Andar Per Castelvetere: Aglianico, Grecomusc’, Pecorini di Laticauda e Caciocavallo Impiccato
di Annito Abate
Esistono in Irpinia luoghi che riescono ad emozionare, posti che, contemporaneamente, esprimono valori artistici, paesaggistici ed enogastronomici, il Borgo Castelvetere Albergo Diffuso è uno di questi; un sito sottratto alla demolizione da illuminati “committenti pubblici” (il Comune di Castelvetere Sul Calore), reso bellissimo dalla mano di un sensibile architetto con la sua squadra (Angelo Verderosa Studio) e gestito da sensibili privati (Agostino della Gatta e Soci) che lo mettono a disposizione, da agosto, anche per eventi di grande qualità come quello che mi accingo a raccontare.
E’ mattina e c’è una bell’aria frizzantina, il cielo è terso e la giornata si preannuncia bella; decidiamo di fare lo stesso colazione, non sappiamo ancora che stiamo per vivere una delle più belle esperienze degli ultimi mesi nella splendida cornice dei Colli dell’Irpinia e delle Valli del Calore.
Arriviamo a Castelvetere che la luce del sole è ancora radente ma già risale, come noi, verso l’alto, noi sulle scale verso la piazzetta del Borgo, i raggi luminosi verso i tetti ad annunciare un giorno che è sempre più evidente.
Che strano, penso, non si riesce a trovare parcheggio, eppure il prof. N, in genere, è così bravo a scovare il “posto buono”.
E’ domenica, l’orologio del Paese non ha ancora battuto i suoi dieci rintocchi, restiamo sorpresi dalla gente che è già presente all’appuntamento enoturistico: il punto accoglienza lungo “il Muro” è coperto da un pergolato di grappoli d’uva dorati, qualcuno ritira la sua tracolla con il calice di degustazione e la mappa territoriale con gli itinerari enoturistici, qualcun altro compra il suo ingresso a “Taurasia”; sulla Piazzetta si stanno allestendo i banchi di degustazione dei prodotti tipici del Mercato Contadino: lo chef Filippo da Carife della Comunità del Cibo di Terra Madre della Provincia di Avellino, che quest’estate avevo incontrato alla Fiera Enologica di Taurasi, sta porzionando un Pecorino di Laticauda della Valle di Miscano da degustare con una composta di peperoni e Cipolla Ramata di Montoro, i Soci della Condotta Slow Food “Irpinia Colline dell’Ufita e Taurasi” espongono i vini delle Cantine aderenti; a lato, un po’ più in basso, un tavolo mostra le delizie da forno di Simone da Montella, articolo speciale è l’enorme pezzo di pane cotto a legna, peso quindici chili.
Dobbiamo allestire anche noi il nostro “banco AIS”, l’info point dell’Associazione Italiana Sommelier Delegazione di Avellino; per la scelta della “location” non posso non affidarmi all’intuito del prof. N che, infatti, si posiziona nel punto più strategico di tutto il Borgo: lo slargo tra la balconata naturale aperta sulla vallata e la Sala Fiorentino Sullo, già dimora del celebre Ministro dei Lavori Pubblici originario del luogo.
Sono anche architetto e ne approfitto per fare un giro per l’antico borgo ristrutturato che offre una miriade di scorci, luci ed ombre, pieni e vuoti che si aprono su prospettive diverse. Supero un arco, un cartello reca la scritta “Castello”, percorro la viuzza coperta, stretta leggermente in curva in salita che mi porta in una corte interna a più livelli collegati da un sistema di scalini lasciati apposta consumati dal tempo; lo spazio è circondato dagli edifici bassi, sono gli alloggi dell’Albergo Diffuso messi a disposizione dei turisti che scelgono di farsi ospitare e coccolare qui, durante la visita del Territorio.
Cominciano a suonare le campane, emergono dalle aperture in alto del campanile, l’intensità dei colori terrosi dei Tartufi Neri di Bagnoli esposti nelle ceste di vimini rivaleggia con il loro sentore, sembra una scena estrapolata da una poesia bucolica.
Entro nella “Bottega”, i profumi salgono decisi a riempire un bouquet fatto di essenze di presepi in costruzione, fornace in disuso e vecchia sagrestia; sono i fuochi accesi nel tempo, le braci e l’affumicato che hanno avvolto ed intriso le essenze dei legni dei mobili consumati dall’uso e dal tempo.
Incontro Franco Archidiacono ed Alessandro Barletta di Slow Food, indaffarati a far si che quanto hanno magistralmente organizzato vada per il meglio; «che significa per Voi Andar per Taurasi?» chiedo e così mi rispondono appassionati: «vuol dire attraversare un territorio, l’area del Taurasi, quell’ampio e meraviglioso spazio che ricade principalmente nella Valle del Calore e risalendo l’omonimo Fiume, abbraccia diciassette Comuni dove si incontrano vigneti che pettinano i colli dai 300 fino a sfiorare gli 800 metri a ridosso dei Monti Picentini. Andar per Taurasi è un progetto studiato per portare in Irpinia gli appassionati di enogastronomia per vivere la natura, scoprire l’architettura, i prodotti ed i produttori, passeggiare, ad esempio, tra i vigneti carichi di Aglianico pronti per essere raccolti».
«Ma quale spirito organizzativo Vi ha mosso?», sono curioso e domando ancora: «Andar per Taurasi prende spunto dai grandi eventi Slow Food già collaudati in Piemonte, come “Andar per Gavi” o “Andar per Nizza”. Visitando quelle zone con il “Gruppo della Piccola Tavola” si pensò di portare in Irpinia questa esperienza di successo e quest’anno, dopo le prime tre edizioni svolte solo a Taurasi, l’evento è diventato itinerante ed abbiamo trovato ospitalità all’Albergo Diffuso del Borgo di Castelvetere. Il prossimo anno ci piacerebbe organizzare la manifestazione con altre Associazioni che operano nel Mondo del Vino, penso all’AIS Avellino che quest’anno è con noi presente ed impegnata con i suoi sommelier in una interessante degustazione che mette a confronto i tre territori dell’aglianico lasciando fermo solo il punto dell’annata».
E’ quasi mezzodì, l’info point AISav2.0 sta funzionando benissimo, diventando uno dei “vertici” del triangolo enoico dello slargo dove ha triovato posizione, completato dalle due Aziende Vitivinicole Ufficiali locali: “Le Cantine Sullo” e “L’Azienda Agricola Follo”, entrambe presenti con un rosso Aglianico che, in questo areale, si esprime con delicata eleganza, sottile, senza preoccuparsi di mostrare troppo i suoi “muscoli” naturali.
Attirato dai fumi e dai pro.fumi provenienti dal largo assolato più in basso, mi affaccio e scopro un’altra meraviglia, come in un presepe, trovo il “Caldarrostaio” ed il “Caciocavvallaro”; a destra le castagne dei boschi limitrofi, sorridenti per l’incisione necessaria ad assicurare la cottura ideale, coprono i fori del fondo della pentola, a sinistra le forme a pera color avorio si commuovono alla luce del calore e lasciano scorrere le loro burrose lacrime sulle sottostanti braci.
In primo piano giace l’altare dove verranno impiccati i Caciocavalli Podolici Bagnolesi, peso 3 chili ed altrettanti mesi di stagionatura; chef au fromage è Raffaele Basile alias Palone (ha ereditato lo stesso soprannome del nonno, ben più alto di lui), è un artista del ferro battuto (ha costruito da se il suo banco da casaro rotì) e, a sua detta, l’antesignano del “Caciocavallo Impiccato”, “invenzione casearia” che ha presentato, per la prima volta in assoluto, alla Sagra della Castagna di Bagnoli Irpino circa sette anni fa, dopo di lui, sempre riportando le sue parole, solo emulazioni (devo approfondire!).
Devo dire che, assaporata una porzione su una fetta di ottimo pane casereccio riscaldata sulla stessa brace del caciocavallo, ed effettuati rapidi confronti pescando dalla memoria, ci ho creduto.
Mi chiamano, devo aiutare i miei amici Flavio ed Antonella di Cantine Lonardo Contrade di Taurasi, nel Laboratorio del Gusto “Grecomusc’ VS Pecorino”, prima di andare guardo le colline intorno, all’orizzonte si stagliano alcuni Paesi d’Irpinia, partendo dalla vetta, riconosco la sequenza Frigento-Gesualdo-Paternopoli, quest’ultimo dimora di un altro amico, Luigi Tecce che di vini se ne intende parecchio.
Vivo la bellissima esperienza di conduzione della miniverticale dell’ottimo nettare autoctono irpino da uve roviello bianco in purezza, il Grecomusc’, nelle tre annate 2009, 2011 e, appena imbottigliata, la 2012; in abbinamento i formaggi Pecorini di Laticauda della Valle di Miscano nelle differenti stagionature di uno, tre e quasi dodici mesi.
All’orario previsto arrivano i protagonisti dell’evento pomeridiano, Maria Sarnataro e Luciano Pignataro che, dopo una ricognizione dell’esercito dei vini previsto in degustazione, danno “inizio alle danze” visive, olfattive e gusto-olfattive; “in ballo” ci sono l’Aglianico e la Sua Annata, la 2003, calda, marcatamente fruttata e vogliosa di espressione.
Tra “i suoni” contigui del Vulture, del Taburno e dell’Irpinia, costituenti “la faglia” di questo austero, purpureo, vino-vitigno, si è svolto “il concerto” espressivo della progressione dei tre territori: il primo con carattere più accentuato ed alcolico, il terzo dalla spiccata gioventù e freschezza, il secondo, asse di simmetria tra gli altri due, che ne assorbe le caratteristiche prendendo “il naso” dal Vulture e “la bocca” dall’Irpinia.
Con la consapevolezza che anche in annate calde il vino si può lavorare bene e con buone possibilità espressive, ma soprattutto con il sospetto che le vinificazioni troppo spinte non sono le migliori scelte in presenza di stagioni caratterizzate da elevate temperature, me ne vado a casa con un altro “pieno” di Conoscenza, Vernacolo ed Amicizia.