Garantito IGP – Assaggiando la storia. Vini (prefillosserici?) in degustazione
di Lorenzo Colombo
Nella prefazione del “Catalogo dei vini del mondo” edito da Mondadori, nel 1982 e curato da Luigi Veronelli, le prime parole del curatore (Veronelli) sono “1000 vini scelti con la puntuale (e sofferta) volontà del meglio”.
Ebbene, tra i vini italiani, spicca, a pagina 332 il “Villa Era – d.o. Spanna di Vigliano”.
Relativamente all’invecchiamento di questo vino, Veronelli scriveva “…particolari annate giungono, in ascesa, sino a tardissima età”.
Tornando ancora più indietro negli anni, Mario Soldati, nel suo primo viaggio “Alla ricerca dei vini genuini” dell’autunno 1968, riportato nel suo famoso libro “Vino al Vino”, scrive del “Mesolone” –prodotto con uve provenienti dalla collina della Mesola, nel comune di Brusnengo, nel Biellese- (60-70% Nebbiolo, 40-30% Bonarda e un po’ di Vespolina) raccontandone la modalità produttiva e descrivendolo con queste parole” Il Mesolone è un vino estremamente simpatico: proprio per il suo carattere medio, passante, corposo, serio, sì, ma non troppo impegnativo”. E poi ancora “…il Mesolone è un vino da festa, da chiasso, da grande e allegra mangiata…”.
Cita poi naturalmente i più conosciuti Lessona e Bramaterra bevuti a casa di Venanzio Sella.
Ancora più indietro nel tempo, sul volume “Vini Tipici e Pregiati d’Italia”, scritto da Roberto Capone ed edito da Editoriale Olimpia, nel maggio 1963, ovvero prima dell’avvento della prima legge sulle denominazioni (DPR 930, del 12 luglio 1963), tra i vini “degni di nota” vengono citati tra gli altri il “Masserano”, il “Mesolone di Brusnengo”, il “Chiaretto e il Rosso rubino di Viverone”.
Questa lunga (e ci auguriamo non noiosa) premessa serve ad inquadrare la particolarissima, rarissima e riservatissima degustazione (termini assolutamente non esagerati) alla quale siamo stati invitati (meno d’una ventina i partecipanti, tra cui unicamente due italiani) durante la quale un vino di Villa Era è stato messo alla prova della sua durata nel tempo.
L’annata del suddetto vino era la 1908 (avete letto bene), e tra l’altro non era neppure il più vecchio di quelli che ci attendevano in degustazione.
La vetusta batteria comprendeva infatti anche un paio di vini di fine ottocento (probabilmente prefillosserici – la Fillossera in Piemonte è infatti arrivata nel 1879), proponendo le seguenti annate: 1889, 1891, 1904, 1908, 1921, per giungere poi ai “giovanotti” del 1961, 1964 e 1973.
I vini, dei quali ovviamente non erano disponibili molte informazioni -si presume comunque prodotti in buona parte con uve Spanna (nome locale del Nebbiolo)- provenivano da quattro aziende appartenenti all’Associazione Colline Biellesi: la già citata Villa Era, Castello di Montecavallo, Centovigne (Castello di Castellengo) e la più famosa Tenute Sella.
Attualmente l’Associazione Colline Biellesi, nata nell’autunno 2015, comprende 17 aziende, e tra i vari progetti in cantiere ha quello di creare una denominazione dove venga citato il termine “Biellese”.
L’insolita e straordinaria degustazione si è tenuta a margine dell’evento “Assaggio a Nord-Ovest”, il 19 novembre scorso, presso Villa Era, a Vigliano Biellese.
Villa Era, costruita tra il 1884 e il 1888 per i Magnani, famiglia di impresari edili della Valle Cervo, su progetto dell’architetto Petitti di Torino, è un’imponente e monumentale (ma al contempo) leggiadra struttura formata da un corpo centrale dotato di portico e loggiato sopraelevato al quale s’accede tramite due rampe di scale che la collegano ad giardino e sorge adiacente alla settecentesca struttura originaria, con la cantina, i locali di lavorazione delle uve e la torretta.
Impressionante la cantina storica, aperta, in occasione di questa storica degustazione unicamente per noi, dove si trovano moltissime bottiglie di fine ottocento ed inizio novecento sull’etichetta delle quali spicca il luogo di produzione “Vigliano”, un anticipo di quello che saranno le future denominazioni d’origine.
Nel 1935 la proprietà venne acquistata da Ermanno Rivetti, industriale tessile biellese, alla cui famiglia ancora appartiene.
Prima di passare alla degustazione volevamo fornirvi alcune sintetiche informazioni sui vini del biellese, zona un tempo assai vitata (in una relazione datata 1777 si parla una superficie vitata complessiva pari a oltre 4mila ettari, questi vini raggiungono la loro massima fama nel 1870, quando Quintino Sella, allora ministro delle Finanze, brinda all’unità d’Italia – dopo la presa di Roma – con lo Spanna prodotto nella sua tenuta di Lessona (che da allora si fregia della definizione di ‘Vino d’Italia’).
La decadenza della viticoltura era comunque già iniziata alla fine del ‘700, quando con l’avvento dell’industria tessile molti contadini abbandonano le campagne per andare a lavorare in fabbrica; con l’arrivo della fillossera nel 1880 -che distrugge la quasi totalità dei vigneti- arriva poi la botta finale.
Attualmente sono 271 gli ettari vitati nella provincia (dati ISTAT relativi al 2015), per una produzione stimata di circa 30.000 q.li d’uva, suddivisi tra 437 aziende (dati del censimento 2010).
Veniamo dunque ai vini, citandoli in ordine di servizio, fatto alla “francese”, ovvero partendo da più vecchio per giungere al più recente, e serviti dopo decantazione.
Eccoli:
1889 – Centovigne (Castello di Castellengo)
Rosa aranciato pallidissimo, quasi incolore. Centoventisette anni sono tantissimi, per qualunque vino.
Discreta la sua intensità olfattiva, esprime sentori di distillato, oltre a presentare, ovviamente, note maderizzate.
Nonostante l’ovvia ossidazione e maderizzazione il vino ha una salinità impressionante e una lunghissima persistenza.
1891 – Castello di Montecavallo
La grande ed inaspettata sorpresa, un vino senza tempo, dotato d’una freschezza a dir poco impressionante.
Il colore è giallo-aranciato, scarichissimo, ovviamente.
Intenso al naso, balsamico, con sentori di fiori secchi e d’agrumi, decisamente elegante.
Ma il miracolo si ha alla bocca, che esprime all’inizio un sapore assai piacevole ma quasi indefinibile, con una spiccata vena acida, si colgono poi note d’agrumi, di succo d’arancio soprattutto, di canditi, pare infine che, curiosamente, abbia un certo residuo zuccherino.
Un vino emozionante, incredibile pensare che abbia più di centovent’anni.
1904 – Centovigne (Castello di Castellengo)
Con questo vino si cambia secolo. Cambia anche il colore, granato-aranciato, naturalmente molto scarico.
Intenso al naso, dove l’ossidazione ci riporta a sentori di frutta secca.
Ossidato certamente, anche un poco amaro, ma dotato di una spiccata vena acida ed una netta nota sapida.
1908 – Villa Era
Color aranciato-mattonato scarico, presenta una leggera nota velata.
Intenso al naso, elegante, esprime sentori di tamarindo.
Intenso anche al palato, sapido, si percepiscono note di rabarbaro e china. Chiude un poco amarognolo.
1921 – Sella
Color granato, unghia aranciata.
Intenso al naso dove presenta decisi sentori chinati e di caramella al rabarbaro.
Decisamente sapido al palato, con note chinate, chiude un poco amaro su lunghissima persistenza.
1961 – Sella
Il color granato di media intensità, con unghia mattonata, ci indica un vino ben più giovane dei precedenti.
Intenso al naso, dove presenta note terziarie che rimandano al cuoio ed al tabacco, presenti ovviamente anche sentori ossidativi.
Tannico al palato, di un tannino impressionante per l’età del vino, anche se un poco amaro.
1964 – Villa Era
Color aranciato scarico con unghia mattonata.
Al naso si coglie un intenso sentore di silicone fresco e di spunto acetico.
E’ l’unico vino della batteria dove i batteri acetici sono intervenuti pesantemente. Peccato.
1973 – Castello di Montecavallo (Nebbiolo-Spanna)
Color granato di media intensità, unghia aranciata.
Intenso al naso, dove presenta sentori di cuoio e note animali.
L’ossidazione è percepibile al palato, dotato di una trama tannica importante anche se vira un poco su note amare.
Conclusioni: una degustazione emozionante, che onestamente non avremmo mai pensato di poter fare, avevamo già assaggiato in precedenza vini vetusti, sino a spingersi, anni fa, su un vino centenario, prodotto nel 1910 e degustato (bevuto per la verità) nel 2010, ma si trattava di un vino liquoroso, in questo caso invece eravamo di fronte a normali vini da pasto, certamente non pensati per simili invecchiamenti, ma il miracolo probabilmente deriva in parte dal vitigno (Nebbiolo) ed in buona parte (almeno noi pensiamo) da tecniche enologiche se vogliamo ancora rudimentali, che non prevedevano però nessuna scorciatoia per rendere pronti i vini prima del tempo necessario.