Cantonate storiche in rete. Aglianico non deriva da Hellenico, grazie Jeremy Parzen!
di Sara Carbone*
“Ma perché sulla retro etichetta della maggior parte delle bottiglie di aglianico riportate questo falso storico: Aglianico non può derivare da hellenico” .
Con questa frase conobbi Dobianchi alias Jeremy Parzen, un americano dall’ottimo italiano che conoscevo per il suo bel blog sull’ enogastronomia italiana per non italiani e seguivo su twitter, ma non avevo mai conosciuto di persona.
E ora lì alla Masseria le Fabriche per Radici wines , seduta ad un banchetto con le mie bottiglie da far assaggiare, facevo la sua conoscenza, colpita nell’orgoglio: un americano che correggeva me, italiana e produttrice di aglianico, proprio non mi piaceva. Sperai che si sbagliasse.
Jeremy nel 2008 scrive un articolo in cui spiegava i motivi per i quali la parola aglianico non potesse derivare da ellenico. L’argomento non è dei più leggeri, filologia ed etimologia, ma provo a sintetizzare rimandando alle fonti per approfondimenti.
Il termine “Ellenico” riferito al vitigno
aglianico viene usato per la prima volta dal filosofo napoletano Della Porta, appassionato ed esperto anche di Agricoltura che nel 1592 scrive Villae, una enciclopedia rustica, libro nel quale, riferendosi a sua volta ad un passaggio dell Historia Naturalis di Plinio, sosteneva come Plinio stesso, parlando dell’uva elvola che nasce all’ombra del vesuvio, si riferisse alla “nostra uva hellenica”.
E del fonti del nostro Jeremy? Internet? Certo che no, si reca al Brooklin Botanical Garden, direttamente alla fonte. Vabbè diventa sempre più complicato pensare che si sbagli, c’è pure l’immagine con in evidenza il passaggio incriminato.
Continuo a leggere e cercare informazioni. Scopro che ellenico non esisteva per i romani che avrebbe invece usato graecus, e infatti Plinio stesso non usa questo termine per l’uva che descrive nel passo che Della Porta riprende. Plinio parlava di uva greca e vino greco e non risulterebbero altri autori latini che scrivendo di agricoltura abbiano menzionato viti elleniche.
Nella lingua italiana il termine ellenismo secondo il dizionario della lingua italiana di N. Zingarelli anno1999 appare nel 1640, sembra che nella lingua francese invece appaia nel 1580.
Il termine aglianico riferito al tipo di uva ricorre per la prima volta nello stesso periodo in cui esce il Villae di della Porta in Andrea Bacci, De naturali historia vinorum, 1596, and Jean Liébault, L’agriculture et maison rustique, 1586. Insomma anche stando alle datazioni sembrerebbe alquanto improbabile una derivazione di aglianico da Ellenico, come fa notare Mr Parzen.
In rete vi è un altro interessante contributo di Riccardo Valli su Tigullio che farebbe risalire la rima comparsa del termine aglianico ad un documento del 1520 dell’Archivio Caetani che descrive una maxaria del Conte di Conversano, Giulio Antonio d’Acquaviva d’Aragona, situata a Napoli sulla collina di Poggioreale e comprendente 26 moggi di terra ” arbustata e vitata con viti latine aglianiche.
Inoltre secondo Valli “è glottologicamente impossibile che l’aggettivo “aglianico” si possa far derivare da un vocabolo quale “ellenico”: non si può spiegare morfologicamente, infatti, la mutazione in a delle due e presenti nell’ipotizzato aggettivo hellenicus. “
Va bene, sono convinta. E’ una clamorosa cantonata storica, illustre, ma pur sempre una cantonata.
Ci sono in giro altre ipotesi, per esempio sostiene ancora Valli, potrebbe derivare dallo spagnolo llanos, pianura, dunque vino della pianura, o ,come sostengono altri, “interessante [è] il percorso etimologico di Andrea Bacci (1596) che risale al greco aglaos (chiaro) e aglaia (splendore), da cui Aglianico, vino rubino e splendente.”
Mi pare di capire che al momento le ipotesi in campo sull’origine etimologica siano tutte deboli, alcune più affascinanti di altre, ma tutte rigorosamente richiedono l’uso del condizionale.
Alla fine devo ringraziare Jeremy, ma soprattutto per aver capito una cosa: la presenza di una informazione in un numero elevato di luoghi reali e virtuali non specialistici non ne implica la sua affidabilità. La rete invece spesso viene usata così: se uso google per una ricerca e mi appaiono le stesse informazioni su molti siti, finisco per dare per scontato che siano vere, mentre sono solo rimbalzate, di sito in sito, di etichetta in etichetta.
Rimane un fatto: devo cambiare l’etichetta.
*Sara produce Aglianico del Vulture con il fratello Luca
14 Commenti
I commenti sono chiusi.
Articolo molto interessante. Ma oltre al nome viene anche messa in discussione l’origine del vitigno? L’aglianico potrebbe essere dunque un vitigno “nostro” in tutto e per tutto, anzichè “importato” millenni fa dalla Grecia?
Leggendo l’articolo di Valli sembrerebbe in discussione anche la provenienza dalla Grecia, non solo l’etimologia, ma siamo lontani dall’avere certezze sia in un senso che nell’altro.
A me piace soprattutto la sua conclusione: le potenzialità e la nobiltà del vitigno aglianico non hanno bisogno della ricerca di un blasone nell’epoca greco-romana :)
addirittura potrebbe derivare dall’arabo, uva o vino del giardino: (jannah) al-jannac, da cui agliannac.
Infatti!!! Brava Sara, sono i fatti che contano…non so da voi, ma qui in Irpinia si dice che ” il vino buono si vende senza frasca “. Dove per frasca una volta si intendeva la preparazione scenografica del “bancariello” di vendita con, appunto, dei rami di vite che abbellivano la postazione e ne testimoniavano la provenienza delle uve. Facendo una trasposizione metaforica, oggi si intendono le storielle, le favolette, le poesie, insomma quel marketing spinto che porta l’immaginario collettivo a valutare un vino soprattutto per le belle storie che , vere o inventate di sana pianta, comunque ci girano intorno…a proposito, gira voce che ” si mangia e si beve soprattutto con le orecchie e con gli occhi “…Sarà vero??? ;-))))
è difatti un’etimologia che resta incerta.
già oltre dieci anni fa si ipotizzo’ un’origine dallo spagnolo llano, cioè piano, uva del piano.
io, personalmente, e non l’ho mai detto in pubblico, da sempre ho pensato, pur non avendo strumenti per dimostrarlo, che l’origine potesse riferirsi al dio giano (dio italico), quindi uva ad-janica (cioè uva italica, in contrapposizione alle uve di provenienza elleniche).
e chissà che non ci ho azzeccato.
Conosco anche io questa versione. Molto giusta la riflessione sul web, strumento da questo punto di vista pericoloso. I vecchi giornali , invece, non determinavano lo stesso problema: se un errore c’era era, se pur grave, per quel numero. Esisteva la smentita e tutte le belle altre cose. Adesso qualunque pinco pallo scrive sul web…ci vorrebbe anche qui la garanzia che chi scrive non abbia solo una bella scrittura, se va bene, ma che adempia a degli obblighi da ascrivere alla deontologia professionale. Devo anche a me ricordare ogni tanto:non “svaccarti” mai, non rilassarti nella pratica della scrittura mordi e fuggi. Per fortuna che c’è in circolazione chi ancora sa correggere e ricordare le vecchie regole. E quando non ci saranno più e saremo tutti figli del web senza regole? Ricordiamoci, dunque: chi scrive ha sempre forti responsabilità nei confronti di chi legge…anche nel far sbagliare una etichetta. Però, pensavo, anche tutte le nostre brochure di emanazione assessorile (agricoltura) ne dicono di corbellerie…Brava Sara, un saluto.
L’etimologia della parola aglianico ha appassionato anche me anni addietro. In genere non mi autocito ma in questo caso, scusatemi, è necessario. Nel 2003 pubblicai un articolo su Ex Vinis, la rivista di Veronelli (n. 70 aprile-maggio 03), “Aglianico, dal nome al sapore” che faceva da gemello con un altro di Luigi Moio su questo stesso tema: “Aglianico, dal sapore al nome.” In poche parole, sostenevo che la parola aglianico fosse il risultato dell’alfa privativo greco con il sostantivo “glucos”, zucchero o meglio dell’alfa privativo con l’aggettivo “gleukinos”, zuccherino. Quindi “senza zucchero”. Tra l’altra la u di glucos si leggeva iu ed è noto che la gl dura greca e latina in italiano si è trasformata in morbida. Nell’articolo venivano citati ad uno ad uno i passaggi fonetici e linguistici. Quindi un’uva senza zucchero, o almeno un’uva amara (oggi sappiamo perché ricca di tannini), di difficile maturazione (tardiva). Non è un caso che nel Beneventano venga ancora oggi chiamato Aglianico amaro, una sorta di ripetizione linguistica, esattamente come accade per il Negramaro, che significa uva nera-nera, dove niger (nero) è la traduzione latina del sostantivo mauros (nero). E non è un caso che i vini da Aglianico abbiano bisogno di tempo per “maturare” affinché i tannini da aggressivi diventino piacevoli.
Sicuramente una delle ipotesi più credibili, ma che paradossalmente accredita maggiormente la tesi prevalente secondo la quale il vitigno è di provenienza… ellenica ;-))
Sara, ti ringrazio per l’interesse! :) Sarà difficile scoprire la vera fons origo dell’ampelonimo Aglianico. Comunque mi risulta improbabile che derivi da Ellenico. In ogni caso, la quaestio non diminuisce il nostro apprezzamento del vino! :)
un’ultima lettura etimologica lo farebe derivare da “julius”, cioè uva che matura a luglio (che poi è proprio l’opposto della sua caratteristica, ma questo è un altro paio di maniche.).
questo per dire che, secondo me, francamente, si va ancora di supposizioni.
Avevo letto anche che aglianico rimanderebbe ad aglio, in latino àleus, da cui aleatico e quindi aglianico. Ora, io sarò anche di parte, ma mi pare che sentire dell’aglio nell’aglianico sia quantomeno fantasioso, né vedo altri motivi per questa assonanza.
Concordo con Jeremy e Gaspare, la strada della ricerca sembra lunga e tortuosa.
Nell’attesa ci berrei su :)
guarda ne so tante, anche (uva) aglaios, cioè in greco antico uva splendente, che si leggerebbe dunque agliaios.
sinceramente, a naso, tra queste preferisco quella mia, cioè quella di uva consacrata al dio giano.
Cercare le origini di una città, di una località o anche di un vitigno da un’etimologia è un metodo storiografico piuttosto forviante. L’etimologia che andava di modo negli studi storici a partire dal ‘500 non tiene conto che qualunque cosa può cambiare nome per vari motivi, a partire anche dallo “sfizio” di un sovrano per arrivare ad un soprannome attribuito “a furor di popolo”. Basti pensare ad un esempio vicino all’argomento in questione. Spesso il nome Taurasi si fa derivare dal toro, e si teorizza l’uso di un rituale di fondazione sannita il così detto “ver sacrum”, ma pare che l’origine sia un’altra: tutti i toponimi derivanti da tauri (es. torino) sono di derivazione addirittura indeuropea. Dunque la storia di un nome può avere una vicenda totalmente diversa dalla storia di ciò che è indicato con quel nome. Se cerchiamo la storia del vitigno, bisogna considerare un sistema di evinti complesso come la storia campana. La vitis vinifera in Italia pare esista almeno dall’età del Bronzo, ossia dal II millennio a.C. Le prime tracce di vinificazione in Campania sono state rintracciate a Poggiomarino, e sono datate nell’VIII sec. a.C. Non necessariamente i Greci, come spesso si dice, sono stati i portatori di vitigni dalla madrepatria, visto che secondo Omero, almeno a giudicare dal mito del Ciclope, personaggio emblematico dell’incivile abitatore d’Occidente, in Italia Meridionale facevano già il vino dalle viti spontanee. I Greci sono stati portatori insieme agli Etruschi di più avanzati metodi di lavorazione. Dunque tutti i vini italiani sono greci e/o etruschi per il metodo di lavorazione, ma i vitigni campani possono essere autoctoni, portati dai Micenei, dai Fenici, dai Greci, dagli Etruschi, dai Romani, dai Bizantini, dai Vandali, dagli arabi, dai Normanni, dagli Angioini ecc.
Con l’etimologia non si riesce a ricostruire la storia del vitigno. Per ricomporne la storia ci sarrebe bisogno di un’accurata ricerca storica unita ad una mappatura genetica dei vitigni europei. Ambedue le cose, in particolare la seconda, non sono ancora state fatte in modo esaustivo. Ad oggi è difficile andare più indietro dell’età alto medievale- rinascimentale, periodo in cui una nuova economia di mercato diede vita ad nuova diffusione della viticoltura. Dunque per quanto sia divertente discuterne è ad oggi impossibile sapere se l’aglianico è stato uno dei vitigni che facevano parte delle uve Aminee e/o del Falerno, oppure l’erede diretto di qualcuna delle uve, parte di quell’enorme patrimonio ampelografico dell’Italia descritto dagli autori antichi in particolare da Plinio il Vecchio. Lo stesso Plino lamentava grandi difficoltà nel descrivere tutti i tipi di vitigni presenti su tutto il territori italiano e dimostrava come con una stessa denominazione erano accomunate uve totalmente diverse di aspetto, di sapore e di qualità. In conclusione la ricerca storica è molto affascinante ma ci sono dei limiti di cui bisogna essere consapevoli se la si vuole svolgere in modo corretto.