Chateau Chalon, Jean Macle – Jura –
– Almeno sei anni e tre mesi. O come dicono i vecchi, 6 anni, 6 mesi, 6 giorni.
– Così tanto deve restare in botte il Vin Jaune de Chateau Chalon ? Diabolico !
– Certo, e senza rabbocchi. Nulla di diabolico, un 666 tutto naturale.
– Ma allora l’aria che occuperà lo spazio lasciato libero dal liquido ossiderà il vino ?
– Si, un pochino si, i barilotti sono un po’ porosi , non completamente ermetici e una considerevole parte , quasi il 40% del vino evapora nel corso degli anni (la cosiddetta “parte degli angeli “). Nessun riempimento viene fatto. Uno strato spesso del lievito di Flor, assomigliante ad una schiuma bianca si sviluppa sulla superficie del vino e ne impedisce l’eccessiva ossidazione, e così il vino assumerà una complessità e una distinzione unica !
Questo vino di tradizione ultra millenaria continua ad essere prodotto per il piacere dei più sofisticati enofili e dei goduriosi gourmet , così come per la gioia di alcuni sommi chef europei che ne hanno fatto uso per realizzare salse sontuose.
– Caspita ! Usare un vino così nobile e prezioso per farne una salsa ? Ma ne vale la pena ?
– Beh ! Chi ha mangiato all’Arpege Les Aiguillettes de homard aux vin jaune di Alain Passard lo potrebbe confermare.
La complessità e lo stile unico ha fatto storia , unico come il territorio protetto similmente ad una serra, unico come il vitigno da cui viene ricavato , le Savagnin , unico il formato originale della bottiglia bassa e tozza da 62 cl, il Clavelin . Flacone non ammesso all’imbottigliamento per nessun altro vino francese e mantenuto tradizionalmente in uso qui per ricordare l’inevitabile perdita di volume dell’originario litro di vino lungo i sei anni di affinamento.
Questo in senso generale, in dettaglio la proprietà storica di Jean Macle e del figlio Laurent, che ormai da tre lustri si occupa direttamente dei fatti di cantina, è considerata la più reputata su questa AOC del Jura , ma alcuni altri produttori possono vantare delle riuscite eccellenti sulle annate più favorevoli. L’importante è avere la stessa pazienza che hanno avuto i viticultori nel lasciare riposare sei o più anni in cantina il loro vino. L’acquirente del vino farà bene a rivolgersi ad un millesimo ben maturo per avere grandi soddisfazioni. Gli ultimi due che ho bevuto erano dei millesimi 1992 e 1982 . Il secondo era nettamente più complesso ed espressivo, e quindi niente paura, qui si può rischiare con una certa tranquillità sull’acquisto di vecchie bottiglie, le chances di passare una bella serata saranno altissime. Questo è un vino che sopporta bene anche una certa incuria, tanto lui un pochino ossidato lo è già, e quindi anche se qualche “caviste” superficiale non l’avrà conservato proprio come si deve lui sa come difendersi.
Le vigne di Jean Macle si trovano nel cuore della denominazione Chateau Chalon, su un ripido pendio di “marne bleu “ ricoperta di pietre di calcare, ai piedi di una parete rocciosa. La proprietà ha in dote una dozzina di ettari vitati, di cui solo il 30% è savagnin, il resto è tutto chardonnay, con il quale si produce un dignitoso Cote de Jura, ma ovviamente il grande interesse degli appassionati è quasi tutto orientato verso Chateau Chalon .
La rarità del prodotto è dovuta anche alla rigida legislazione che prevede che all’interno dei 50 ettari di Chateau Chalon il vin jaune possa fregiarsi anche della menzione comunale solo negli anni in cui tutte le condizioni previste siano state raggiunte.
Dal 1958 la commissione di controllo AOC passa attraverso le vigne qualche tempo prima della vendemmia ( tardiva ) per verificare se i grappoli d’uva abbiano o meno i requisiti perché il vino possa fregiarsi della denominazione comunale.
Non sto a farla lunga ma questa commissione è composta da una serie di organismi , istituti e associazioni il cui numero è per lo meno sorprendente. Come faranno a trovare un accordo ?
Il Jury AOC valuterà e deciderà se la tale annata è adeguata , e se si potrà stampare al collo del Clavelin anche il sigillo d’onore, se no il vino si chiamerà semplicemente Vin Jaune . E a dir la verità sarà spesso il Vin Jaune a stimolare la fantasia dei grandi chef per realizzare la salsa per una poularde aux morilles, da servire con un calice di Chateau Chalon, che a quel punto troverà uno dei suoi matrimoni d’amore.
Le caratteristiche di questo vino sono molto complesse. Il colore già annuncia che cosa si andrà ad affrontare. Il naso si arriccerà su se stesso , le narici si apriranno a tanta potenza abbigliata da toni esotici di curry e sensazioni nette di noci, si, più che mandorle noci . Proprio il sentore di noci è la firma sensoriale che darà il via al viaggio , dove l’ampiezza e il volume satureranno il cavo orale. La sensazione di pulizia è totale, quasi come affrontando uno sherry secco .
Bisognerà provvedere anticipatamente ad acquistare un paio di tranci di Comté con diverse stagionature per creare l’abbinamento più classico e più semplice possibile che si possa fare con questo vino.
Sono quegli abbinamenti dove non c’è nulla da inventare, sono quelli spontanei, quelli che si rincorrono istintivamente su tutti gli elementi che concorrono a creare il circuito virtuoso della magica miscela chimica che chiude un cerchio sensoriale, che continua a girare intorno al vino, il formaggio, due gherigli di noci fresche e un pane all’uva.
E Chateau Chalon che gira, che gira, che gira nel bicchiere…
Voilà, c’est tout . Pas belle la vie ? :-)
gdf
2 Commenti
I commenti sono chiusi.
La storia che hai pubblicato mi ha ricordato l’uomo che me ne ha parlato per la prima volta, e che me ne ha regalato una bottiglia, Antonio Aversano.
Nel 1993 mi raccontò il processo produttivo del vin jaune, da quello straordinario curioso quale era, paragonandolo ad altri vini che seguono lo stesso procedimento, anche questi molto particolari, il Madheira e la Vernaccia di Oristano.
Lui li aveva definiti vini filmogeni, a causa proprio della flor che si sviluppa superficialmente nelle botti scolme, e che preserva dall’eccessiva ossidazione il vino durante i mesi estivi, salendo a galla.
Nei mesi invernali invece, da suo racconto, la flor va a fondo, favorendo una lenta ossidazione e conferendo particolari peculiarità olfattive e gustative al vin jaune.
Un ricordo affettuoso di Antonio Aversano, che mi ha insegnato tanto, e come spesso avviene nel nostro settore, era stato troppo facilmente messo da parte.
Anche per me l’ultimo assaggio di Chateau Chalondi Macle è statoil 1992 qualche anno fa.
Parlando con Il Sig- Chatillon del Domaine de la Pinte, l’inventore delle botti con la parete di vetro per meglio controllare il lavoro dei lieviti mi ha detto che ha avuto modo di assaggiare bottiglie della fine del ‘700, naturalmente in ottimo stato.