodoro viene affiancato non più o non solo il fiordilatte ma la mozzarella di bufala, il latticino a pasta filata da sempre presente nell’Aversano e nella Piana di Paestum che però conosce il successo solo dopo il conseguimento della dop verso la seconda metà degli anni Ottanta. Una novità anche per Capri e per gran parte della Campania, abituata al fiordilatte. Il latte di bufala è più saporito, più vero e interessante, di quello di mucca e la mozzarella, il nome deriva da una fase della lavorazione, quando cioè il casaro <mozza> la pasta per dare forma al latticino, è più forte delle imitazioni industriali. E’ successo insomma proprio come il limoncello: la grande industria ha provato a riprodurla, ma la sua unicità è nell’essere un prodotto di terroir, artigianale, e il consumatore attento non si è lasciato abbindolare facilmente quando con il termine mozzarella sono stati indicati anche altri tipi di formaggi a pasta filata.
Quali i segreti di una buona caprese? Ognuno ha i suoi, ma noi abbiamo convinzioni non facilmente confutabili. In primo luogo la mozzarella deve essere grande, un pezzo da almeno mezzo chilo perché la qualità del sapore è direttamente proporzionale alle sue dimensioni. Può sembrare strano o maniacale, ma è lo stesso motivo per cui il prosciutto regala sensazioni diverse se tagliato a fette sottili o doppie. Sono sfumature che gli hilteriani pazzi delle multinazionali del gusto non potranno mai capire fino in fondo. I bocconcini, per capirci, non sono indicati. Poi il pomodoro non deve essere né acerbo, né troppo maturo: deve avere cioè il sugo ma conservare una certa consistenza sotto i denti. Va tagliato con un po’ di anticipo e deve perdere il fastidioso freddo del frigorifero, l’obitorio del cibo, salato leggermente e girato in una zuppierina per far cacciare il sugo. Se volete, ma non è necessario e a me non piace perché ruba un po’ la scena in bocca, si aggiunge un filo di olio extravergine d’oliva. Quando è venuto il momento di mettere insieme l’insalata, il sugo del pomodoro e il il latte della mozzarella servono a legare il piatto ed anche in questo caso serve il giusto mezzo: la ricetta non vuole essere né asciutta né però i pezzi devono galleggiare nel liquido. Infine è il momento del basilico, tagliato rigorosamente a mano e non con il coltello perché rischiate di rovinate il tutto. Non va mai sostituito con l’origano che è troppo invasivo, per questo sta bene con il solo pomodoro ma in un abbinamento così equilibrato e perfetto diventa primo attore. Da consumare dopo un quarto d’ora, senza pane. Sono contrario all’olio d’oliva e, a maggior ragione al pepe, alle olive e a tutte le altre varianti, perché il vero segreto della caprese è l’esaltazione della freschezza dei prodotti, il loro stare insieme è una reciproca compensazione naturale e il buongustaio gode del pomodoro di orto come della creazione del bravo casaro nello stesso momento.
English
From the Caprese salad to the Caprese tart – a circular metaphor worthy of De Vico. The beginning and the end of a meal or, in faster-moving times, a great recipe for a light lunch or a pleasant afternoon snack in the Piazzetta. Day and night, land and sea, fast-paced or leisurely, simplicity and complexity, summer and winter – it’s all there on the Island.
Mozzarella and tomato create a perfect fusion effect but after centuries of indifference they have managed to celebrate their marriage only in the shadow of Vesuvius, where buying and selling is a noisy bustling business: tricks, barter and small victories scored in earning one’s daily bread in the land of buffaloes and tomatoes. Food lovers can find them together in all seasons, when they are eaten fresh, barely cooked on pizza, or with pasta alla sorrentina. But even the big multinationals with their shockingly poor ideas of taste often play at combining what remains of a tomato after they have processed it and the shadow of a mozzarella produced by some mysterious industrial process. The combinations are many, right up to the extreme case of dried tomatoes that go so well in recipes with mature hard cheeses. The reason for this love at first sight is very simple: the acid of the tomato brought from the distant Americas, initially considered poisonous and then used as an ornamental plant, contrasts well with the fat in cheese, especially mozzarella cheese. The relaxing Mediterranean effect of basil satisfies the nose, distracts and cleans the palate. Eaten separately, we quickly tire of mozzarella and tomato and say enough. But together they make for a perfectly balanced dish, and the problem of what to drink with it arises from this self-referential quality: whatever wine you choose upsets the perfect balance of this simple but authentic and most uncerebral fusion.
It is difficult to imagine Italy without Tuscany, but Italian cooking deprived of the Neapolitan tradition would be reduced to a group of national cuisines. From this city with its centuries-old reputation for being hunger-stricken and the greatness of its aristocracy used to squandering its wealth come Italy’s national dishes, especially the exemplary Margherita with its three colours that hark back to the Risorgimento. But we were talking about marriage. At the beginning of the twentieth century Capri’s tomato and cheese salad (mozzarella was not yet in use) came into the limelight thanks to the large number of idle, rich and curious intellectuals wandering the lanes and byways of the island. They had arrived from all corners of the Western world looking for a patch of blue to escape their depressingly grey modern cities. And so the “Caprese” was invented, an existential eating style when there was as yet no modern obsession with calories. The inventors of the futurist cuisine waging war on pasta also liked it. Based on uncooked ingredients before raw food was fashionable, the Caprese marked a break with long cooking times. The flavour is simple but complex, intense, persistent, and surely one of the discoveries of the twentieth century, as simple and important as the wheel, seeming so natural as to have always existed, created by God along with everything else.
As the decades passed and mass tourism arrived the Caprese was no longer exclusive to Capri and Campania but belonged to everyone. It became a way of dreaming about the Mediterranean, even when you only had time to grab a sandwich on the move. The past fifteen years has seen a boom in public catering that has spawned infernal motorway restaurants and airport cafés where biodiversity is banned in the name of clinical décor and profits. And the tomato is no longer, or not only, coupled with fiordilatte(cow’s milk mozzarella) but mozzarella di bufala(buffalo milk). The home of this cheese made from spun curds has always been in the Aversano and the Plain of Paestum, but it only became famous after the introduction of the protected designation or origin (DOP – denominazione di origine protetta) in the mid 1980s. This marked a new departure for Capri and much of Campania, where they had been used to Fiordilatte. Buffalo milk has more flavour, is more authentic and interesting than cow’s milk. Mozzarella (its name derives from a stage in the cheese-making process when pieces are broken off or “ mozzati” from the main mass of curds), was more than able to withstand the industrial imitations. It was the story of limoncello all over again: industrial concerns tried to reproduce it, but its unique character lies in the fact that it is a local product produced on a small-scale, and the discerning consumer was not to be taken in so easily when other types of “strung cheese” were called mozzarella.
What is the secret of a good Caprese?
Everyone has his or her own special tips, but we have a few principles that are difficult to refute. In the first place the mozzarella has to be big – at least half a kilo – because the quality of the flavour is in direct proportion to its size. It may seem strange or obsessive, but it is similar to the argument about the flavour of prosciutto varying according to whether it has been cut double-thick or wafer thin. These are nuances the crazy food multinationals will never really fully understand. And no, bocconcini(miniature mozzarellas) just won’t do. The tomatoes must be neither too sharp nor over-ripe: they should be juicy but the flesh should be firm when you bite into it. They should be prepared in advance and given time to lose the awful chill of the fridge, which is death to food. They should be lightly salted and mixed in a small bowl to release their juices. If you want, but it isn’t necessary and I personally don’t, because the flavour can be a bit too up front in your mouth, you can add a trickle of extra-virgin olive oil. When the time comes to put the salad together the tomato juices and mozzarella milk help to bring together the flavours in the dish. Here too, the right balance is important: the dish should be not be too dry, but nor should it be swimming in liquid. Finally it is time to add the basil, which must be torn by hand and not chopped with a knife or you risk ruining everything. It should never be replaced with oregano which is too overpowering. Oregano is fine with tomatoes on their own but in such a balanced and perfect combination it tends to overpower the other flavours. It should be eaten, without bread, after it has been left to stand for fifteen minutes. I am against using olive oil and even more against the addition of pepper, olives and all the other variations, because the true secret of the Caprese is the freshness of the ingredients. The combination of flavours in the freshly-picked tomato and the master cheese-maker’s produce make for a natural and perfect balance.
Pubblicato su Capri Review n.21, giugno 2004